True
2022-08-27
Gas bruciato e Zaporizhzhia in bilico. Sull’energia Mosca mostra i muscoli
(Yulii Zozulia/ Ukrinform/Future Publishing via Getty Images)
Secondo un report della società norvegese Rystad Energy, diffuso dalla Bbc, nell’impianto russo di Portovaya Mosca mostra i muscoli bruciando grandi quantità di gas naturale mentre in Europa i costi per l’energia superano ogni record. Lo si è visto ieri con il gas metano, che ad Amsterdam (mercato di riferimento per l’Europa) ha toccato il nuovo massimo storico con la valutazione a 339 euro al megawattora per poi chiudere la giornata a 337 euro.
La televisione britannica ha mostrato alcune immagini provenienti da un satellite nelle quali si vedono delle grandi fiamme e le conseguenti radiazioni infrarosse provocate dalla combustione del gas. Quanto vale questo gas che i russi bruciano? Le stime di alcuni esperti dicono che parliamo di circa 10 milioni di euro al giorno: secondo i tecnici della Rystad Energy ogni giorno nell’impianto a Nord-Ovest di San Pietroburgo vengono bruciati circa 4,34 milioni di metri cubi di gas naturale liquefatto.
A proposito di energia, dall’Inghilterra ci arrivano delle brutte notizie: l’Office of Gas and Electricity Markets (Ofgem), l’Autorità di regolamentazione dell’energia del Regno Unito, attraverso una nota pubblicata ieri ha fatto sapere che i cittadini inglesi vedranno aumentare le loro bollette per le utenze domestiche annuali fino all’80%. L’Ofgem ha dichiarato che a partire dal mese di ottobre i costi passeranno da 1.971 a 3.549 sterline all’anno e tutto questo non è che uno dei tanti frutti avvelenati di questa guerra che sta facendo schizzare i prezzi al consumo nelle economie di tutta Europa che usano il gas per riscaldare le case e creare elettricità. Evidente che un aumento dell’80% sulle bollette, se non verrà calmierato dalla Stato, britannico rischia di creare un problema sociale che potrebbe trovare nelle proteste di piazza una valvola di sfogo. E non è certo uno scenario rassicurante.
Intanto la guerra non si ferma e ieri nella zona occupata di Kherson ci sono stati nuovi bombardamenti dell’esercito ucraino ma secondo l’agenzia russa Ria Novosti «la difesa aerea ha funzionato», tuttavia, su Telegram circolano numerosi video di violenti attacchi che hanno colpito il ponte Antonivsky. Secondo dell’Alto rappresentante per la politica estera europea, Josep Borrell, «la Russia ha già perso la guerra in Ucraina, non avendo raggiunto i suoi obiettivi militari dopo sei mesi di invasione e non avendo più l’iniziativa nel conflitto. La guerra si trova in una fase decisiva e chi prende l’iniziativa in questo momento non è più la Russia, la Russia ha già perso». In ogni caso a Mosca e a Kiev nessuno parla più di negoziare una tregua o di iniziare dei veri colloqui di pace. Dopo quanto affermato dai russi, che negli scorsi giorni avevano escluso questa possibilità, ieri ci ha pensato Mikhail Podolyak, consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ad affermare al quotidiano americano The Hill che «i negoziati con la Federazione Russa sono una condanna a morte e Zelensky è nettamente contrario».
E che succede alla centrale nucleare di Zaporizhzhia? È stata scollegata dalla rete Ucraina oppure no? Dopo una serie di notizie contraddittorie (un classico di questo conflitto), l’operatore energetico statale ucraino Energoatom ieri ha comunicato: «La centrale è ora collegata alla rete e produce elettricità per il fabbisogno dell’Ucraina ed è stata collegata alla rete elettrica una delle unità di potenza della centrale nucleare più grande d’Europa che era stata scollegata ieri». Attenzione, perché si tratta solo di uno scampato pericolo, visto che la situazione nell’aerea è fragilissima, tanto che il direttore generale dell’Aiea, Rafael Grossi, ha dichiarato alla radio francese Rfi: «Dobbiamo rendere sicura la nostra rotta, dobbiamo farlo in coordinamento tra i due Paesi, il che non è facile date le circostanze. Dobbiamo anche contare sul sostegno delle Nazioni Unite e dei loro veicoli blindati che ci porteranno lì. Questa è la logistica, poi a livello tecnico bisogna definire chiaramente i parametri della missione e, possibilmente, stabilire una presenza continua dell’Agenzia in loco».
