2021-01-29
Firenze a caccia delle talpe che hanno affossato l’inchiesta sul Palamara-gate
Dopo la denuncia dell'ex leader Unicost, un gip conferma la fuga di notizie e chiede ai pm di individuare i sospettati. Trasmesse da Perugia le accuse al procuratore Luigi De FicchyIl crocevia per scoprire le verità nascoste nel dramma giudiziario di Luca Palamara e per individuare i possibili mandanti della sua defenestrazione si trova all'ottavo piano del palazzaccio del Tribunale di Firenze. Il procuratore Giuseppe Creazzo ha infatti in mano un fascicolo che potrebbe consentire di rileggere la vicenda processuale che ha travolto l'ex presidente dell'Anm. Il procedimento riguarda le continue fughe di notizie che hanno inquinato l'indagine e che sono state utilizzate per far saltare la nomina a procuratore di Roma di Marcello Viola.Il fascicolo è iscritto a modello 44 (senza indagati) ed è stato aperto in seguito all'esposto presentato il 3 novembre scorso da Palamara per rivelazione di segreti d'ufficio.A convincere ad agire l'ex stratega delle nomine sono state le dichiarazioni rese a Perugia dal segretario generale del Consiglio superiore della magistratura Paola Piraccini che ha ricordato che gli atti contenenti le intercettazioni effettuate con il trojan inoculato nel cellulare di Palamara «vennero consegnati nelle sue mani alle ore 19 del giorno 30 maggio 2019». Quindi le notizie che uscirono in anteprima su Corriere della sera, Repubblica e Messaggero il 29 maggio, il 30, ma anche il 31, non potevano essere fuoriuscite dal Csm. Nella sua denuncia Palamara fa presente questo fatto e indirizza l'attenzione su alcuni articoli a firma Carlo Bonini, Fiorenza Sarzanini e Giovanni Bianconi. Sul primo scrive: «Il giornalista appare ampiamente informato dei miei rapporti con l'onorevole Cosimo Ferri» e cita un passo che a suo giudizio «non può che essere il frutto di una lettura delle risultanze delle intercettazioni telematiche, […] avvenute durante i colloqui con l'onorevole Ferri e che alla data di pubblicazione dell'articolo non erano ancora state trasmesse al Csm». Il 30 maggio il Corriere avrebbe pubblicato altre «notizie coperte dal segreto investigativo», per esempio laddove «si dà conto del fatto che, prima ancora che lo apprendano i diretti interessati, nell'inchiesta perugina fossero indagati anche un membro del Csm (il dottor Luigi Spina) e un altro pm romano (il dottor Stefano Fava)».Conclusione di Palamara: «Appare evidente che i giornalisti Bonini, Sarzanini e Bianconi che hanno redatto gli articoli pubblicati nelle giornate del 29 e del 30 maggio 2019 avevano una fonte particolarmente qualificata facente chiaramente parte di una ristrettissima cerchia di persone già a conoscenza delle trascrizioni delle conversazioni captate con il trojan». Per tutto questo il pm radiato a ottobre dalla magistratura ha proposto una «formale denuncia querela nei confronti di coloro che saranno identificati per il tramite di urgenti indagini di polizia giudiziaria» e ne ha chiesto «l'esemplare punizione, per tutti quei reati che saranno ravvisati […] con particolare riferimento alla fattispecie punita e prevista dall'articolo 326 codice penale», la rivelazione e l'utilizzazione di segreti d'ufficio.Palamara ha presentato anche delle audaci richieste istruttorie: «Al fine di ricostruire l'inizio ed il percorso delle illecite propalazioni appare necessario non solo acquisire tutti i tabulati telefonici dei soggetti interessati, giornalisti, operatori di polizia giudiziaria ecc., ma, attesa la probabile prudenza dagli stessi messa in atto, appare necessario sottoporre a sequestro probatorio i telefoni cellulari od ogni altro device hardware in uso a costoro in grado di ricevere per mail o tramite applicativi come Wathsapp, comunicazioni non tracciabili come la tradizionale comunicazione telefonica». La Procura ha espresso parere contrario all'istanza di sequestro «osservando che la richiesta ha un contenuto del tutto generico» e che «non si può procedere a sequestri meramente esplorativi», ma il giudice delle indagini preliminari Sara Farini, due giorni fa, rigettando la richiesta, ha aperto clamorosi spiragli. Il gip ha, infatti, osservato che «sussiste senza dubbio il fumus commissi delicti del reato in iscrizione, considerata la circostanza […] della pubblicazione su varie testate giornalistiche di notizie ancora coperte dal segreto investigativo».La Farini ha mandato un messaggio inequivocabile agli inquirenti: «Appare configurabile la fattispecie di cui all'articolo 326 del codice penale: vi è stata una condotta di illecita rivelazione di dette notizie da parte di un pubblico ufficiale, allo stato non identificato, che, avvalendosi illegittimamente di notizie non comunicabili in quanto coperte dal segreto investigativo, riferibili ad atti depositati presso