2024-01-07
Un’altra azienda in fuga dalla Ferragni. E spunta una legge sulla beneficenza
Il marchio Monnalisa sta valutando lo stop alla collaborazione. Giorgia Meloni vuole una norma che separi gli affari dalla solidarietà. Dopo Safilo e Coca Cola anche Monnalisa, azienda aretina che produce abiti per bambini, potrebbe dare un palo a Chiara Ferragni. La creative director del brand, Barbara Bertocci, ha ammesso con i giornali che la sua azienda sta valutando la possibilità di rescindere il contratto che scade nel 2025. Il tutto mentre l’inchiesta meneghina entra nel vivo (la Procura attende per la prossima settimana il deposito di una prima informativa della Guardia di finanza sul caso del pandoro Pink Christmas Balocco), estendendosi alle uova di Pasqua della Dolci preziosi e, come svelato ieri dalla Verità, alla bambola Trudi, una limited edition creata dopo il matrimonio con Fedez e venduta tramite il suo canale e-commerce. E visto come è andata con il pandoro e con l’uovo, agli investigatori è venuta voglia di controllare anche la redistribuzione degli incassi per la bambolina. Compreso il propagandato sostegno all’associazione Stomp out bullying, impegnata nella lotta al cyberbullismo. Ieri la Tbs Crew srl, società dell’influencer, ha diffuso una nota per precisare ciò che era già noto, ovvero «che i ricavi derivanti dalle vendite di tale bambola avvenute tramite l’e-commerce The Blonde Salad, al netto delle commissioni di vendita pagate da Tbs al provider esterno che gestiva la piattaforma e-commerce, sono stati donati all’associazione Stomp out bullying nel luglio 2019». Ma il punto è un altro. Ed emerge proprio dal comunicato della Tbs Crew: «L’impegno a favore di Stomp out bullying ha riguardato, come dichiarato nei materiali di comunicazione, esclusivamente le vendite delle bambole fatte sul canale e-commerce diretto e non anche su altri canali gestiti da terzi». A cinque ore dal momento del lancio la bambolina era già sold-out sul canale e-commerce della Ferragni, ma la vendita sarebbe proseguita sui canali terzi. E quindi anche in questo caso, applicando una bizzarra tecnica della beneficenza calmierata, solo una parte del ricavato sarebbe finito al partner. In attesa degli sviluppi giudiziari, si sta mettendo in cantiere una norma che qualcuno nei corridoi tra Montecitorio e Palazzo Chigi ha già battezzato con il cognome della influencer. In sostanza, sarebbe intenzione di Giorgia Meloni e del suo partito di fare ordine nel Far West della beneficenza. E soprattutto di impedire a monte pratiche commerciali scorrette e campagne di marketing allusive per promuovere cause che di benefico, a conti fatti, rischiano di avere ben poco. La premier avrebbe già chiesto una relazione sul tema, in vista di una normativa che imponga di rendere note le cifre a chi dichiara di fare beneficenza.Il Codacons, che insieme ad Assourt, l’associazione utenti dei servizi radiotelevisivi, dopo la multa dell’Antitrust per pratica commerciale scorretta (oltre 1 milione di euro per due società della Ferragni e oltre 400.000 euro per la Balocco) ha presentato un esposto nelle cancellerie di 104 Procure d’Italia, approva l’idea del governo di mettere dei paletti nel settore della charity annunciata urbi et orbi attraverso la Rete: «Affinché le disposizioni siano davvero efficaci», sostiene l’associazione dei consumatori, «occorre bloccare del tutto le iniziative pubbliche di beneficenza degli influencer avviate e promosse attraverso i social network perché queste, in modo diretto o indiretto, portano a tali soggetti e ai marchi a loro legati indubbi vantaggi economici incompatibili con le finalità della solidarietà e con i fini delle norme allo studio del governo». Secondo il Codacons, «influencer come Ferragni e Fedez ottengono evidenti vantaggi economici indiretti lanciando campagne solidali che attirano milioni di visualizzazioni e interazioni sui loro canali social, a tutto vantaggio delle aziende e dei marchi da loro sponsorizzati sugli stessi canali. Così la solidarietà si trasforma inevitabilmente in attività commerciale». Chiara Ferragni è un’azienda che fattura milioni di euro, attorno alla quale ruotano molti satelliti che hanno costruito la propria «brand reputation», anche detta banalmente fortuna, grazie all’amicizia e al legame familiare con lei. Si va dalla madre Marina Di Guardo, quasi 700.000 follower che grazie alla popolarità riflessa della figlia ha scritto e pubblicato dei libri gialli; alle sorelle Francesca e Valentina Ferragni, entrambe con milioni di follower. Nessuna di loro tre ha silenziato le proprie attività social durante il lutto mediatico di Chiara: Valentina era alle Maldive col fidanzato e la madre in montagna. E quando Chiara il 3 gennaio ha rotto il silenzio indossando la tuta grigia, gli stessi amici che avevano dubitato di lei, in poche ore hanno cambiato idea si sono affrettati a riprendersi la scena pubblica mandando cuori e messaggi d’affetto sull’ultimo post che ritraeva la signora Di Guardo con la figlia Chiara e la nipotina: «Appena torno faremo una merenda tutti assieme», ha risposto a tutti la scrittrice. Che gli amici si vedono nel momento del bisogno la Ferragni lo sa, e lo ha scritto nella storia su Instagram con cui ha rotto il silenzio: «Le persone che ti vogliono veramente bene si vedono nel momento del bisogno, e io vi ho visti, letti e sentiti». «A qualcuno sarà gelato il sangue», dice una fonte vicina ai Ferragnez, spiegando che «Chiara sa chi siano i suoi veri amici, ma le piace circondarsi di persone che arrivano quando lei chiama. È un tacito accordo, un prezzo da pagare che lei conosce». Forse l’unico del quale l’influencer sembra essere veramente consapevole.
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)