2021-10-31
Flop ricostruzione dopo cinque anni. A guadagnarci solo le coop rosse
Tre dei quattro commissari addetti al post sisma sono del Pd Ancora 15.000 sfollati, appena 2.000 edifici sistemati su 80.000Ancora una scossa 4.1, a Montefelcino e a Fano ieri scuole chiuse. È la faglia adriatica, bellezza! Sono cinque anni di terremoti e d’inerzia. La ricostruzione del Centro Italia è un film dell’errore. Protagonista il Pd: tre dei 4 commissari straordinari sono di quel partito. È cominciato tutto il 24 agosto del 2016: Amatrice, Arquata e Pescara del Tronto, Accumuli si sgretolano. Sotto le macerie 299 morti. I sismografi impazziscono: la scossa è del sesto grado. Il 26 si replica: magnitudo 5.9 crollano Camerino, Visso, Castelsantangelo sul Nera, Muccia. Il 30 ottobre alle 7 e 40 si toccano i 6.5 gradi e viene giù tutto: a Norcia sparisce la cattedrale di San Benedetto, si sbriciolano edifici in 138 Comuni tra Umbria, Lazio, Abruzzo e Marche la regione di gran lunga più colpita. Il 18 gennaio 2017 altre scosse, una seppellisce sotto una valanga di ghiaccio e fango l’Hotel Rigopiano a Farindola: muoiono in 29. Da allora a oggi le scosse sono state 23.000, da allora a oggi non è cambiato (quasi) nulla. Su oltre 80.000 edifici lesionati ne sono stati sistemati 1.963. Solo 100 quelli pubblici ripristinati. Se in Appennino tra Marche e Umbria si dice Pd la gente risponde: vuol dire che ci pensano domani. Ieri – quinto anniversario - nessuno del governo a parte la sottosegretaria marchigiana allo Sport Valentina Vezzali s’è fatto vedere in zona. Mario Draghi il 24 agosto era salito ad Amatrice a promettere come prima di lui Matteo Renzi e poi Giuseppe Conte sia uno che due «non vi lasceremo soli, la ricostruzione ci sarà». L’avevano «giurato» anche Sergio Mattarella e il Papa. La speranza si chiama Pnrr, ma tra le macerie di resilienza e di ripresa non se ne vede. Sono ancora 15.000 gli sfollati. I comuni montani soprattutto nelle Marche hanno perso 26.000 abitanti, alcuni ormai sono paesi fantasma. Ieri a Norcia il sindaco Nicola Alemanno ha detto: «È il quinto anniversario e ora la ricostruzione parte davvero». Con lui c’erano la Vezzali, Donatella Tesei la presidente della Regione Umbria (unica donna in Italia: ha vinto con i voti della Lega) il capo della Protezione civile Fabrizio Curcio e Giovanni Legnini, l’ultimo commissario straordinario Pd. Dei governanti europei attovagliati al G20 e genuflessi a Greta Thunberg nessuno è venuto nel deserto di sassi dove nacque San Benedetto. Che se ne fa l’Europa di onorare il suo patrono? Per capire perché il Centro Italia è condannato al fine ricostruzione mai bisogna partire proprio da Legnini. Trombato alle elezioni regionali abruzzesi nel 2019 è stato risarcito con l’incarico post sisma. È stato il vicepresidente del Csm che esattamente due anni dopo i morti di Amatrice il 24 agosto del 2018 chattava con Luca Palamara perché prendesse posizione contro Matteo Salvini ministro dell’Interno «reo» d’aver bloccato la nave Diciotti, con i clandestini. Per rifarsi una verginità politica tra le macerie ha provato a dare un’accelerata azzerando il cumulo di ordinanze prodotto dai suoi predecessori. Prima di lui ci sono stati Vasco Errani e Paola De Micheli, ovviamente Pd. Dopo di loro Piero Farabollini indicato dai 5 Stelle che prendeva ordini solo da Vito Crimi: è stato il blocco totale. Il Pd considerava Umbria, Marche e Abruzzo cosa sua. C’era da far lavorare le cooperative (la quantità d’inchieste che ci sono sui cantieri della mai partita ricostruzione è spaventosa: dalle tangenti, al lavoro nero, dalle casette per gli sfollati che fanno acqua alla compravendita di terreni), da gestire tanti soldi. Grazie anche ai disastri dei suoi commissari ha perso tutte e tre le regioni oggi governate dal centrodestra. Legnini però invita, e sai l’originalità!, a fare squadra. Il 31 dicembre scade l’ultima proroga dell’emergenza e sono già scaduti definitivamente i contributi: li hanno chiesti meno di 21.000 proprietari, un quarto degli aventi diritto. La sfiducia nello Stato è totale, la voglia di andarsene ancora più potente. A rimettere in piedi un po’ di scuole ci ha pensato Andrea Bocelli con la sua fondazione, gli ospedali terremotati restano inagibili, le chiese chiuse. Solo l’Università di Camerino grazie al rettore Claudio Pettinari che ha fatto da solo è rinata. Oggi è la prima in classifica tra gli atenei piccoli d’Italia. Ma ha abbandonato il centro della città che resta zona rossa mentre altri borghi - da Castel Santangelo a Castelluccio, da Muccia a Pieve Torina, da Pescara del Tronto a Preci- sono stati cancellati. E ora le ditte abbandonano la ricostruzione. Il tondino di ferro è rincarato del 150%, i materiali per l’edilizia sono raddoppiati, mancano operai e tecnici, i tariffari sono troppo bassi e il governo col superbonus fa concorrenza alla ricostruzione: i lavori per le facciate sono meno complicati e si guadagna di più. Giovanni Legnini appena insediato ha monitorato i tempi. Gli hanno risposto: finiamo nel 2048. Ora va fiero della nuova previsione: entro il 2029, ma in strada restano centinaia di migliaia di tonnellate di macerie. Ce la faremo, giura il commissario. Sempreché Pd non voglia dire: ci pensiamo domani.