la Procura della Repubblica di Perugia, le ha indebitamente propalate all'esterno». Anche se il gip ammette che «la richiesta di sequestro avanzata dalla persona offesa risulta generica» e che «a oggi non risultano compiuti atti di indagine volti quantomeno a circoscrivere la platea di soggetti che possono essere venuti in contatto con le notizie segrete indebitamente propalate» e che quindi, con sequestri generalizzati, ci troveremmo di fronte a una sproporzione «tra il provvedimento richiesto dalla persona offesa e le esigenze di accertamento dei fatti», nello stesso tempo rimarca che la valutazione potrebbe cambiare «all'esito degli opportuni approfondimenti investigativi che saranno compiuti dal pubblico ministero che consentiranno di circoscrivere il novero dei potenziali soggetti responsabili della indebita propalazione» e «di verificare se siano avvenuti contatti con i giornalisti autori delle pubblicazioni in questione». In tal modo si apprezzerebbe «la pertinenzialità tra oggetto di cui si chiede il sequestro e reato, nonché la stretta necessità della relativa acquisizione agli atti del procedimento per l'accertamento dei fatti oggetto di indagine».Traducendo dal linguaggio giuridico, il gip si aspetta che le investigazioni dei pm circoscrivano il numero dei sospetti e consentano di collegare i cellulari di cui si chiede il sequestro al reato.Dunque il provvedimento di rigetto apre la strada a ipotesi sino a poche ore fa impensabili e potrebbe gettare nel panico chi si è reso protagonista di quelle fughe di notizie, che come ha sottolineato Palamara, citando il nostro giornale, «hanno rovinato l'inchiesta» e «appaiono effettivamente aver costituito una risposta agli articoli sul Fatto e La Verità del 29 maggio 2019» su un esposto inviato al Csm contro il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone.Ma gli incroci tra la vicenda Palamara e la Procura di Firenze potrebbero non essere finiti. Il 13 gennaio l'ex pm è stato sentito per quattro ore a Perugia e ha citato vicende già raccontate sulla Verità, tra cui i presunti contatti e incontri tra Luigi De Ficchy e Palamara, quando il primo aveva già ricevuto da Roma l'informativa di reato sul secondo. Durante l'interrogatorio, il procuratore Raffaele Cantone avrebbe interrotto la verbalizzazione e informato l'indagato che quegli argomenti sono di competenza della Procura di Firenze, titolare per i procedimenti penali nei confronti di magistrati del distretto perugino.Con La Verità Cantone conferma: «Dal verbale di interrogatorio risulta che quando Palamara ha ricordato di aver parlato di De Ficchy e di aver riferito da tempo certe situazioni, io ho affermato che se uno dà notizie di reato di cui all'articolo 11 (quello che regola, nel codice di procedura penale, la competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati, ndr), vengono trasmesse all'autorità giudiziaria di cui all'articolo 11. Non ho detto né che lo avevo fatto, né che non lo avevo fatto, non potendo entrare nello specifico. Ho solo riferito che se c'erano le condizioni era stato trasmesso. Le trasmissioni avvengono quasi sempre come modello 45 (senza ipotesi di reato, né indagati, ndr). Io le posso, però, assicurare al 100 per cento che non ho fatto iscrizioni».L'aspetto scespiriano della vicenda è che a decidere delle sorti di Palamara dovrà essere Creazzo, che secondo la Procura generale della Cassazione sarebbe stato falciato nella sua corsa a procuratore di Roma dall'attività di discredito messa in moto da Palamara. All'hotel Champagne il trojan intercettò pezzi di Giglio magico e toghe di complemento mentre si preoccupavano di «mettere paura» a Creazzo, colpevole di aver fatto arrestare babbo e mamma Renzi, con «quell'altra storia», un esposto anonimo presentato a Genova che avrebbe fatto finire sotto intercettazione lo stesso Creazzo e l'aggiunto Luca Turco, successivamente prosciolti da ogni accusa. Palamara non ci sta a passare per nemico del procuratore di Firenze, anche se nel libro intervista realizzato con Alessandro Sallusti ha ammesso di non averlo sostenuto nella corsa a capo degli inquirenti capitolini, considerandolo «bruciato» a causa delle accuse di avances sessuali che gli aveva rivolto la pm Alessia Sinatra e su cui la Procura di Roma ha aperto un'inchiesta poi archiviata. Palamara spiega alla Verità: «Sapevo che la Sinatra era pronta a porre ufficialmente la questione delle presunte molestie se Creazzo fosse stato promosso. Ma se io avessi voluto danneggiarlo sul serio e farmi bello con i renziani avrei potuto tirare fuori quella storia durante gli incontri registrati dal trojan, cosa che non è successa, come confermano le intercettazioni». Resta il fatto che Palamara ha affondato la candidatura di Creazzo e adesso gli chiede giustizia. Una storia degna della penna del Bardo dell'Avon.