Flash mob a Montecitorio, Pro Vita & Famiglia: «Una sfida globale: non si può aiutare al suicidio»

Flash mob a Montecitorio, Pro Vita & Famiglia: «Una sfida globale: non si può aiutare al suicidio»

Per la Giornata Mondiale della Prevenzione del suicidio, alle 10,30 del mattino del 10 settembre, sono apparsi striscioni dell'Associazione Pro Vita & Famiglia Onlus davanti a Montecitorio, con tanto di flash mob e cori. La stessa associazione ha già lanciato per tutto il mese di settembre la campagna nazionale choc #NOEUTANASIA con maxi manifesti nelle principali città italiane.

«Sono i dati a farci scendere in campo - hanno dichiarato gli organizzatori del flash mob e vertici della Onlus Antonio Brandi e Jacopo Coghe, già organizzatori del Congresso Mondiale delle Famiglie - Basti pensare che l'Australian Institute for Suicide Research and Prevention (Aisrap), che è un centro di ricerca nazionale e internazionale sul tema, ha indicato il suicidio come una delle 20 principali cause di morte a livello globale per le persone di tutte le età, responsabile ogni anno di quasi 800.000 morti, il che equivale a un suicidio ogni 40 secondi. Eppure sono di più i tentativi non portati a termine (25 milioni circa), come riportano le statistiche Iasp. Tradotto: solo il 3% delle persone va fino in fondo. Ciò significa che questa deriva si può combattere. Serve piuttosto solidarietà umana, per contrastare la disperazione, la depressione e curare il dolore».

«Vogliamo prevenire e non facilitare il suicidio. Si tratta - hanno proseguito - di una sfida che riguarda la comunità globale: se non affermiamo e proponiamo sempre di più la cultura della Vita e della prevenzione del suicidio, presto avremo la morte presentata come soluzione a una vita fragile e malata o magari solo infelice. Basta studiare i dati impressionanti di quanto sta avvenendo in Italia dove il suicidio è la seconda causa di morte tra gli adolescenti, ossia tra coloro che dovrebbero pensare al futuro e alla propria realizzazione. Invece sono così tanti a volerla fare finita. Tutto questo non è naturale, non va normalizzato. Noi gridiamo: mai col nostro aiuto!».

«La cura – hanno concluso Brandi e Coghe - deve essere l'unico obiettivo di uno Stato che abbia a cuore davvero il benessere dei propri cittadini in condizioni di debolezza e quindi la strada delle risposte concrete è quella dell'investimento in cure palliative e in strutture di assistenza. Lo Stato deve investire nell'assistenza e nella cura della depressione anche per creare una società meno materialista, consumista e edonista che emargina chi non è perfetto, ricco, bello e atletico. La persona non deve sentirsi mai sola».

Pro Vita & Famiglia parteciperà alla Conferenza Internazionale proprio sul tema dell'eutanasia e del suicidio assistito che si terrà il 20 settembre e che «intende contrastare il fenomeno della mistificazione della dolce morte facendo rete» spiegano presidente e vice presidente.

La terza e ultima stagione di «Squid Game» promette un finale imprevedibile
«Squid Game 3» (Netflix)

Squid Game, tra i fenomeni più virali che Netflix sia riuscito a confezionare, è destinato a finire venerdì 27 giugno, con il debutto sulla piattaforma del terzo e ultimo capitolo.

Tre stagioni, poi più nulla. Solo la promessa, vaga e mai confermata, di uno spin-off potrebbe tenere alto il morale di chi, in questi ultimi anni, ha perso il senno dietro Squid Game, la Corea, una violenza brutale, figlia dell'istinto di sopravvivenza e, dunque, potenzialmente intrinseca ad ogni essere umano. Squid Game, tra i fenomeni più virali che Netflix sia riuscito a confezionare, è destinato a finire venerdì 27 giugno, con il debutto sulla piattaforma del terzo e ultimo capitolo. Un capitolo che non lascia presagire alcuno sconvolgimento. La serie televisiva, la cui seconda stagione, nei primi tre giorni di messa in onda, ha totalizzato 68 milioni di visualizzazioni, verterà di nuovo attorno ad un gruppo di individui, che la disperazione spinge a rischiare la vita pur di riscattare se stesso o i propri cari. I protagonisti della serie coreana sono gli ultimi, gli emarginati, sono coloro che, nel corso della propria esistenza, hanno provato e fallito, rischiato oltre i limiti del buon senso, le ali bruciate come quelle di Icaro dal Sole dell'ambizione. Gli Squid Games, giochi sanguinari, in cui non si perde un montepremi ma la vita, sono l'ultima occasione rimasta loro: l'ultimo giro di giostra, dadi sulla roulette. Preferirebbero morire, questi ultimi, piuttosto che tornare a casa con le pive nel sacco, costretti a vivere la vita miserevole che - volenti o nolenti - si sono costruiti. Meglio la morte, dunque, che un altro fallimento.

Quanto meno fino a quando Gi-hun non decide di provare a porre fine ai Giochi.Gi-hun è colui che torna, il filo rosso destinato ad unire la prima, la seconda e la terza stagione dello show. Negli ultimi episodi, sarà ancora lui a primeggiare, questa volta per capire quanto la sua metamorfosi possa compiersi o quanto, invece, possa afflosciarsi su se stessa, più involuzione che evoluzione. Gi-hun aveva preso parte agli Squid Games per riscattare la sua vita debosciata, ripianare i debiti contratti con il gioco, vincere l'onta della disoccupazione. Poi, qualcosa è cambiato: un guizzo dell'anima, Gi-hun ha voluto ergersi ad agitatore delle masse, guida di una rivolta destinata a liberare ogni cittadino dal giogo di questi Giochi mortali. Ma niente, nella seconda stagione, è andato come avrebbe voluto l'uomo. Troppi morti, troppo sangue. Gi-hun ha finito per essere schiacciato dalla sua stessa forza distruttiva.

Ed è la terza stagione di Squid Game, oggi, a dover spiegare che fine possa fare tutto questo, le sommosse, Gi-hun, il dissenso. Gli sceneggiatori non hanno fornito alcun dettaglio su quanto accadrà. Solo, si sono limitati a dire che nulla andrà come sarebbe lecito aspettarsi. Squid Game, capitolo tre, riuscirà a sorprendere anche il più cinico degli spettatori, regalando allo show un finale imprevedibile.

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