2021-05-03
Fedez lamenta una tentata censura ma lui ha preteso libertà d’insulto
La polemica su Pio e Amedeo e il comizietto del rapper al concertone del Primo Maggio dimostrano che tutto è permesso ai progressisti. Soprattutto ai servetti del potere che fanno da testimonial alla mordacchia LgbtÈ quasi commovente che, in un programma popolare della televisione generalista, venga evocato il «politicamente corretto». Fino a qualche tempo fa era materia da intellettuali noiosetti, era financo difficile discuterne sui giornali. Adesso, invece, ne dibattono le masse, ci riflette il telespettatore medio. È un grande passo avanti, e pazienza se l’altra sera Pio e Amedeo, nell’affrontare la questione, sono andati con l’accetta. È nell’ordine delle cose: se si vuole arrivare a tutti, fatalmente bisogna semplificare un po’. I due comici, alla loro maniera anche grossolana, hanno messo sul piatto temi fondamentali per il nostro tempo: la libertà di espressione, la manipolazione delle parole, la suscettibilità delle minoranze (vere o presunte). A loro il merito di essersi imbarcati nell’impresa, consci che ne avrebbero ricavato - oltre agli applausi - anche parecchi attacchi (puntualmente arrivati a stretto giro e ancora in corso). L’importante, adesso, è riuscire ad allargare lo spettro della riflessione, scendere un filo più in profondità.Il problema del politicamente corretto non è tanto che esso impedisca a un autore, a un politico o a un personaggio televisivo di utilizzare parole come «negro» o «frocio». La libertà del comico o del satirico di sfruttare certi termini e la libertà di una parte del pubblico di irritarsi sono in una relazione complicata, fatta di sfumature, di sconfinamenti e di arretramenti, mutevole a seconda delle epoche. Negli anni Settanta l’americano Lenny Bruce ripeteva la parola «negro» di continuo nei suoi show per neutralizzarne la carica insultante. Non ha funzionato granché, col senno di poi, ma oggi la battaglia da combattere è comunque un’altra.Il politicamente corretto è, in buona sostanza, il linguaggio riveduto e corretto dalla politica. È, insomma, il tentativo di imporre - attraverso la manipolazione delle parole - il cosiddetto «pensiero unico». Alla centrale ideologica che produce questo pensiero neutro e neutralizzante, fatto di ideologia neoliberista avvolta in valori progressisti, in fondo non importa se diciamo «negro» o «frocio»: a sconsigliarne l’utilizzo, dopo tutto, basterebbe la buona educazione.No, la centrale del pensiero unico è più interessata a bloccare i ragionamenti raffinati, dettagliati. Non ci impedisce di insultare (non a caso i social e i programmi tv sono un concentrato di volgarità). Piuttosto, ci impedisce di esprimere critiche.Se diciamo «negro» non siamo pericolosi. Lo diventiamo se ci opponiamo - con dati, elementi concreti e osservazioni puntuali - all’immigrazione di massa. Se lo facciamo, veniamo accusati di razzismo (dunque di fascismo) anche se dalla nostra bocca non escono la parolina con la «n» o altri riferimenti alla razza. Allo stesso modo, siamo pericolosi se ci opponiamo ai comandamenti della religione sanitaria che si è imposta in tempi di Covid. In quel caso, siamo subito etichettati come «negazionisti» (dunque fascisti) così da uscirne screditati, anche se non neghiamo proprio nulla. A ben vedere, non è più nemmeno una questione di «opinioni»: anche i fatti - se sgraditi al pensiero unico - perdono diritto di cittadinanza. Semplicemente, oggi è vietato sostenere alcune posizioni. Ad esempio non ci si può opporre all’ideologia Lgbt. Attenzione: combattere tale ideologia non significa rivendicare il diritto di chiamare «frocio» un omosessuale. Significa poter dire che non basta una firma o un trattamento farmacologico per rendere donna un uomo. Significa potersi dichiarare contrari all’utero in affitto o al cambio di sesso dei minorenni senza essere accusati di omofobia. Chi dice pubblicamente cose di questo tipo già adesso è ostracizzato, perché l’intero sistema dei media e dell’intrattenimento oscura tutte le voci sgradite e davvero «scorrette». Al contrario, chi si adegua ai dettami del pensiero unico - al mainstream, per dirla in inglese - può dire tutto quello che desidera. Prendiamo Fedez: ieri si atteggiava addirittura a vittima perché pare che qualche dirigente Rai gli abbia consigliato di abbassare i toni del monologo pronunciato al concerto del Primo. La realtà dei fatti è che al cantante è stato concesso di salire su un palco e di tenere un comizietto. Gli è stato permesso di insultare in diretta tv esponenti politici della Lega e pure Jacopo Coghe di Pro vita. Il tutto all’interno di una manifestazione finanziata anche con i soldi dei contribuenti che per un’intera giornata ha fatto da cassa di risonanza alle idee slavate della sinistra.Vi risulta che l’emittente di Stato abbia mai mandato in onda un evento culturale analogo in cui fossero espresse posizioni «di destra»? Vi risulta che a Coghe o ad altri sia stato concesso di illustrare su un palco in diretta tv le proprie idee sul ddl Zan senza contraddittorio?Oggi, per chi non si colloca a sinistra, è diventato difficile persino organizzare presentazioni di libri e piccoli festival (ogni volta qualche associazione dem o qualche rappresentate del Pd invoca la mordacchia), figuriamoci trovare spazio in Rai.Invece a chi sta dal lato giusto - cioè quello progressista - tutto è permesso. Al concerto del Primo Maggio abbiamo visto una stonatissima cantante esibirsi senza talento ma soprattutto senza maglietta e senza reggiseno, con due tondini arcobaleno sui capezzoli: se la causa è «buona» va bene anche fregarsene del pudore e delle norme catodiche. Abbiamo anche visto il presentatore esibirsi assieme ad altri due interpreti nella versione «cinesizzata» di una canzone di Alex Britti. Sì: facevano il verso ai cinesi, con tanto di L al posto della R. Per una scenetta analoga Striscia la notizia è stata sommersa di insulti, ma ai compagni del concertone non si rimprovera nulla. Come se non bastasse, abbiamo dovuto sorbirci l’infantile arroganza di Fedez, un tizio che va in giro vestito come il portabandiera della globalizzazione sfrenata, si diverte a sprecare il cibo lanciandolo ai suoi amichetti e ha pure il coraggio di considerarsi superiore a chi non la pensa come lui.Il bamboccio ha avuto la faccia tosta di diffondere la telefonata con la dirigenza Rai in cui afferma: sono un artista, dico ciò che voglio. In pratica il servetto del potere che fa da testimonial alla mordacchia Lgbt rivendica il diritto di insultare. Dunque, a conti fatti, tra uno che dice «negro» e «frocio» e uno come Fedez non c’è alcuna differenza. Anzi, una sì: Fedez non viene zittito, ma può dire le sue stupidaggini a spese di tutti noi.Perché così funziona il politicamente corretto: con la scusa di proteggere le minoranze, si tutelano i cretini.