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2018-06-27
Gli italiani sono accoglienti ma di certo non fessi
ANSA
Un amico mi ha inviato un video tratto da La crisi, un vecchio film francese che mette alla berlina i luoghi comuni della sinistra. Nel filmato si vede un disoccupato dialogare con un deputato socialista in un elegante salotto borghese. Argomento, il razzismo. La scena è esilarante, perché Michou, questo il nome dell'uomo che non ha lavoro né casa, si definisce senza imbarazzi razzista, perché, spiega, lui con gli stranieri ci vive. «È molto facile essere contro il razzismo quando si abita a Neully», cioè quando si vive in una bella casa e in un bel quartiere dove gli stranieri non ci sono. L'onorevole tanto sensibile al dramma degli extracomunitari ribatte a Michou dicendo che non capisce e comportandosi da razzista non risolverà i suoi problemi personali. La replica è meglio di un editoriale: «Ah, be' sì, ma quello che capisco è che tre quarti del pianeta stanno nella merda, allora cercano di piazzarsi dove c'è meno merda, cioè qui da noi, e poi, una volta qui, bisogna che qualcuno si stringa per fargli posto e farli sopravvivere, è ovvio». «Va be', appunto» commenta il socialista. «Ah sì, ma finora chi si è stretto per fargli posto sono quelli di Saint Denis, mica quelli di Neully». Per dirla alla Stefano Ricucci, il finanziere finito al gabbio per i troppi maneggi, è facile essere solidali con il culo degli altri.
Ecco, il filmato del film francese, che è stato girato 26 anni fa, mi è arrivato mentre in televisione scorrevano le immagini di Sergio Mattarella che a San Patrignano parlava di migranti e subito dopo, nel tg, spuntavano le riprese dell'incontro fra il Papa ed Emmanuel Macron. Quante belle parole ho sentito. Il presidente della Repubblica, parlando ai giovani, spiegava che l'Italia ha la solidarietà nel Dna e dunque non può arrendersi alla paura dello straniero e dei migranti. Papa Francesco, incontrando l'inquilino dell'Eliseo, lo stesso che ha chiuso la frontiera di Ventimiglia ai profughi e respinto una donna incinta e in fin di vita al confine di Bardonecchia, diceva che i governi devono aiutare i poveri. E ovviamente il francese annuiva, anzi accarezzava il pontefice sulla guancia, manco fosse Giovanni XXIII.
Così da un lato sullo schermo c'erano Mattarella, papa Francesco, papa Macron. E dall'altro, sul telefonino, c'era Michou, un orrendo razzista, terribile e ignorante, che criticava gli stranieri, il chador, le moschee suscitando la reazione del deputato socialista che difendeva il diritto alla diversità, la tolleranza, l'idea della Francia terra d'asilo. Il piccolo Michou, senza fissa dimora, che vive d'espedienti in attesa di una casa popolare, un'assegnazione che non ottiene perché prima di lui in graduatoria ci sono gli stranieri, che hanno più figli e dunque più diritti di Michou. E mentre papa Mattarella parlava della solidarietà, che gli italiani secondo il capo dello Stato hanno nel loro Dna, pensavo anche ai 5 milioni di poveri appena certificati dall'Istat, oltre 1 milione dei quali minori, un terzo stranieri, ossia poveri importati direttamente dall'Africa dalle anime candide.
Sullo schermo del cellulare il piccolo Michou, il razzista Michou, somigliava però ai tanti italiani che pur facendo parte del proletariato, un ceto sociale un tempo controllato dalla sinistra, alla sinistra hanno voltato le spalle preferendo Matteo Salvini e la sua destra rozza e razzista.
Come è facile essere accoglienti, disponibili, tolleranti quando si vive tranquilli in un bel salotto borghese. Certo all'Eliseo non ci sono i clandestini con cui dividere il ballatoio e al Quirinale non ci sono cortili che ospitano un campo profughi, per cui si può essere solidali con tutti gli immigrati del mondo e sentirsi più buoni e felici di Michou e dei milioni di italiani che hanno scelto Salvini.
Nel frattempo, ci fa piacere annunciare che il Michou-Salvini, dopo le uscite volgari fatte nelle ultime settimane, è riuscito a far passare il concetto che non ci sono solo i porti italiani per far sbarcare i profughi. E soprattutto che non è obbligatorio far attraccare le navi delle Ong, per rifornirle di carburante e viveri in modo che siano pronte per andare a pesca di altri immigrati. La qual cosa ci induce a una piccola riflessione. È vero, ha ragione il capo dello Stato, gli italiani hanno la solidarietà nel Dna, ma nel sangue hanno anche l'orgoglio che li spinge a non essere fessi.
