2023-06-22
Francia e Italia in pressing sulla Libia per accelerare il ritorno alle elezioni
Emmanuel Macron e Giorgia Meloni (Ansa)
L’obiettivo è portare il Paese al voto entro il 2023 sotto il cappello dell’Onu. Intesa anche sulla Tunisia: nuovo pacchetto di riforme.Martedì Parigi è stata un complesso crocevia. La città - in contemporanea - ha ospitato la settimana della moda, il salone dell’aerospazio di Le Bourget, la candidatura per l’expo 2030 all’assemblea del Bureau international des expositions e, infine, l’incontro bilaterale tra Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron. Sul primo appuntamento non c’è competizione. Le aziende del lusso sono ormai quasi tutte francesi anche se ormai da tempo si è formato un equilibrio tra i due Paesi. La testa è Oltralpe, ma la produzione è in larga misura in Italia. Invece, sui temi Spazio, aviazione e Difesa le frizioni tra i due Paesi proseguono, anche se allo stesso tempo raddoppiano le attività congiunte. Il Salone cade anche a quasi un anno e mezzo dall’avvio della guerra in Ucraina e all’indomani dall’invio di una batteria di missili Samp/t agli ucraini. Metà fornita dal nostro Paese e metà da Parigi. Un salto enorme nei rapporti, anche se alla fine con un’arma che è già per definizione europea. Gli attriti, invece, tra Italia e Francia rischiano di consumarsi attorno all’Expo. L’altro ieri la Meloni si è recata Palais des Congrès d’Issy. Si è presentata con un dossier per sostenere Roma. La stessa cosa hanno fatto i sauditi che hanno preso l’aereo per Parigi per portare la candidatura di Riad. In secondo piano c’è pure Busan in Corea del Sud e Odessa in Ucraina. Quest’ultima è già stata scartata e quindi alla Meloni non resta che chiedere l’appoggio di Volodymyr Zelensky. Purtroppo difficilmente avrà quello di Macron, il quale mentre la attendeva per un bilaterale sui temi delicati dell’immigrazione e del Sahel si metteva d’accordo con la dinastia Bin Salman per dare il proprio voto a Riad. Anomalo. Di solito i Paesi europei si appoggiano tra di loro. Ma si sa la Francia gioca sempre su più tavoli e sa ben governare i propri interessi all’estero anche con attività di vera e propria intelligence economica di contrasto. Basti ricordare quando spedirono Cesare Battisti in Brasile per fare saltare i rapporti diplomatici con l’Italia e soffiarci un giro di appalti di svariati miliardi. Da noi ci fu anche un’inchiesta giudiziaria. Immancabile. Passati gli anni, non cambia lo schema. Almeno fino a che non conviene a Parigi. Ciò che sembra accadere in questi momenti, in cui il vento sembra soffiare nella direzione del governo Meloni. Infatti, nel bilaterale avvenuto tra Eliseo e Palazzo Chigi, ultimo evento del martedì infuocato di Parigi, Macron si è seduto a trattare e forse per la prima volta ha preso atto di un trattato, quello del Quirinale, che dovrebbe garantire sempre reciprocità. I temi principali sul tavolo sono stati quelli relativi all’immigrazione, alla Tunisia e alla Libia. Le parti, sul Paese guidato da Kais Saied, avrebbero condiviso un percorso comune di contrasto al terrorismo e ai flussi di immigrati irregolari. Non solo, l’idea è quella di scrivere un nuovo percorso di riforme, più lungo e con impatto diverso, in modo che il presidente di Tunisi possa accettare le riforme imposte senza perdere la faccia con l’opinione pubblica locale. Soprattutto il percorso a matrice italofrancese renderebbe più facile l’accettazione dell’erogazione di fondi in sede di Fondo monetario internazionale. E, inoltre, più facile per la Germania votare a favore del pacchetto aiuti targate Unione europeo. Anche se su questo fronte a spingere adesso è la stessa Francia, che ha compreso come il deterioramento sociale ed economico della Tunisia porterebbe a un’invasione pure Oltralpe. Diverso è più interessante è l’accordo partorito in relazione alla Libia. Qui Italia e Francia sembrerebbero finalmente essersi messo d’accordo. L’obiettivo è fare pressing congiunto sia su Khalifa Haftar, il leader di Bengasi, sia su Mohammed Dbeibeh, titolare del governo di Tripoli. L’obiettivo è chiaro: portare i due leader ad accettare le elezioni in termini brevi e sotto il cappello delle Nazioni unite. L’ideale sarebbe in una data che non superi il prossimo dicembre. In vista del Consiglio europeo dei prossimi 29 e 30 giugno, Meloni e Macron hanno espresso una posizione comune anche sul dossier dei flussi migratori. Il titolare dell’Eliseo ha affermato che è necessario «lavorare meglio con i Paesi di transito e di origine per evitare i flussi in arrivo». «Questo è il senso anche dell’iniziativa tunisina», ha detto Macron. «Vogliamo rafforzare il controllo delle nostre frontiere esterne di cui fa parte l’Italia come Paese di primo ingresso», ha aggiunto il capo dello Stato. Una posizione apprezzata da Meloni, che ha tuttavia ribadito come al prossimo vertice europeo sarà necessario fare un passo avanti sulla dimensione esterna dei flussi migratori. «Governare i flussi primari per poter gestire quelli secondari», ha detto la premier, sottolineando che «nella dimensione esterna diventa centrale il partenariato con i Paesi del Nord Africa e non solo». «Servono alternative che ci permettano di organizzare una migrazione illegale e stroncare quelle illegali, non possiamo continuare a consentire lo schiavismo nel terzo millennio», ha detto il presidente del Consiglio. Accantonati i dissidi dell’ultimo periodo, insomma, Italia e Francia possono tentare di intraprendere una strada comune e «rafforzare il dialogo» sia a «beneficio dei nostri interessi nazionali» - dato un interscambio commerciale pari a 111 miliardi di euro che si punta a rafforzare -, «sia dell’Europa», ha affermato la Meloni. La partita si gioca però in Tunisia e in Libia e per capirlo bisognerà osservare le mosse della Turchia. Il convitato di pietra al bilaterale Italia e Francia. Quindi un po’ dipenderà da come è andato l’incontro tenutosi ieri sera tra il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e l’omologo turco Hakan Fidan. Il quale non è un semplice ministro. È stato per tanti anni il capo del Mit, l’intelligence di Ankara, e tuttora è una delle menti più fini dell’entorurage di Erdogan.
Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?
Piergiorgio Odifreddi (Getty Images)