Ieri è tornato a parlare all’agenzia statale Belta il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, poche ore dopo aver fatto gli auguri per il giorno dell’indipedenza ucraina, ha dichiarato che sono stati ultimati i lavori di adeguamento (con la collaborazione della Russia) sui propri bombardieri in modo che possano trasportare bombe nucleari affinché possano reagire alle eventuali minacce dell’Occidente, per poi aggiungere: «I Paesi occidentali devono capire che nessun elicottero o aereo potrà salvarli se daranno vita a un’escalation».
A proposito di satrapi dell’area, ieri il presidente ceceno Ramzan Kadyrov e i comandanti della Guardia nazionale russa, Daniil Martynov e Huseyna Mezhidova, suoi stretti collaboratori, sono accusati di crimini di guerra. Lo ha reso noto in un messaggio su Telegram il Servizio di sicurezza ucraino secondo cui sono state raccolte prove indiscutibili di crimini di guerra commessi da Kadyrov e dai suoi due fedelissimi.
Infine una buona notizia: secondo il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres «dozzine di navi hanno attraccato e sono salpate dai porti ucraini, e sono state caricate finora con oltre 720.000 tonnellate di prodotti alimentari, come parte della Black Sea Grain Initiative. Una potente dimostrazione di ciò che si può ottenere, anche nei contesti più devastanti, quando mettiamo le persone al primo posto».
Kiev tenta di ricucire con il Vaticano
Nel cuore dell’Italia, all’Aquila, il Papa andrà domenica per compiere una visita pastorale in occasione della festa della Perdonanza celestiniana. «Il perdono», ha detto Francesco in un’intervista concessa al quotidiano abruzzese Il Centro, «è l’unica arma possibile contro ogni guerra».
Dopo le sue parole pronunciate mercoledì scorso contro «la pazzia della guerra», di ogni guerra, e dove ha ricordato tutte le vittime innocenti, fra cui anche Darya Dugina, la figlia del filosofo Aleksandr Dugin, si comprende una volta in più la prospettiva del Papa sul conflitto scatenato dalla Russia in Ucraina. Eppure giovedì, il ministro degli Esteri di Kiev aveva convocato il nunzio apostolico, Visvaldas Kulbokas, per comunicargli in modo formale che «l’Ucraina è profondamente delusa dalle parole del Pontefice, che equiparano ingiustamente l’aggressore e la vittima». Ieri, tuttavia, l’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, Andrii Yurash, ha un po’ corretto il tiro, pubblicando sui social le foto della visita del segretario di Stato Pietro Parolin di un anno fa e scrivendo: «È stata la seconda visita del segretario di Stato vaticano dall’inizio dell’invasione russa nel 2014 che ha mostrato per entrambe le parti quanto siano importanti le relazioni tra Ucraina e Santa Sede».
Sulla vicenda è intervenuto ieri anche Andrea Tornielli, direttore editoriale dei media vaticani, con una dichiarazione rilasciata all’edizione ucraina di Vatican News. Il Papa, ha detto Tornielli, «riferendosi alla pazzia della guerra, che crea insicurezza per tutti, ha ricordato anche l’ultimo episodio di cronaca accaduto, l’attentato in cui è rimasta uccisa Darya Dugina. Ha parlato di lei definendola “povera ragazza”, per riferirsi alle circostanze drammatiche della sua morte, per ribadire che mai niente può giustificare l’uccisione di un essere umano. Il Papa ha parlato con il cuore del pastore, non del politico. Voleva esprimere la pietà cristiana per i morti, per tutti i morti, e non certo ferire i sentimenti della popolazione ucraina, che sperimenta l’orrore della guerra e continua ad avere tante vittime innocenti, e tra queste molti bambini».
