Ospite della nuova puntata del talk condotto da Daniele Capezzone negli studi Utopia, Federico Freni, candidato alle prossime politiche con la Lega. Dibattito sulle proposte fiscali del partito.
Ospite della nuova puntata del talk condotto da Daniele Capezzone negli studi Utopia, Federico Freni, candidato alle prossime politiche con la Lega. Dibattito sulle proposte fiscali del partito.
Lucio Malan (Ansa)
La commissione Bilancio del Senato approva il testo in manovra dopo le tensioni con Bankitalia e Bce: le riserve auree appartengono ai cittadini. Lucio Malan: «Adesso nessuno potrà intaccare questo patrimonio».
Via libera all’emendamento sulle riserve auree della Banca d’Italia. Superati gli steccati issati dalla Bce, soddisfatte le perplessità della presidente Christine Lagarde, il testo riformulato sull’oro custodito da Bankitalia è approvato in commissione Bilancio del Senato e tutto lascia supporre che rimarrà fino al passaggio finale alla Camera.
Dall’opposizione definita come una «inutile norma», una bandierina che soprattutto la Lega si è voluta aggiudicare, in realtà ha un valore di sostanza. L’emendamento precisa un concetto che fino ad ora non era stato definito dall’ordinamento, ovvero che le riserve auree iscritte nel bilancio della Banca d’Italia appartengono al popolo italiano. Ciò nel rispetto dei trattati europei. Una precisazione necessaria, come spiegato in un dossier di Fratelli d’Italia per proteggere le riserve auree da speculazioni. Perché questo? Il capitale della Banca d’Italia, comprese quindi le riserve auree, è detenuto da banche, assicurazioni, fondazioni, enti e istituti di previdenza e fondi pensione aventi sede legale in Italia. In molti casi si tratta di soggetti privati, alcuni dei quali controllati da gruppi stranieri.
C’era quindi un motivo per esplicitare che le riserve auree sono di proprietà di tutti gli italiani. Il che non mette in discussione l’indipendenza della Banca d’Italia e tantomeno prelude a un’appropriazione magari per ridurre il debito, come qualcuno aveva ventilato. E proprio per fugare qualsiasi sospetto di strane manovre, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha dovuto addirittura inviare al presidente della Bce, Lagarde, chiarimenti ufficiali per rassicurarla che nessuno si sogna di trasferire la gestione delle riserve auree o di permetterne la vendita per finanziare lo Stato.
E non è nemmeno una «stranezza» italiana dal momento che alcuni Stati, anche membri dell’Ue, hanno già chiarito che la proprietà delle riserve appartiene al popolo, nella propria legislazione, mettendolo nero su bianco, a dimostrazione del fatto che ciò è perfettamente compatibile con i trattati europei. Così, alla fine, dopo una serie di aggiustamenti di percorso, il testo approvato è questo: «Fermo restando quanto previsto dagli articoli 123, 127 e 130 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, il secondo comma dell’articolo 4 del testo unico delle norme di legge in materia valutaria, di cui al decreto del presidente della Repubblica 31 marzo 1988, n. 148, si interpreta nel senso che le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d’Italia, come iscritte nel proprio bilancio, appartengono al Popolo Italiano».
Grande soddisfazione per l’approvazione soprattutto dal senatore leghista e relatore della manovra, Claudio Borghi: «È un momento molto importante, è una mia battaglia di 11 anni. Penso che sia una delle cose più importanti di questa manovra. Riaffermare il principio che l’oro della Banca d’Italia appartiene al popolo italiano ci riporta nella normalità».
«Affermando questo principio, mettiamo l’Italia sulla stessa linea della Francia e di molte altre nazioni. Sorprende che da sinistra ci sia la contrarietà a difendere questo patrimonio del popolo italiano», ha commentato il presidente dei senatori di Fratelli d’Italia, Lucio Malan, primo firmatario dell’emendamento. E sottolinea che così «le riserve auree italiane vengono messe al riparo da qualsiasi manovra che in futuro possa intaccare questo patrimonio del lavoro degli Italiani che oggi vale circa 290 miliardi, e che Romano Prodi voleva vendere nel 2007, quando valeva sette volte di meno». Sempre Lucio Malan ricorda che «già nel 2014 Giorgia Meloni, insieme a tutti i deputati di Fratelli d’Italia, presentò un ordine del giorno, nel 2019 ci fu una mozione di Giovanbattista Fazzolari con tutti i senatori».
Insomma un punto d’approdo importante per le forze della maggioranza, sollevato da tempo e riproposto al dibattito in più di un’occasione.
«Un risultato storico - dice il vice responsabile nazionale del dipartimento Imprese di Fdi, Lino Ricchiuti - che afferma un principio di buonsenso, rafforza la tutela del patrimonio nazionale e mette fine a decenni di ambiguità». L’Italia è tra i primi tre Paesi al mondo per quantità di oro custodito dalla propria banca centrale. Parliamo di oltre 2.400 tonnellate, una ricchezza accumulata nel tempo, difesa anche dopo la Seconda guerra mondiale, «e oggi - afferma Ricchiuti - protetta da ogni rischio di speculazione e di rivendicazione impropria».
