2025-04-24
Fra sogno triplete e paranoia flop. L’ultimo miglio dell’Inter è da film
La squadra di Inzaghi, di gran lunga la più forte del campionato, si è condannata a dover vincere su ogni fronte. Ma adesso che arrivano i match decisivi e la benzina scarseggia, cresce la paura di restare a secco. Nei momenti difficili arriva lui a spiegare l’arcano, quello che teorizzò gli «zero tituli» per gli altri. Parole e musica di Josè Mourinho dalla Turchia: «Barcellona-Inter fu la sconfitta più bella della mia carriera perché ci aprì le porte della finale». Ad Appiano Gentile sperano che 15 anni dopo, a fine stagione, si possa dire lo stesso del derby di Coppa Italia. Vinto con stramerito dal Milan e determinato dalla notte magica di un ex giocatore come Luka Jovic, capace di far sdraiare direttamente sul lettino dello psicanalista il mondo nerazzurro, da oggi in fibrillazione.Le certezze dell’Inter sono uscite a pezzi dalla stracittadina e per Simone Inzaghi l’ultimo mese da qui a fine campionato sarà il più lungo. Con un gruppo atleticamente stanco, mentalmente provato, psicologicamente sotto pressione, sopravvalutato nella qualità di alcune riserve rimaste «riserve» (Kristjan Asslani, Marko Arnautovic, Davide Frattesi, Joaquin Correa, per non parlare del fantasma Mehdi Taremi), decimato dagli infortuni muscolari. E con, sulle spalle, il macigno di poter chiudere una galoppata di ottimo livello (i 100 milioni dalla Champions li vorrebbero con la bava alla bocca tutti i club rivali) con zero tituli. Un incubo per il tecnico di Piacenza, che vede il prolungamento del contratto non più così scontato. E che mercoledì sera ha mostrato nervi fragilissimi quando - a partita andata ampiamente in vacca e con gli sfottò dei cori rossoneri negli orecchi - si è messo a gridare al quarto uomo: «Non voglio il recupero, non prendetemi per il c… Non lo voglio!». Sull’orlo di una crisi di nervi, il mister nerazzurro ha colto l’essenza del problema metafisico: finire con un pugno di mosche in mano. E ha capito di essere piombato dentro due trappole: la prima, tattica, di Sergio Conceiçao (difesa chiusa e contropiede, non è la prima volta) e la seconda psicologica per via della bufala del triplete, con quel combinato disposto al curaro che sanno essere i media e i social. Un triplete si battezza dopo, non si ipoteca prima. Lo sanno anche i fanatici della Playstation. Per la verità nessuno (da Beppe Marotta allo stesso Inzaghi) ha mai commesso un errore così infantile. Più volte hanno detto: «Non scegliamo, vogliamo arrivare in fondo a tutto». La legittima speranza di quello che oggi è - per organizzazione, gioco, immagine all’estero e risultati - il club più forte d’Italia. Ma «l’adelante Pedro» era un obiettivo ritenuto legittimo, non una sbruffonata alla Muhammad Alì. Conseguenza? Caso giornalistico servito su un piatto d’argento: questi devono vincere il triplete. Come impiccarsi alle parole. Nereo Rocco non ci sarebbe mai cascato. A chi gli augurava vinca il migliore, lui rispondeva: «Speremo de no!». Nella cesta fino all’ultimo. Capito Alessandro Bastoni? Tutto chiaro Henrikh Mkhitaryan?Il triplete era una pretesa ridicola, con una squadra di 13 titolari e quattro riserve schierabili, quindi al livello di Juventus e Milan. Che meno dell’Inter hanno un quintale di organizzazione di gioco, non certo i cognomi da schierare sull’erba. Pure la giustificazione delle tante partite (finora 51) regge fino a un certo punto: il Milan ne ha giocate solo due in meno, anche se spesso ha riposato in campo. Ora Inzaghi sa che per una squadra stanca, acciaccata e senza più certezze il capolinea della Champions potrebbe essere Barcellona (forse lo sarebbe anche con un’Inter stellare) e quello dello scudetto fra Roma, Torino, Lazio, perfino Como. Tra l’altro a vantaggio del Napoli che arranca, pur miracolato dall’adrenalina cosmica di Antonio Conte.Commentando la sconfitta, ieri Andrea Stramaccioni ha colto nel segno: «Nel derby l’Inter è partita forte ma è calata molto nella ripresa; le sue avversarie cominciano a mettere in preventivo che nei finali possa fisiologicamente concedere qualcosa». E se il ko di Bologna è ancora imputabile a un cedimento casuale (Riccardo Orsolini che pesca il jolly al 94’), quello con il Milan è già un cedimento strutturale. Ed è la conseguenza, perfino la presunzione di non voler scegliere. E di non ricordare quel sacro motto dei nonni: «Chi troppo vuole nulla stringe». Frenata, warning. Poiché non c’è nulla di più aleatorio di un pallone che rotola, tutto è ancora in bilico. Per quest’Inter entrata in modalità «psycho» c’è la possibilità di tornare a ruggire: recupera Markus Thuram e i lungodegenti Denzel Dumfries e Piotr Zielinski, spera che prima di giugno Frattesi impari a memoria qualche schema. Nel frattempo Marotta e Ausilio hanno cancellato dalla lista dei nomi per la prossima stagione quelli di Taremi, Correa, Arnautovic, Asllani, forse nonno Acerbi. Aprile, il più crudele dei mesi, sarà una resa dei conti per tutte le grandi. Anche per quelle che il triplete se lo sono giocato al bar sport dall’agosto scorso. La Juventus in transizione prova ad aggrapparsi alla Champions dopo un anno disastroso culminato con il fallimento di Thiago Motta. E il Milan si ritrova con un interrogativo paradossale in casa: Conceiçao, corresponsabile della stagione più imbarazzante degli ultimi 30 anni (nono posto, fuori dalla Champions e a 20 punti dalla vetta), ha in tasca la password per hackerare l’Inter. E la concreta possibilità di alzare un trofeo. Direte, ma è la Coppa Italia, la stessa che i milanisti ridicolizzavano quando a vincerla erano gli altri. Dopo un periodo di buio pesto, anche una lampadina che dondola sul soffitto sembra il sole. Nel frattempo il portoghese, un altro sigaro l’ha messo da parte.
Jose Mourinho (Getty Images)