2018-05-06
Ai funerali di Pamela, lacrime e un disertore: lo Stato
Diversi politici presenti ma il governo è rimasto assente all'ultimo saluto alla diciottenne stuprata e fatta a pezzi da nigeriani. Nella bara i resti raccolti in 32 sacchetti. I 32 sacchetti di plastica verdi numerati sono tutti in fila, pronti nella camera mortuaria. Quello che rimane di Pamela Mastropietro, la diciottenne fatta a pezzi a Macerata, i resti della mattanza lasciati in due trolley sul ciglio della statale, nell'obitorio della città marchigiana. In vista del funerale di ieri, la squadra di necrofori era partita alle 3 di mattina di venerdì da Roma per raggiungere Pamela e cercare di ricomporla. Di dare una parvenza di normalità a questa vittima straziata da una follia senza uguali. Un lavoro di pietà e lacrime durato ore, poi qualche velo a coprire lo scempio, un vestito e il rientro verso la chiesa della capitale, con Pamela adagiata in una bara bianca che attende l'ultimo saluto. E presto si arriva a ieri mattina, il funerale di Pamela. Quasi nessuno tra la folla che si accalca nella chiesa di Ognissanti, sull'Appia nuova dietro piazza Re di Roma, cerca una spiegazione agli occhi rossi, gonfi di quegli uomini in completo scuro delle pompe funebri, avvezzi al dolore degli altri ma meno al proprio. Sono tra i pochissimi in cravatta, spiccano tra le navate dove primeggiano fin dai primi banchi ragazze, donne, anziane, con indosso la maglietta bianca con riprodotta la foto del volto inclinato di Pamela, un mezzo sorriso dolce e la coroncina bianca del diciottesimo in testa.«Testarda, ovunque tu sia rimarrai sempre la mia regina… Ti vedo così su un trono», piange al microfono un'amica sull'altare. E giù applausi che rimbombano, diventano scrocianti quando tocca a mamma Alessandra, che non si ferma più: «Ti hanno fatto un male atroce ma tu sei viva. Ti sei meritata il Paradiso». L'urlo più straziante, però, è quello che non si sente. È quello che leggi negli occhi di Stefano, il padre di Pamela, quando lo abbracci. Sorregge a fatica l'ex moglie Alessandra, ma sembra non farcela più, schiacciato dalla morte e dall'assenza di giustizia. Troppo peso. Da vivere da soli, già abbandonati. In chiesa fanno rumore le assenze. Manca il potere e la responsabilità. Certo, c'è il sindaco di Roma, Virginia Raggi, con tanto di fascia tricolore che s'infila come il collega di Macerata nei banchi sotto l'altare con Giorgia Meloni, Maurizio Gasparri, Stefano Fassina e Domenico Gramazio. Presenze encomiabili, ma individuali. Non il Paese, il governo: il potere è il grande assente. Nessun altro leader politico nazionale, nessun esponente di governo. Il ministero della Difesa è rappresentato dai sei carabinieri che fanno cordone al feretro, mettendosi sull'attenti al passaggio della bara, protetti da centinaia di palloncini bianchi con la foto della ragazza, a forme di cuore che qui batte solo di speranza. Il Viminale ha schierato i poliziotti che fendono la folla. Degli altri, nemmeno l'ombra. Come se Pamela non fosse vittima per un Paese intero - tanto che i due sindaci proclamano lutto cittadino - ma solo per una piccola minoritaria comunità. Evidentemente, non si coglie che la misura della violenza inferta supera il perimetro della famiglia Mastropietro e sfregia la dignità di una nazione. Mutila il senso di sicurezza. Anestetizza quasi i principi della democratica convivenza. L'assenza delle istituzioni, aldilà della sparuta eroica pattuglia, è segno di una pericolosa indifferenza. Che, certo, offende i giovani che piangono e si stringono alla famiglia ma, soprattutto, rende buio il futuro di tutti. Se la politica qui è assente, mostrandosi quindi insensibile, come solo si può immaginare che proprio la politica ritenga una priorità che simili scempi non si ripetano? O, forse, dobbiamo incominciare a fare i conti, a scendere a patti con questa nuova inquietante normalità, di finire sezionati prima in un paio di trolley e poi nei sacchetti di plastica, colpevoli di essersi opposti a una violenza carnale? Allora meglio prendersi una boccata d'ossigeno con nonna Giovanna, l'archeologa, grande vocabolario, linguaggio fluido e sapiente, che dialoga con don Francesco, il parroco, ricordando quando faceva addormentare Pamela da bimba con le canzoni di chiesa.C'è Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, la ragazza figlia del messo vaticano sparita e mai ritrovata. Aveva persino suggerito un intervento del Pontefice, che però non è arrivato. Eppure in questa chiesa dove persino nell'omelia riecheggia la spiritualità di don Orione, con i giovani al centro della missione evangelica, le parole di Bergoglio riprodotte nei poster affissi sulle colonne non dovrebbero lasciare spazio ai dubbi. «L'adolescenza è una fase di passaggio nella vita non solo dei vostri figli, ma di tutta la famiglia - è tutta la famiglia che è in fase di passaggio; voi lo sapete bene e lo vivete; e come tale, nella sua globalità, dobbiamo affrontarla». Tutti insieme, sì. Per fortuna c'è il cuore di Roma, gente vera, in fila attende minuti e minuti pur di abbracciare e guardare negli occhi mamma Alessandra e infonderle un motivo in più per andare avanti. C'è una delegazione della comunità nigeriana - quattro, tutti uomini - che portano fiori a Pamela. Forse un po' pochi rispetto ai quasi 94.000 presenti in Italia. Ma questo, per bon ton e ipocrisia, sarebbe meglio non scriverlo.