Mahmoud Abu Mazen (Getty Images)
(Guardia di Finanza)
I Finanzieri del Comando Provinciale di Varese, nell’ambito di un’attività mirata al contrasto delle indebite erogazioni di risorse pubbliche, hanno individuato tre società controllate da imprenditori spagnoli che hanno richiesto e ottenuto indebitamente oltre 5 milioni di euro di incentivi per la produzione di energia solare da fonti rinnovabili.
L’indagine, condotta dalla Compagnia di Gallarate, è stata avviata attraverso l’analisi delle società operanti nel settore dell’energia elettrica all’interno della circoscrizione del Reparto, che ha scoperto la presenza di numerose imprese con capitale sociale esiguo ma proprietarie di importanti impianti fotovoltaici situati principalmente nelle regioni del Centro e Sud Italia, amministrate da soggetti stranieri domiciliati ma non effettivamente residenti sul territorio nazionale.
Sulla base di tali elementi sono state esaminate le posizioni delle società anche mediante l’esame dei conti correnti bancari. Dall’esito degli accertamenti, è emerso un flusso finanziario in entrata proveniente dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE), ente pubblico responsabile dell’erogazione degli incentivi alla produzione di energia elettrica. Tuttavia, le somme erogate venivano immediatamente trasferite tramite bonifici verso l’estero, in particolare verso la Spagna, senza alcuna giustificazione commerciale plausibile.
In seguito sono state esaminate le modalità di autorizzazione, costruzione e incentivazione dei parchi fotovoltaici realizzati dalle società, con la complicità di un soggetto italiano da cui è emerso che le stesse avevano richiesto ad un Comune marchigiano tre diverse autorizzazioni, dichiarando falsamente l’installazione di tre piccoli impianti fotovoltaici. Tale artificio ha consentito di ottenere dal GSE maggiori incentivi. In questi casi, infatti, il Gestore pubblico concede incentivi superiori ai piccoli produttori di energia per compensare i maggiori costi sostenuti rispetto agli impianti di maggiore dimensione, i quali sono inoltre obbligati a ottenere l’Autorizzazione Unica Ambientale rilasciata dalla Provincia. In realtà, nel caso oggetto d’indagine, si trattava di un unico impianto fotovoltaico collegato alla stessa centralina elettrica e protetto da un’unica recinzione.
La situazione è stata segnalata alla Procura della Repubblica di Roma, competente per i reati relativi all’indebita erogazione di incentivi pubblici, per richiedere il sequestro urgente delle somme illecitamente riscosse, considerati anche gli ingenti trasferimenti verso l’estero. Il Pubblico Ministero titolare delle indagini ha disposto il blocco dei conti correnti utilizzati per l’accredito delle somme da parte del GSE e il vincolo su tutti i beni nella disponibilità degli indagati fino alla concorrenza di oltre 5 milioni di euro.
L’attività della Guardia di Finanza è stata svolta a tutela del corretto impiego dei fondi pubblici al fine di aiutare la crescita produttiva e occupazionale. In particolare, l’intervento ispettivo ha permesso un risparmio pari a ulteriori circa 3 milioni di euro che sarebbero stati erogati dal GSE fino al 2031 alle imprese oggetto d’indagine.
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Viktor Orbán e Giorgia Meloni a Roma (Ansa)