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Nirmala Sitharaman (Ansa)
Via libera del Parlamento alla piena proprietà straniera nel settore: l’obiettivo è attirare capitali, rafforzare i controlli e accelerare lo sviluppo di un mercato che resta ancora poco diffuso tra famiglie e imprese.
Nuova Delhi compie un passo decisivo verso una maggiore apertura ai capitali internazionali. Il Parlamento indiano ha approvato una riforma che consente, per la prima volta, la piena proprietà straniera delle compagnie assicurative operanti nel Paese. Una scelta che segna una svolta in un settore strategico ma ancora poco sviluppato, e che riflette la volontà del governo di accelerare la modernizzazione dell’economia.
Fino ad oggi, la presenza estera nel comparto assicurativo era soggetta a limiti stringenti. Dal 2001, anno dell’apertura iniziale, la quota massima di partecipazione straniera è cresciuta gradualmente dal 26% fino all’attuale 74%, oltre la quale era necessario individuare un partner locale. Un vincolo che, secondo il governo, ha spesso frenato gli investimenti e rallentato l’ingresso di nuovi operatori internazionali.
«Trovare un partner indiano affidabile per una quota minoritaria si è rivelato, in molti casi, un ostacolo insormontabile», ha spiegato la ministra delle Finanze Nirmala Sitharaman durante il dibattito parlamentare. La riforma, ha aggiunto, non indebolirà la sovranità decisionale del Paese: le compagnie a capitale interamente straniero resteranno soggette alle leggi indiane e alla vigilanza delle autorità nazionali.
Accanto alla liberalizzazione delle quote azionarie, il provvedimento rafforza in modo significativo i poteri dell’Autorità di regolamentazione e sviluppo delle assicurazioni (IRDA). Il regolatore potrà condurre ispezioni, perquisizioni e sequestri di documenti in caso di sospette violazioni, irregolarità contabili o pratiche commerciali scorrette, estendendo la propria azione anche a intermediari come banche, società fintech e piattaforme online.
Una misura che mira a contrastare un problema diffuso: la vendita impropria di polizze, spesso presentate ai clienti come strumenti di investimento più che come coperture assicurative, a vantaggio degli intermediari. Il rafforzamento dei controlli è visto come un passaggio necessario per ristabilire fiducia in un settore che coinvolge milioni di risparmiatori.
I numeri spiegano perché il governo punta sull’apertura ai capitali esteri. Nonostante la crescita economica sostenuta, la penetrazione assicurativa in India resta bassa: poco più del 4% del Pil, con una quota ancora inferiore per le assicurazioni sulla vita. Secondo le stime, finora gli investimenti stranieri complessivi nel settore non superano i 10 miliardi di dollari.
L’esecutivo spera che l’arrivo di nuovi operatori globali porti non solo risorse finanziarie, ma anche competenze, tecnologie e pratiche gestionali più avanzate. Alcuni grandi gruppi internazionali,come Allianz, Axa e AIA, sono già presenti nel Paese attraverso joint venture con partner locali, ma la nuova normativa potrebbe ridisegnare equilibri e alleanze, aprendo la strada a un riassetto dell’intero comparto.
Per l’India, che ambisce a consolidarsi come una delle principali economie mondiali, la riforma delle assicurazioni rappresenta un tassello chiave: un mercato più profondo e competitivo è considerato essenziale per sostenere la crescita, proteggere famiglie e imprese e attrarre capitali in un contesto globale sempre più selettivo.
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Leone XIV (Ansa)
Leone XIV randella i volonterosi senza alcuna volontà, se non quella di portare l’Europa alla guerra. Ma la stampa nostrana racconta solo della sua visita al Senato. Se le stesse cose le avesse dette Francesco avrebbero riempito pagine intere...
La stampa italiana è veramente un po’ particolare. Avanti ieri il Papa ha parlato della guerra. Ha dato ciabattate praticamente a tutti, a partire dall’Europa, ma i giornali si sono occupati solamente di raccontare la sua visita a sorpresa in Senato. Figuratevi voi se ne avesse parlato papa Francesco: avrebbero fatto titoli a piena pagina, qualcuno forse avrebbe fatto anche la sovracopertina. D’altra parte, papa Francesco era sudamericano, era de sinistra, era alla moda perché parlava ar popolo. Questo invece, oltre ad avere la di per sé infamante origine statunitense, è atlantista (grave onta); non s’è capito ancora ma sembra de destra (ha dato la possibilità, ai cattolici che lo vogliono, di dire la messa in latino); ha ricominciato a parlare del Sacro e dei Misteri Cristiani e, quindi, a questa massa di ignorantoni non è che piaccia poi granché, nun se capisce da che parte stà.