È quello che tanti, anche all’interno delle sacre stanze, continuano a non voler comprendere, desiderando un Francesco schierato con Kiev e con la Nato, magari benedicente l’invio di armi. La sua posizione però non è quella del «cappellano della Nato», né, peraltro, del «filputiniano», categorie buone per il battage televisivo, ma lontane dalla prospettiva del Papa.
«Stiamo assistendo in questi mesi alla guerra in Ucraina», ha detto Francesco nella sua intervista al quotidiano Il Centro, «ma anche a tanti altri conflitti che non trovano abbastanza spazio nei mezzi di comunicazione ma che affliggono migliaia di persone e soprattutto di innocenti. Il male non si vince mai con il male, ma solo con il bene. Ci vuole più forza a perdonare che a fare una guerra. Ma il perdono ha bisogno di una grande maturazione interiore e culturale».
Quando domenica prossima papa Francesco aprirà la porta santa della basilica di Santa Maria di Collemaggio all’Aquila, dando il via alla Perdonanza celestiniana, compirà il gesto che permette di comprendere la sua posizione. Occhi profani forse non vedranno nulla, ma ad occhi semplicemente aperti è permesso vedere una cosa semplice, che il Papa guarda all’umanità cercando di una prospettiva trascendente. Potremmo chiamarla geopolitica della spiritualità; la pace si fa con la conversione e il perdono, anche tra ucraini e russi.
Continua a leggereRiduci
Il Cremlino ostenta il suo ruolo di dominus dei rifornimenti con delle provocazioni: al confine con la Finlandia dà fuoco a riserve pari a 10 milioni di euro al giorno. E sulla centrale ucraina scatta un tira e molla snervante.Kiev tenta di ricucire con il Vaticano. Dopo la convocazione del nunzio apostolico per le parole del Papa su Darya Dugina, l’ambasciatore presso la Santa Sede diffonde sui social un messaggio distensivo.Lo speciale comprende due articoli. Secondo un report della società norvegese Rystad Energy, diffuso dalla Bbc, nell’impianto russo di Portovaya Mosca mostra i muscoli bruciando grandi quantità di gas naturale mentre in Europa i costi per l’energia superano ogni record. Lo si è visto ieri con il gas metano, che ad Amsterdam (mercato di riferimento per l’Europa) ha toccato il nuovo massimo storico con la valutazione a 339 euro al megawattora per poi chiudere la giornata a 337 euro. La televisione britannica ha mostrato alcune immagini provenienti da un satellite nelle quali si vedono delle grandi fiamme e le conseguenti radiazioni infrarosse provocate dalla combustione del gas. Quanto vale questo gas che i russi bruciano? Le stime di alcuni esperti dicono che parliamo di circa 10 milioni di euro al giorno: secondo i tecnici della Rystad Energy ogni giorno nell’impianto a Nord-Ovest di San Pietroburgo vengono bruciati circa 4,34 milioni di metri cubi di gas naturale liquefatto. A proposito di energia, dall’Inghilterra ci arrivano delle brutte notizie: l’Office of Gas and Electricity Markets (Ofgem), l’Autorità di regolamentazione dell’energia del Regno Unito, attraverso una nota pubblicata ieri ha fatto sapere che i cittadini inglesi vedranno aumentare le loro bollette per le utenze domestiche annuali fino all’80%. L’Ofgem ha dichiarato che a partire dal mese di ottobre i costi passeranno da 1.971 a 3.549 sterline all’anno e tutto questo non è che uno dei tanti frutti avvelenati di questa guerra che sta facendo schizzare i prezzi al consumo nelle economie di tutta Europa che usano il gas per riscaldare le case e creare elettricità. Evidente che un aumento dell’80% sulle bollette, se non verrà calmierato dalla Stato, britannico rischia di creare un problema sociale che potrebbe trovare nelle proteste di piazza una valvola di sfogo. E non è certo uno scenario rassicurante. Intanto la guerra non si ferma e ieri nella zona occupata di Kherson ci sono stati nuovi