2024-05-12
Fazio, o l’arte di assumere la forma del potere
In un’intervista a «Repubblica», il conduttore tesse l’elogio della libertà come «adeguamento al momento». È la sua perfetta descrizione: egli non ha bisogno di obbedire al sistema, vi aderisce spontaneamente, ci crede, si conforma senza sforzo «La libertà è la possibilità di essere contemporanei, quindi di adeguarsi al momento, è il contrario di reprimersi». È un pensiero semplicemente meraviglioso, oltre che estremamente onesto, poiché descrive alla perfezione l’uomo che lo ha elaborato e i suoi comportamenti. Il Fazio, sulla tavola periodica, è un elemento duttile e soprattutto aderente. Gli offri un contenitore e quello ne assume la forma, soprattutto se il suddetto contenitore è politico. Il Fazio è contemporaneo nel senso che si adatta al racconto dominante, lo fa suo, vi si conforma come se non avesse mai desiderato altro, pensato altro. Non è nemmeno obbedienza o sudditanza, la sua. Per obbedire o piegarsi a un comando bisogna comunque marcare una distanza, seppure occultata, o bisogna fingere. Fabio non finge: egli crede. Non obbedisce: concorda. Non c’è dunque colpa in lui ma solo un vuoto che viene colmato e poi ricreato e ricolmato ancora e così all’infinito. Il pensiero dominante non lo domina: lo innerva. A Repubblica spiega di non aver mai ricevuto telefonate da politici, e siamo sicuri che sia vero: non c’è bisogno di chiamarlo, poiché egli naturalmente saprà cosa chiedere e cosa evitare, intuirà i limiti del dicibile e con soddisfazione li rispetterà. I maligni dicono che egli si atteggi a perseguitato politico anche se ha lasciato la Rai senza drammi per andare altrove a guadagnare più soldi facendo la stessa cosa. Ma si sbagliano, questi malfidenti. Egli non finge, non ne sarebbe capace. Repubblica, in effetti, si compiace di presentarlo come un martire, uno messo nel mirino da quei cattivoni degli organizzatori della kermesse meloniana Atreju, i quali in effetti hanno sfruttato il suo volto per un discutibile volantino («Anche se lui ci rimane male tu scrivi Giorgia», comprensibile ma scadente ricerca del nemico). Fazio sta al gioco: «È una cosa molto sgradevole», dice, «nel senso che quando si indica una persona fisica, un cittadino comune addirittura come avversario, come simbolo, ovviamente non è tranquillizzante. Del resto sono abituato, negli anni scorsi il ministro degli Interni (Matteo Salvini) nei telegiornali, nelle piazze, sui giornali, mi aveva pubblicamente ricordato più di 120 volte, quindi il modo è sempre lo stesso. Pazienza. I comportamenti di solito qualificano quelli che li mettono in atto». Beh, lui non è esattamente un comune cittadino, dato che ha pascolato per anni nella televisione pubblica facendo quel che gli pareva e distribuendo pulpiti agli amichetti del circolino. Comprendiamo, però, che il ruolo dell’avversario politico non gli si addica e dunque ne sia infastidito. Fazio, biologicamente, non si oppone. Egli appunto aderisce, non è in grado di contrastare. Il suo addio alla Rai è stato, in fondo, una naturale evoluzione. Il suo mondo di riferimento passava all’opposizione, doveva passarci pure lui. Perché quel che gli serve non è un bersaglio contro cui scagliarsi, come capita ai mattatori catodici tipo Corrado Formigli. No, Fabio ha bisogno di una stella polare da seguire, di un magnete attorno a cui gravitare per non perdersi. C’è chi fa professione di servitù volontaria. Lui no: lui non è servo ma al massimo complice, però inconsapevole. Se il discorso dominante si dipana meglio su altre reti meno legate alla politichetta nostrana e più espressive dello spirito dei tempi transnazionale, Fazio instintivamente migra. In qualche modo, è lui stesso ad ammetterlo: «Sono uno di quelli non compatibili con la nuova narrazione», afferma. «Ricordo sempre che il mio contratto non fu rinnovato da chi c’era prima e da chi è arrivato. Da quanti anni si dice che la Rai deve trovare un’autonomia dalla politica? Da sempre. Invece è connessa, ed è sempre più complicato. Al di là della politica, la televisione bisogna saperla fare. Non è una cosa semplice, è un lavoro d’ingegno e si rischia di fare errori. I limiti sono già oggettivi in ciascuno di noi, si figuri partendo con i paletti. A distruggere ci vuole un secondo». Davvero, comprendiamo che Fazio sia turbato dalla politica. Perché lui in effetti è prepolitico, apolitico. Nel senso: se fosse per lui la politica - che per lo più è conflitto - non esisterebbe, ogni controversia sparirebbe nella conformità. Perciò le sue interviste non prevedono domande: in fondo non c’è nulla da chiedere. Occorre che il potere si manifesti da sé, che splenda incontrastato, al massimo gli si può lustrare la passerella per farlo sfilare, non serve certo scavare per farlo emergere. Dispiace solo che a Repubblica non abbiano capito la vera essenza di Fazio e vadano a scomodarlo per fargli deprecare le presunte censure destrorse (azione utile a far dimenticare le censure vere progressiste, ma passi). Che errore madornale: Fabio non è un Saviano o uno Scurati. Egli non vive di luce riflessa, non si dà una identità grazie agli attacchi altrui. Se Fabio ha una identità, ce l’ha nel senso di perfetta sovrapposizione: egli è identico al racconto unico, non se ne distingue. Al cospetto del potere, egli svapora, si annulla, si perde nella pienezza del divino. Voi tutti che non lo capite, quanto limitati siete: la sua non è partigianeria bensì ascesi. I martiri vanno in paradiso, lui ha preferito raggiungere il Nirvana. Parola che, in sanscrito, significa «spegnimento». Infatti se spegnete la Tv, Fazio smette letteralmente di esistere.
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