Non è il caso di rifare qui la storia della controversia teologica della «guerra giusta» che ha occupato per secoli le menti più raffinate della teologia. Questa dottrina prevedeva che la guerra fosse dichiarata solo dalla Legitima auctoritas, la legittima autorità politica, al tempo il sovrano; prevedeva, inoltre, che ci fosse una iusta causa, che sostanzialmente si trattava della difesa da un’aggressione di uno Stato più debole aggredito, appunto, ingiustamente; prevedeva, inoltre, che tutto fosse fatto secondo il Debitus modus e cioè entro i limiti, come furono previsti molto dopo dalle Convenzioni di Ginevra, tutt’ora in vigore, che prevedono varie regole da seguire durante la guerra e che riguardano vari aspetti di essa. Il Catechismo della Chiesa cattolica più recente, voluto da Giovanni Paolo II e guidato dall’allora cardinale teologo Joseph Ratzinger, dedica alla difesa della pace molti articoli, dal numero 2302 al numero 2317, dove si condanna la corsa agli armamenti, si ricordano le leggi morali durante i conflitti armati e che bisogna fare tutto ciò che è ragionevolmente possibile per evitare la guerra. Del resto, Giovanni XXIII, con l’Enciclica Pacem in terris e il Concilio Vaticano II, nella Costituzione Gaudium et spes, ai numeri 77 - 82, abbandonò il concetto di guerra giusta a favore di quello di «legittima difesa in campo internazionale».
Capite bene, da questa breve sintesi, che la Chiesa, a proposito della guerra, ha sempre ragionato in termini di teologia morale, cioè di quella parte della teologia che si occupa della moralità degli atti umani, ivi compresi quelli di natura politica nazionale e internazionale. Sarebbe ora di dare una ripassatina alla storia per capire che non si tratta di Papi di destra o di sinistra che parlano di guerra, ma di Papi che esercitano il loro ruolo di capi universali della Chiesa cattolica e che, se la discussione si può fare, la si deve fare in termini teologici (anche storicamente considerati) e non in altri termini. Altrimenti non si capisce niente. Come non hanno capito niente tutti quei quotidiani che ieri non hanno riportato le parole di Leone XIV. Perché, volendo escludere, per cchristiana pietate, un pur palese ammanco di conoscenza, non rimane che quanto dicevamo sopra, e cioè che questo Papa varrebbe meno perché non è de sinistra secondo una classificazione di una nuova corrente teologica che è la teologia de’ noantri.
Il Papa, come ha egregiamente riferito Alessandro Rico su La Verità di ieri, ha randellato l’Europa in trincea che «Usa la paura in nome del riarmo… siamo oltre la legittima difesa: è destabilizzazione planetaria. Provano persino a rieducare al conflitto mediante media e corsi scolastici. E considerano una colpa non prepararsi alla guerra».
Tutto questo, come ricorda Rico: «Nel giorno in cui il Consiglio Ue dava il via libera al ReArm, il Papa ha voluto tirare le orecchie degli eurocrati nascoste sotto gli elmetti…nel rapporto tra cittadini e governanti si arriva a considerare una colpa il fatto che non ci si prepari abbastanza alla guerra, a reagire agli attacchi, a rispondere alle violenze». Questo avveniva il giorno prima che Donald Trump sostenesse che non esclude una guerra col Venezuela. Questo giornale ha da sempre sostenuto che può anche non piacerci Trump ma che le sue iniziative di mediazione tra Russia e Ucraina e tra Israele e i palestinesi (anzi Hamas) fossero gli unici tentativi concreti di fronte a un’Europa inerme, a un’Onu assente, a un gruppo di volenterosi che hanno tanta volontà quanta inefficacia. Diceva l’antica filosofia Scolastica: «Nihil volitum nisi praecognitum», non si può volere ciò che prima non si conosce. Infatti, questi volenterosi hanno avuto tanta volontà quanta poca conoscenza di come andavano fatte le cose e di quali erano le possibili vie diplomatiche per arrivare ad accordi di guerra o di pace.
Il Papa fa il Papa, questa è una tautologia: dove il predicato, il Papa, è contenuto già nel soggetto, il Papa. Ma evidentemente ad alcuni è difficile comprendere anche la figura filosofica più semplice, la tautologia, appunto. Se uno non comprende una tautologia è bene che rinunci all’uso del cervello e all’esercizio della ragione e si dedichi ad opere manuali ripetitive e prive di ausilio razionale, tipo picchiare la testa contro il muro con il pericolo, in questo caso specifico, che la testa rimanga integra e il muro vada in frantumi. Senza dirlo esplicitamente, che accuse ha lanciato il Papa agli Stati e alle organizzazioni internazionali? Quella dell’assenza di soggetti che non agiscano solo per autorità (ben oltre i confini della «legittima difesa internazionale»), sguarniti di quella autorevolezza che ha garantito durante la storia, anche limitatamente al Novecento, il raggiungimento di accordi che hanno ridisegnato l’assetto geopolitico del mondo. Quell’autorevolezza è purtroppo assente sia nelle figure di rilievo internazionale sia nelle organizzazioni che sarebbero preposte a garantire e tutelare l’ordine geopolitico mondiale. Con il suo ciuffo posticcio e con dei modi che non ci piacciono l’unico a cui aggrapparci si chiama Donald di nome e Trump di cognome. È americano anche lui, come il Papa, ma questo vale in tutta questa questione quanto il due a briscola che, presto o tardi, sarà sostituito nella grafica delle carte dalla faccia della Von der Leyen.
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