bombardamenti dell’esercito ucraino ma secondo l’agenzia russa Ria Novosti «la difesa aerea ha funzionato», tuttavia, su Telegram circolano numerosi video di violenti attacchi che hanno colpito il ponte Antonivsky. Secondo dell’Alto rappresentante per la politica estera europea, Josep Borrell, «la Russia ha già perso la guerra in Ucraina, non avendo raggiunto i suoi obiettivi militari dopo sei mesi di invasione e non avendo più l’iniziativa nel conflitto. La guerra si trova in una fase decisiva e chi prende l’iniziativa in questo momento non è più la Russia, la Russia ha già perso». In ogni caso a Mosca e a Kiev nessuno parla più di negoziare una tregua o di iniziare dei veri colloqui di pace. Dopo quanto affermato dai russi, che negli scorsi giorni avevano escluso questa possibilità, ieri ci ha pensato Mikhail Podolyak, consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ad affermare al quotidiano americano The Hill che «i negoziati con la Federazione Russa sono una condanna a morte e Zelensky è nettamente contrario». E che succede alla centrale nucleare di Zaporizhzhia? È stata scollegata dalla rete Ucraina oppure no? Dopo una serie di notizie contraddittorie (un classico di questo conflitto), l’operatore energetico statale ucraino Energoatom ieri ha comunicato: «La centrale è ora collegata alla rete e produce elettricità per il fabbisogno dell’Ucraina ed è stata collegata alla rete elettrica una delle unità di potenza della centrale nucleare più grande d’Europa che era stata scollegata ieri». Attenzione, perché si tratta solo di uno scampato pericolo, visto che la situazione nell’aerea è fragilissima, tanto che il direttore generale dell’Aiea, Rafael Grossi, ha dichiarato alla radio francese Rfi: «Dobbiamo rendere sicura la nostra rotta, dobbiamo farlo in coordinamento tra i due Paesi, il che non è facile date le circostanze. Dobbiamo anche contare sul sostegno delle Nazioni Unite e dei loro veicoli blindati che ci porteranno lì. Questa è la logistica, poi a livello tecnico bisogna definire chiaramente i parametri della missione e, possibilmente, stabilire una presenza continua dell’Agenzia in loco». Ieri è tornato a parlare all’agenzia statale Belta il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, poche ore dopo aver fatto gli auguri per il giorno dell’indipedenza ucraina, ha dichiarato che sono stati ultimati i lavori di adeguamento (con la collaborazione della Russia) sui propri bombardieri in modo che possano trasportare bombe nucleari affinché possano reagire alle eventuali minacce dell’Occidente, per poi aggiungere: «I Paesi occidentali devono capire che nessun elicottero o aereo potrà salvarli se daranno vita a un’escalation». A proposito di satrapi dell’area, ieri il presidente ceceno Ramzan Kadyrov e i comandanti della Guardia nazionale russa, Daniil Martynov e Huseyna Mezhidova, suoi stretti collaboratori, sono accusati di crimini di guerra. Lo ha reso noto in un messaggio su Telegram il Servizio di sicurezza ucraino secondo cui sono state raccolte prove indiscutibili di crimini di guerra commessi da Kadyrov e dai suoi due fedelissimi. Infine una buona notizia: secondo il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres «dozzine di navi hanno attraccato e sono salpate dai porti ucraini, e sono state caricate finora con oltre 720.000 tonnellate di prodotti alimentari, come parte della Black Sea Grain Initiative. Una potente dimostrazione di ciò che si può ottenere, anche nei contesti più devastanti, quando mettiamo le persone al primo posto».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/gas-bruciato-e-zaporizhzhia-in-bilico-sullenergia-mosca-mostra-i-muscoli-2657951632.