2025-09-29
«Vi racconto la Flotilla: troppi interessi privati»
Nel riquadro, il fotoreporter Niccolò Celesti (Ansa)
Il fotoreporter Niccolò Celesti: «A bordo mancano trasparenza e rispetto, servirebbe meno protagonismo. Sul “Manifesto” hanno cercato di farmi passare per un instabile. Ho solo segnalato che non hanno calcolato pericoli e imprevisti».Global Sumud Flotilla è la più potente arma di pace e il progetto più significativo per fermare il genocidio a Gaza che sia stato messo in campo negli ultimi tempi. È un’iniziativa capace di smuovere governi, media, televisioni e persino i più critici. Sento di aver fatto parte di una missione che ha già vinto, proprio per questi motivi. Eppure, non posso negare una certa amarezza: avrei voluto condividere pienamente visioni, procedure e modalità operative con l’organizzazione, ma così non è stato. Quello che è accaduto può essere paragonato a una partita di calcio in cui un giocatore viene spostato in un ruolo che non sente suo, e per questo non riesce a esprimersi, a giocare come sa, a segnare. Alla fine si discute, ed è normale lasciare il campo per non entrare in conflitto con la squadra. Per quanto possa sembrare strano, la democrazia interna al movimento non ha previsto un ricambio. Sono stato io a fare un passo indietro. La Global Sumud Flotilla, ovviamente, non è una partita di calcio, ma una missione che coinvolge decine di persone e un’attenzione mediatica altissima. Così, incomprensioni che in altri contesti passerebbero inosservate qui diventano notizia. Ho cercato di anticipare problemi che, a mio avviso, si sarebbero potuti manifestare durante la navigazione. Problemi legati a differenze di approccio e a regole d’ingaggio che - lo dico con chiarezza - non sono mai state del tutto definite. Sono abituato, per lavoro e per le missioni umanitarie che seguo, a calcolare i rischi e ad anticipare gli imprevisti. Per questo ho agito secondo un mio metodo, che però si è rivelato distante da quello dell’organizzazione. Mi dispiace che, in queste ore, ogni parola venga strumentalizzata. Le mie semplici osservazioni sono state lette in chiave politica per attaccarmi. Ma basta guardarsi intorno per vedere che altri hanno lasciato la missione per gli stessi motivi. Questo non significa essere contro o a favore di qualcosa: significa avere una visione personale, e scegliere con responsabilità a chi affidare - o meno - la propria vita. Sul Manifesto è uscito un articolo scritto da un signore che si definisce giornalista. Durante la telefonata con lui, ho capito chiaramente che cercava di farmi passare per una persona instabile, infastidito dal fatto che avessi espresso, in un meeting su Zoom, delle critiche ai vertici del movimento. Critiche espresse per chiedere chiarimenti su decisioni importanti, ma mai rilanciate pubblicamente proprio per non alimentare dibattiti sterili che distoglierebbero l’attenzione da Gaza, che dovrebbe essere il vero centro della questione. Paradossalmente, è stato proprio quel giornalista a rendere pubbliche - per primo - le divergenze interne al movimento, cercando però di attribuirle solo a me. Ma è evidente che non sono l’unico ad aver sollevato dubbi. Ieri, su un altro giornale schierato, un altro signore ha scritto che chi ha lasciato la missione - tra cui molti capitani di barche e altri membri della Flotilla - lo ha fatto per paura, per motivi personali o familiari. Ma non è vero. Se all’interno del movimento ci fosse stata più trasparenza, più rispetto e meno protagonismo, tutto questo probabilmente non sarebbe accaduto. Oggi sono io al centro dell’attenzione. Domani toccherà ad altri: ad attivisti, capitani, giovani che verranno giudicati da chi si nasconde dietro una tastiera. Ma io so da che parte sto. E continuerò a fare la mia parte, con coerenza.
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