2022-12-21
Il (finto) complotto e il (vero) marcio
Dimitris Avramopoulos (Ansa)
Ci mancava il complottone. Sì, nel Qatargate, che poi è già diventato Maroccogate e forse potrebbe presto trasformarsi in Europagate, entra di diritto anche il grande intrigo. A introdurlo ci ha pensato bene Dimitris Avramopoulos, ex commissario che a Bruxelles si occupava di migranti, affari interni e cittadinanza ai tempi della presidenza di Jean Claude Juncker. Un secondo dopo aver lasciato l’incarico ai vertici di Palazzo Berlaymont, l’ex ministro (ad Atene ha ricoperto vari incarichi, passando dalla Difesa, agli Esteri, dalla Salute al Turismo, ma sempre con il partito di centrodestra) si è infatti accasato nel board della Ong di Antonio Panzeri, già parlamentare di Articolo uno e ora detenuto in attesa di processo per i sacchi di banconote trovati nella sua residenza belga. Un incarico, quello di Avramopoulos, che dopo la deflagrazione del grande scandalo, ossia della compravendita di deputati e funzionari presso il Parlamento europeo, non appare più dettato da una disinteressata attenzione al problema dei migranti, ma una scelta a pagamento. L’ex commissario Ue infatti, non sedeva gratis a fianco di Panzeri, ma era ben remunerato da Fight Impunity. Cinquemila al mese per qualche speech, per un totale di 60.000 l’anno. Mica male per un politico rimasto sprovvisto di poltrona dopo una vita spesa a occuparne tante. Le porte girevoli gli hanno consentito di passare da un incarico ai vertici dell’Ue a un altro al vertice di una Ong che non era neppure iscritta al registro della trasparenza e che dunque poteva agire indisturbata, senza cioè che nessuno ne potesse sindacare l’attività e i compensi. Avramopoulos, che è rimasto in carica fino al 2019, cioè in tempo per traslocare nel consiglio di Fight Impunity (l’organizzazione è nata proprio in coincidenza con la mancata rielezione di Panzeri, tre anni fa), dice che prima di accettare i compensi della Ong ha chiesto il permesso a Ursula von der Leyen e questa glielo avrebbe accordato. Ma oltre a nascondersi dietro le sottane della presidente della Ue, Avramopoulos evoca la grande macchinazione che si starebbe giocando ai suoi danni. In pratica, siccome da ex ministro degli Esteri egli era ritenuto il miglior candidato per seguire le relazioni europee nel Golfo Persico, l’accusa di aver preso soldi da Panzeri, ancorché via iban e non sotto forma di buste di Babbo Natale come nel caso di Luca Visentini, sarebbe stata messa in circolo da «nemici» italiani che punterebbero a favorire Luigi Di Maio. Premesso che quanto pensano gli italiani dell’ex capo politico del Movimento 5 stelle lo hanno dimostrato il 25 settembre, evitando di eleggerlo in Parlamento, dunque non si capisce perché oggi qualcuno si darebbe da fare per trovargli un’occupazione. Il partito che Giggino ha fondato è già affondato e i suoi ex compagni di viaggio, ossia i grillini, considerano l’ex ministro degli Esteri simpatico quanto una zecca. Né si può pensare che il governo Meloni punti a far nominare a Bruxelles uno che ha contribuito a mandare a casa. Insomma, in qualsiasi modo la si pensi, quella del complottone appare un’operazione che serve a gettare un po’ di fumo negli occhi dell’opinione pubblica, evitando di spiegare perché un tizio che abbia svolto l’alto incarico di commissario alle migrazioni, poche settimane dopo aver lasciato l’incarico si faccia retribuire da un’organizzazione poco trasparente, che poi guarda caso è stata beccata con i soldi sotto il materasso. Tuttavia, Avramopoulos non si limita a evocare oscuri interessi contro di lui, ma aggiunge il dettaglio dell’autorizzazione - scritta - di Ursula von der Leyen. Una specie di chiamata in correità, quasi a dire che se lui ha sbagliato non è solo, ma in buona compagnia. In altre parole, lo scandalo dei molti denari pagati a parlamentari e funzionari dell’Europarlamento minaccia di lambire la Commissione Ue, con il risultato che più passano i giorni e più si capisce che quella scoperta non è l’eccezione ma la regola, e dietro all’atteggiamento spregiudicato di alcuni si nasconde un sistema. È per questo che qualche giorno fa ci spingemmo a scrivere che l’Europarlamento dovrebbe dimettersi in blocco, restituendo la parola agli elettori. Già un accordo spartitorio ha dato vita a una Commissione che governa con un’esigua maggioranza, ma ora il Qatargate ha azzoppato la numerosa famiglia socialista, al punto che lo scandalo non può più essere liquidato come un «italian job», ma piuttosto come un «European job». Insieme agli italiani, sia greci che belgi sono già finiti nel mirino. Ma credo che basti non avere fretta per scoprire altre sorprese e questa volta, probabilmente, potrebbero non essere solo tricolori.
Guido Guidesi, assessore allo Sviluppo Economico della Regione Lombardia (Ansa)
Ursula von der Leyen (Getty Images)