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="kiev-tenta-di-ricucire-con-il-vaticano" data-post-id="2657951632" data-published-at="1661556238" data-use-pagination="False"> Kiev tenta di ricucire con il Vaticano Nel cuore dell’Italia, all’Aquila, il Papa andrà domenica per compiere una visita pastorale in occasione della festa della Perdonanza celestiniana. «Il perdono», ha detto Francesco in un’intervista concessa al quotidiano abruzzese Il Centro, «è l’unica arma possibile contro ogni guerra». Dopo le sue parole pronunciate mercoledì scorso contro «la pazzia della guerra», di ogni guerra, e dove ha ricordato tutte le vittime innocenti, fra cui anche Darya Dugina, la figlia del filosofo Aleksandr Dugin, si comprende una volta in più la prospettiva del Papa sul conflitto scatenato dalla Russia in Ucraina. Eppure giovedì, il ministro degli Esteri di Kiev aveva convocato il nunzio apostolico, Visvaldas Kulbokas, per comunicargli in modo formale che «l’Ucraina è profondamente delusa dalle parole del Pontefice, che equiparano ingiustamente l’aggressore e la vittima». Ieri, tuttavia, l’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, Andrii Yurash, ha un po’ corretto il tiro, pubblicando sui social le foto della visita del segretario di Stato Pietro Parolin di un anno fa e scrivendo: «È stata la seconda visita del segretario di Stato vaticano dall’inizio dell’invasione russa nel 2014 che ha mostrato per entrambe le parti quanto siano importanti le relazioni tra Ucraina e Santa Sede». Sulla vicenda è intervenuto ieri anche Andrea Tornielli, direttore editoriale dei media vaticani, con una dichiarazione rilasciata all’edizione ucraina di Vatican News. Il Papa, ha detto Tornielli, «riferendosi alla pazzia della guerra, che crea insicurezza per tutti, ha ricordato anche l’ultimo episodio di cronaca accaduto, l’attentato in cui è rimasta uccisa Darya Dugina. Ha parlato di lei definendola “povera ragazza”, per riferirsi alle circostanze drammatiche della sua morte, per ribadire che mai niente può giustificare l’uccisione di un essere umano. Il Papa ha parlato con il cuore del pastore, non del politico. Voleva esprimere la pietà cristiana per i morti, per tutti i morti, e non certo ferire i sentimenti della popolazione ucraina, che sperimenta l’orrore della guerra e continua ad avere tante vittime innocenti, e tra queste molti bambini». È quello che tanti, anche all’interno delle sacre stanze, continuano a non voler comprendere, desiderando un Francesco schierato con Kiev e con la Nato, magari benedicente l’invio di armi. La sua posizione però non è quella del «cappellano della Nato», né, peraltro, del «filputiniano», categorie buone per il battage televisivo, ma lontane dalla prospettiva del Papa. «Stiamo assistendo in questi mesi alla guerra in Ucraina», ha detto Francesco nella sua intervista al quotidiano Il Centro, «ma anche a tanti altri conflitti che non trovano abbastanza spazio nei mezzi di comunicazione ma che affliggono migliaia di persone e soprattutto di innocenti. Il male non si vince mai con il male, ma solo con il bene. Ci vuole più forza a perdonare che a fare una guerra. Ma il perdono ha bisogno di una grande maturazione interiore e culturale». Quando domenica prossima papa Francesco aprirà la porta santa della basilica di Santa Maria di Collemaggio all’Aquila, dando il via alla Perdonanza celestiniana, compirà il gesto che permette di comprendere la sua posizione. Occhi profani forse non vedranno nulla, ma ad occhi semplicemente aperti è permesso vedere una cosa semplice, che il Papa guarda all’umanità cercando di una prospettiva trascendente. Potremmo chiamarla geopolitica della spiritualità; la pace si fa con la conversione e il perdono, anche tra ucraini e russi.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Continua a leggereRiduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
Continua a leggereRiduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
Continua a leggereRiduci