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Malta cede e apre il porto alla Lifeline: l'equipaggio sarà indagato e i profughi smistati in altri Paesi europei. L'Aquarius costretta a rifornirsi a Marsiglia. Così per le Ong sarà più difficile trasportare qui gente che poi resta povera e ci impoverisce: parola di Istat.Un amico mi ha inviato un video tratto da La crisi, un vecchio film francese che mette alla berlina i luoghi comuni della sinistra. Nel filmato si vede un disoccupato dialogare con un deputato socialista in un elegante salotto borghese. Argomento, il razzismo. La scena è esilarante, perché Michou, questo il nome dell'uomo che non ha lavoro né casa, si definisce senza imbarazzi razzista, perché, spiega, lui con gli stranieri ci vive. «È molto facile essere contro il razzismo quando si abita a Neully», cioè quando si vive in una bella casa e in un bel quartiere dove gli stranieri non ci sono. L'onorevole tanto sensibile al dramma degli extracomunitari ribatte a Michou dicendo che non capisce e comportandosi da razzista non risolverà i suoi problemi personali. La replica è meglio di un editoriale: «Ah, be' sì, ma quello che capisco è che tre quarti del pianeta stanno nella merda, allora cercano di piazzarsi dove c'è meno merda, cioè qui da noi, e poi, una volta qui, bisogna che qualcuno si stringa per fargli posto e farli sopravvivere, è ovvio». «Va be', appunto» commenta il socialista. «Ah sì, ma finora chi si è stretto per fargli posto sono quelli di Saint Denis, mica quelli di Neully». Per dirla alla Stefano Ricucci, il finanziere finito al gabbio per i troppi maneggi, è facile essere solidali con il culo degli altri. Ecco, il filmato del film francese, che è stato girato 26 anni fa, mi è arrivato mentre in televisione scorrevano le immagini di Sergio Mattarella che a San Patrignano parlava di migranti e subito dopo, nel tg, spuntavano le riprese dell'incontro fra il Papa ed Emmanuel Macron. Quante belle parole ho sentito. Il presidente della Repubblica, parlando ai giovani, spiegava che l'Italia ha la solidarietà nel Dna e dunque non può arrendersi alla paura dello straniero e dei migranti. Papa Francesco, incontrando l'inquilino dell'Eliseo, lo stesso che ha chiuso la frontiera di Ventimiglia ai profughi e respinto una donna incinta e in fin di vita al confine di Bardonecchia, diceva che i governi devono aiutare i poveri. E ovviamente il francese annuiva, anzi accarezzava il pontefice sulla guancia, manco fosse Giovanni XXIII. Così da un lato sullo schermo c'erano Mattarella, papa Francesco, papa Macron. E dall'altro, sul telefonino, c'era Michou, un orrendo razzista, terribile e ignorante, che criticava gli stranieri, il chador, le moschee suscitando la reazione del deputato socialista che difendeva il diritto alla diversità, la tolleranza, l'idea della Francia terra d'asilo. Il piccolo Michou, senza fissa dimora, che vive d'espedienti in attesa di una casa popolare, un'assegnazione che non ottiene perché prima di lui in graduatoria ci sono gli stranieri, che hanno più figli e dunque più diritti di Michou. E mentre papa Mattarella parlava della solidarietà, che gli italiani secondo il capo dello Stato hanno nel loro Dna, pensavo anche ai 5 milioni di poveri appena certificati dall'Istat, oltre 1 milione dei quali minori, un terzo stranieri, ossia poveri importati direttamente dall'Africa dalle anime candide. Sullo schermo del cellulare il piccolo Michou, il razzista Michou, somigliava però ai tanti italiani che pur facendo parte del proletariato, un ceto sociale un tempo controllato dalla sinistra, alla sinistra hanno voltato le spalle preferendo Matteo Salvini e la sua destra rozza e razzista. Come è facile essere accoglienti, disponibili, tolleranti quando si vive tranquilli in un bel salotto borghese. Certo all'Eliseo non ci sono i clandestini con cui dividere il ballatoio e al Quirinale non ci sono cortili che ospitano un campo profughi, per cui si può essere solidali con tutti gli immigrati del mondo e sentirsi più buoni e felici di Michou e dei milioni di italiani che hanno scelto Salvini. Nel frattempo, ci fa piacere annunciare che il Michou-Salvini, dopo le uscite volgari fatte nelle ultime settimane, è riuscito a far passare il concetto che non ci sono solo i porti italiani per far sbarcare i profughi. E soprattutto che non è obbligatorio far attraccare le navi delle Ong, per rifornirle di carburante e viveri in modo che siano pronte per andare a pesca di altri immigrati. La qual cosa ci induce a una piccola riflessione. È vero, ha ragione il capo dello Stato, gli italiani hanno la solidarietà nel Dna, ma nel sangue hanno anche l'orgoglio che li spinge a non essere fessi.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Getty Images
Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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