2024-07-13
Le foreste dei padri perduti che danno continuità al mondo
Per molti anni ho cercato negli alberi nuove radici, dopo aver reciso quelle che mi legavano alla mia famiglia. Adesso che chi mi ha dato la vita è mancato, mi accorgo di guardare a tronchi e foglie anche con i suoi occhi.Ci sono momenti nella vita nei quali accadono cose che sapevi, lo sapevi razionalmente che prima o poi sarebbero sopraggiunte. La morte di un genitore appartiene, in linea naturale, a questo catalogo. Eppure in ogni caso, anche se atteso, anche se probabile, quando ti ci ritrovi nel mezzo capisci che non ne avevi la minima idea. È accaduto, sta accadendo, ci sei dentro ma che cosa vuol dire? Che cosa sta accadendo? La morte stessa che cos’è? Ti sembrava tutto chiaro, ma ora non lo è più.Mio padre era malato da tempo. Siamo rimasti separati per quindici anni, a causa di temperamenti distinti e burrascosi. Per quanto mi riguarda mi ero convinto che l’unico modo di volerci bene fosse alfine quello di ignorarci. Abbandonata quella casa, la casa del padre, del dio-padre, mi sono concentrato su altre possibilità, e da questo scarto, da questo scasso, era sorta una gemma invisibile alla quale ad un certo punto si è radicata l’idea che ha modificato il mio tempo tra i consimili, tra gli umani: se non sono più un figlio, potrei diventare un homo radix? Un uomo radice che trova tra gli alberi, nelle selve, la sua nuova patria, la sua nuova casa, i suoi nuovi padri? Così nasce un percorso, un’intuizione, e alcune parole che mi sono divertito a cucire in tanti libri composti. Quando, due anni orsono, mio padre è rientrato nel mio orizzonte, questa identità al contempo intima e letteraria, poetica, ha iniziato a vacillare ed a infragilirsi. Inoltre il Covid mi ha segnato così tanto, fisicamente, mi ha distolto dagli anni della meditazione mattutina e quotidiana, dalle lunghe camminate, dalla frenesia del cercatore di alberi secolari e monumentali che mi aveva pervaso, come una religione isterica, per oltre un decennio. I grandi alberi a cui mi ero aggrappato come si fa con una roccia prima di scivolare in un dirupo, continuavano a essere i miei «maestri spirituali»? Oppure ora che un padre vero e proprio è rientrato a snocciolare il tempo, sono cambiati? Non ho avuto pronta la risposta, ho continuato ad abitare le due condizioni ma avanzavo nell’ignoranza e nell’incertezza.Poi mio padre si è ammalato gravemente, la chemio gli è esplosa dentro come un sole e già in primavera l’ipotesi che l’estate sarebbe stata lunga e travagliata iniziava a bussare alla mia immaginazione. Non ero di certo pronto a pensare ad altro, ad oltre. Oltremodo mio padre elargiva ottimismo: Tutto bene! Non sento neanche dolore! La dottoressa è contenta e fiduciosa! Gli ultimi esami dicono che abbiamo addirittura dimezzato la malattia! Lo raccontava a me di persona e al telefono, e lo stesso faceva con tutti gli altri e anche al suo unico fratello rimasto, mio zio Mario. Eppure quando lo incontravo l’impressione era ben diversa. Ma che dire? E che fare? Si è soltanto spettatori, non si può far null’altro. Mi dicevo: speriamo siamo come dice.In queste ultime due settimane mi si è aperta sotto i piedi una bocca dell’inferno. La sera telefonavo dopo cena a mio padre per sapere come stesse, non tutti i giorni, un paio di volte la settimana. Il mio lavoro oltremodo mi porta spesso in giro per l’Italia, e in certi mesi più di altri. Giugno è un mese così, si è più altrove che a casa. Gli telefono lunedì sera e non risponde. Starà cenando penso, e attendo. Lo richiamo domani, mi dico. Il giorno dopo sono di nuovo in viaggio e mi passa di mente. Mercoledì invece lo richiamo e ancora nulla. Che strano… attendo giovedì per chiamare nella struttura dove aveva voluto andare a vivere in questi mesi, attendendo lo svolgersi della malattia e della cura. E mi dicono che sono giorni che mi cercano, ma senza trovarmi. L’abbiamo cercata, eppure il mio telefono non ha suonato. Vengo a sapere che ha avuto un peggioramento e che è stato ricoverato all’ospedale della città capoluogo più vicina. Così inizio a tempestare di telefonate l’ospedale e la mattina dopo ci vado. Scopro che non è più al Pronto soccorso, ora è ricoverato in Geriatria. Al secondo piano dell’ospedale trovo mio padre contenzionato al letto. Passando nel corridoio e sbirciando nelle stanze, con quel senso di inopportuno che ti prende alla gola, vedo un uomo sul letto, che oscilla come una torre che sta per precipitare, la testa nuda, ma non lo riconosco. Percorro l’intero corridoio e provo a domandare alle infermiere, racimolando alcuni sguardi colmi d’astio e un ringhio da cinghiale. Devo trovarlo da solo, così ritorno al letto numero 12 dove in effetti è lui. La chemio gli ha tolto tutto, dignità e capelli, e ora perché è qui in questo stato? I polsi fasciati e legati, i piedi fuori da un letto troppo corto per lui. Lo chiamo ma non mi risponde, c’è, è lui ma non parla, non guarda, è vivo ma solo per lamentarsi. Cerco di calmarlo, provo a slegargli i polsi che tra l’altro sono macchiati di sangue rappreso. Insomma, la scena è titanica, spaventosa, inaudita. Certo, non potrò chiedere comprensione a coloro che ne vedono ogni giorno, e forse anche di peggio. Ma io che cosa ne posso? Sono un figlio impotente davanti ad un padre che ha smesso di esserlo come è sempre stato? Chi sono io adesso e chi è lui adesso? Quando un figlio è un figlio e quando un padre è un padre? E dunque quando un essere umano è ancora un essere umano? Sono domande che mi permetto di elencare adesso che tutto è avvenuto, ma in quel momento la testa, ed il cuore, erano ben colmi d’altro.Le condizioni di mio padre sono peggiorate, ogni giorno ci si avvicinava al capolinea. E alla fine è stato quasi un sollievo, anche se mi vergogno a riconoscerlo, e dirmelo. Ho accompagnato il suo corpo nei giorni seguenti fino al tempio crematorio dove è tutto terminato, definitivamente. E ho scoperto dopo, fino alle lacrime, che alla prima camminata in un sentiero lui era – è – ancora con me: la prima fragola selvatica che ho assaggiato l’ho assaggiata curiosamente, strabiliarmente, anche con la sua bocca, e il bosco che avevo intorno l’ho osservato anche con i suoi occhi. E mi sono detto, a fior di labbra: Vedi? Ti piace? Guarda lì… Il corpo di mio padre è scomparso, la sua voce non la potrò mai più sentire, ma lo ritroverò in tutte le minime o vaste foreste dei padri perduti che abitano il mondo.
Il ministro della Giustizia carlo Nordio (Imagoeconomica)