2021-02-03
Fico si arrende: «L’accordo non c’è». Con l’ultima rissa Renzi liquida Conte
Matteo Renzi (Getty Images)
Clamoroso flop dell'esploratore: il banco salta dopo la lite su Mes, Alfonso Bonafede, Lucia Azzolina, Domenico Arcuri e Pasquale Tridico. Pd e M5s furiosi con il senatore semplice: «Voleva solo le poltrone». Per l'avvocato scorrono i titoli di coda.Fumata nero di seppia. Ora solo Sergio Mattarella può farla diventare bianca con il governo istituzionale guidato da Mario Draghi. «Nessuno si è mosso di un centimetro, quattro giorni di surplace», spiffera un senatore piddino che ama il ciclismo. Il presidente della Camera, Roberto Fico, sale al Colle con un documento finale (non un accordo ma un verbale non firmato da Italia viva) che è una cambiale scaduta, a conferma dell'inutilità della sua esplorazione. Alla fine spiega: «Il mio mandato è finito. Permangono distanze tra i partiti alla luce delle quali non c'è disponibilità di da vita a una maggioranza». Giorni di parole inutili e un buon numero di croci rosse che Matteo Renzi non cancella. Anzi le ribadisce in un post finale su Facebook, l'epitaffio politico per Giuseppe Conte. «Bonafede, Mes, scuola, Arcuri, vaccini, Alta velocità, Anpal, reddito di cittadinanza. Su questo abbiamo registrato la rottura, non su altro. Prendiamo atto dei niet dei colleghi della ex maggioranza. Ringraziamo il presidente Fico e ci affidiamo alla saggezza del capo dello Stato». C'è di tutto, anche poltrone, in questo #Renzipretendecose. The End, musica dei Doors. Al mattino nella sala della Lupa a Montecitorio si riparte con due problemi, la prescrizione e i tramezzini. Le delegazioni sono di nuovo schierate e i renziani ripropongono pari pari i punti cardine: Mes parziale («disponibili a scendere a cinque miliardi», promette Ettore Rosato), la riapertura dei cantieri di Tav e Gronda a Genova (per i 5 stelle è come mostrare l'aglio ai vampiri), il contratto scritto e la riforma della Giustizia. Su questa il vicesegretario pd, Andrea Orlando, propone un lodo per prendere tempo. «La maggioranza si impegna a portare avanti la riforma del processo penale per accorciare i tempi della giustizia entro sei mesi. Se fossero trascorsi invano si metterebbe mano alla riforma della prescrizione». A sorpresa i pentastellati si dicono favorevoli a trattare, spostano il masso della «immodificabilità della norma Bonafede». Con due obiettivi: portare il traguardo più in là e salvare la poltrona del ministro più inviso a Renzi, quell'Alfonso Bonafede che per due volte ha rischiato di essere sfiduciato e che lo stesso Luigi Di Maio sarebbe disposto a sacrificare spostandolo di posto. Glielo ha detto con una frase ruvida: «Sul tuo nome abbiamo già avuto due crisi di governo».Quando tutti sperano in un accordo i renziani dicono no. È lo stesso senatore di Scandicci a sfilarsi: «Sulla giustizia zero assoluto, non concedono nulla». Una dichiarazione che mette di cattivo umore Orlando, pronto a twittare: «Forse ho partecipato a un'altra riunione». Renzi spiega meglio l'intera trattativa: «Noi siamo favorevoli a un accordo generale ma loro non mediano su niente». Siamo al punto di partenza: lui corre verso un governo nuovo o al massimo a un Conte ter con un rimpastone mentre Pd, 5 stelle e Leu scelgono l'ammuina per rieditare il Conte bis. I ministri in bilico? Tutti intoccabili. In più ci sarebbe il no al rientro di Teresa Bellanova (al Lavoro). Lo scenario farebbe perdere definitivamente la faccia all'ammiraglio di Italia viva, che infatti scherza (fino a un certo punto) con i suoi: «Se torna Conte perdo tre a zero in casa, se riesco a cambiare tutto vinco tre a zero in trasferta». C'è anche stallo sui destini di Domenico Arcuri e Pasquale Tridico (numero uno Inps), che Renzi vorrebbe sparare lontano con il cannone del circo. E sul ministro dell'Istruzione, visto che Lucia Azzolina è nella lista nera. È invece salvo Roberto Gualtieri, blindato da Mattarella e da Bruxelles. E i tramezzini? All'ora di pranzo va in scena la trattativa più delicata, quella con i questori sulla possibilità di far arrivare consistenti generi di conforto agli stomaci rumoreggianti. Ma gli addetti sono ferrei: le regole antivirus vietano i buffet e dei tramezzini sui piatti configurano tecnicamente un buffet. Non se ne esce, si decide per la pausa pranzo. E il presidente della Camera se ne faccia una ragione. Nel pomeriggio riappare Maria Elena Boschi. È contrariata per la piega che ha preso la crisi, pensava a qualcosa di più gestibile invece la palla di neve è diventata una slavina. È stata a un passo dal lasciare Italia viva? Meb risponde così: «Se in questo festival di fake news arrivano a coinvolgere me significa che la caccia ai responsabili ha prodotto scarsi risultati».La rissa finale continua. A metà pomeriggio Renzi guarda il campo di battaglia e realizza che: 1) finché c'è Conte, nessuna sponda dal centrodestra, 2) anche il suo cerchio magico scricchiola (in tre sarebbero pronti a lasciarlo), 3) Mattarella è sponsor del premier uscente ma ha pronto Draghi. Allora tiene duro. Un vertice volante con Dario Franceschini, Roberto Speranza e Vito Crimi sancisce il fallimento. Il Pd furibondo lo commenta così: «Una rottura inspiegabile. Non ha rotto con Conte ma con gli alleati». Il Movimento 5 stelle: «Ha accampato scuse per rompere, voleva solo poltrone. Non abbiamo mai posto veti». Quando a sera Fico sale al Quirinale, Mattarella è agli sgoccioli della pazienza e soffoca a stento il nervosismo. Così deluso che nella prolusione per ricordare i 130 anni della nascita di Antonio Segni legge un messaggio del predecessore sulla non rieleggibilità del capo dello Stato, «per eliminare qualunque sospetto che qualche atto del capo dello Stato sia compiuto al fine di favorirne la rielezione». L'uomo del Colle vorrebbe essere a Pitcairn, l'isola dove si rifugiarono gli ammutinati del Bounty, con il telefonino spento.