2019-01-15
«Frasi razziste contro i neri». Revocati tutti i titoli al Nobel Watson
Il «papà» del Dna James Dewey Watson, 91 anni, in una recente intervista, ha affermato che le persone di colore hanno un Qi più basso dei bianchi. Il che è vero. È un dato di fatto. La media del Qi più alta in assoluto si trova tra ebrei ashkenaziti e asiatici; leggermente al di sotto ci sono i bianchi di origine europea; ai gradini più bassi si trovano ispanici e afroamericani. «C'è una differenza nella media tra neri e bianchi nel test del Qi: direi che la differenza è genetica». Questa frase è costata al genetista americano premio Nobel per la medicina nel 1962, James Dewey Watson, la revoca dei titoli onorifici da parte del Cold Spring Harbor Laboratory, l'ente di ricerca di cui è stato presidente per 35 anni.Watson, 91 anni ad aprile, è, insieme a Francis Crick, Maurice Wilkins e Rosalind Franklin, lo scopritore della struttura della molecola del Dna. Le parole incriminate le ha pronunciate durante una recente intervista alla Pbs. Ma il biologo statunitense non è nuovo a sortite di questo genere. Già nel 2007 finì nella bufera per aver detto all'Independent che «l'idea dell'eguaglianza della ragione condivisa da tutti i gruppi razziali si è rivelata una delusione» e che «chi ha a che fare con dipendenti di colore pensa che ciò non sia vero». A quelle dichiarazioni seguirono scuse contrite. Eppure, il «papà» del Dna non sostiene esattamente che i neri siano meno intelligenti dei bianchi. Watson afferma che i neri hanno in media un quoziente intellettivo più basso. Il che è vero. È un dato di fatto. Sono anni che gli studiosi analizzano il fenomeno. Le rilevazioni dicono che, negli Stati Uniti, la media del Qi più alta in assoluto si trova tra ebrei ashkenaziti e asiatici; leggermente al di sotto ci sono i bianchi di origine europea; ai gradini più bassi si trovano ispanici e afroamericani. Un altro discorso, ovviamente, è il modo di interpretarlo, questo dato di fatto. La comunità scientifica, in genere, considera le difformità nei risultati dei test d'intelligenza come un effetto delle differenze socioeconomiche tra le varie etnie. Non è che ispanici e neri siano svantaggiati perché sono meno intelligenti; hanno risultati peggiori nel test del Qi proprio perché partono svantaggiati. Una riflessione, poi, la si dovrebbe dedicare all'affidabilità del quoziente intellettivo come indice d'intelligenza tout court. I test valutano la memoria a breve termine, la conoscenza lessicale, la velocità di percezione, le capacità logiche, ma non è detto che siano in grado di determinare con certezza chi sarà il prossimo Albert Einstein. O che possano stabilire senza possibilità di errore che un ipotetico Einstein in realtà sia un idiota. Però non si può sostenere nemmeno che la tesi di Watson, secondo cui le differenze nel quoziente intellettivo sarebbero genetiche, sia totalmente falsa. Diversi studi provano che esiste un certo indice di ereditarietà nel Qi. Magari il biologo americano fa male a usare un'arma spuntata per squalificare un'intera etnia. Magari il concetto di Qi è fuorviante e non c'entra un fico secco con la vera intelligenza. Ma Watson non è stato certo colto da demenza senile, come adombrano i suoi familiari, i quali invitano chi lo attacca a considerare le sue condizioni di salute in seguito a un incidente stradale avvenuto poco tempo fa.In ogni caso, se sono certamente discutibili gli esiti razzistici delle dichiarazioni di Watson, lo è pure la revoca delle onorificenze disposta dall'istituto da lui a lungo diretto. Bastano le sue provocazioni per giustificare l'ostracismo? Basta l'anti scientificità delle sue tesi, evocata dal suo ex centro di ricerca, per procedere alla damnatio memoriae? Se di criteri scientifici si deve parlare, allora bisognerebbe ritirare la patente di scienziati pure a quegli psicologi che propagandano la teoria gender, che di scientifico ha davvero poco.E se la colpa di Watson non stesse né nel razzismo né nell'anti scientificità, bensì nei preoccupanti accenti eugenetici delle sue uscite? Anche su questo, la scienza ufficiale casca male. Primo, perché con la scusa delle diagnosi prenatali, delle «vite indegne di essere vissute» e della pietà per i malati, ha avallato stragi di bimbi Down e cliniche per il suicidio assistito. Secondo, perché che Watson la pensasse così è noto da più di 20 anni. Nel 1997, il genetista disse al Sunday Times: «Se si potesse trovare il genere che determina la sessualità e una donna decidesse che non vuole avere un figlio omosessuale, beh, io l'appoggerei». Allora, a difenderlo intervenne un suo collega, grande sostenitore dell'aborto: Richard Dawkins. In una lettera all'Independent, Dawkins scrisse che le frasi di Watson erano state fraintese e che il premo Nobel non era un omofobo, ma semplicemente un pro choice. Quando Watson parlava come il dottor Mengele, era lecito dargli man forte, sacrificando la causa Lgbt nel nome di quella abortista. Se invece se la prende con i neri, chi per decenni ha beneficiato del suo contributo lo condanna all'oblio eterno.Intanto, stiamo ancora aspettando la migliore smentita delle teorie di Watson: un nero che vince il Nobel per la medicina. Per adesso, almeno il premio dell'Accademia di Svezia se lo tiene lui.