2020-10-02
Farmaci gratis ai trans: paghiamo noi
Dopo il blitz dell'Emilia Romagna, arriva la comunicazione in Gazzetta: in tutta Italia i medicinali usati da donne per diventare uomini e viceversa saranno a carico del servizio sanitario. Intanto il Pd mette di nuovo in calendario la legge bavaglio sull'omofobia.Non hanno perso tempo. Passate da un soffio le elezioni regionali, ecco che i giallorossi sono immediatamente tornati alla carica sulla legge bavaglio Lgbt, il famigerato ddl Zan-Scalfarotto. Mercoledì la conferenza dei capigruppo ha deliberato una nuova calendarizzazione per la discussione del disegno di legge alla Camera: la data fissata è quella del 20 ottobre. Si fa in fretta, dunque. E considerando i nuovi equilibri all'interno della maggioranza è probabile che il progetto arcobaleno abbia ancora più possibilità di concretizzarsi. Secondo il piddino Alessandro Zan, l'uomo che dà il nome alla proposta, «ottobre è l'unica finestra possibile per approvare la legge alla Camera». A suo dire, «se tutto va bene, se non ci sono problemi, il 22 ottobre dovremmo poter far passare il testo a Montecitorio». Sulla questione si è esposto persino il segretario dem, Nicola Zingaretti. «Il 20 ottobre», ha scritto su Twitter, «va in aula alla Camera la legge contro l'omotransfobia e la misoginia. Il Pd c'è, ora è importante l'impegno di tutte le forze politiche per approvare testo e passare da parole ai fatti. Questa legge serve alle ragazze e ai ragazzi, alle famiglie, all'Italia». Ecco, sul fatto che questa legge serva all'Italia abbiamo seri dubbi. Gli attivisti Lgbt giustificano la loro insistenza sostenendo che da noi esista una «emergenza omofobia». Tutto, però, fa pensare il contrario. Il mondo arcobaleno non è mai stato forte come oggi, e lo scopo evidente del ddl Zan è soltanto quello di renderlo definitivamente dominante e incontestabile. Infatti, mentre i progressisti si trastullano con il dibattito sulla mordacchia, l'ideologia Lgbt continua a macinare terreno. L'ultimo, clamoroso passo avanti è stato annunciato ieri dal Movimento identità trans. Già: sono stati gli attivisti a sbandierare la loro conquista, altrimenti probabilmente il governo l'avrebbe fatta passare in sordina. Sul sito del Mit è apparsa tra squilli di trombe la seguente notizia: «Le terapie ormonali sostitutive in Italia sono gratuite e garantite sull'intero territorio nazionale». Significa che i farmaci necessari al cambiamento di sesso saranno forniti gratuitamente a chiunque ne faccia richiesta, perché lo Stato si farà carico dei costi. Giusto mercoledì la Regione Emilia Romagna - tra gli applausi della sinistra tutta - aveva annunciato un balzo in avanti sulla questione, spiegando che i medicinali sarebbero stati forniti a costo zero a «centinaia di persone» grazie a una leggere regionale. Ma ecco che, a distanza di 24 ore, la novità diviene nazionale.A rendere il tutto ufficiale c'è la determina apparsa sulla Gazzetta Ufficiale il 23 settembre, la quale parla esplicitamente di «inserimento dei medicinali estradiolo, estradiolo emiidrato, estradiolo valerato, ciproterone acetato, spironolattone, leuprolide acetato e triptorelina nell'elenco dei medicinali erogabili a totale carico del Servizio sanitario nazionale, ai sensi della legge 23 dicembre 1996, n. 648». Questi farmaci, spiega ancora il testo, servono per «l'impiego nel processo di femminilizzazione di donne transgender, previa diagnosi di disforia di genere/incongruenza di genere, formulata da una equipe multidisciplinare e specialistica dedicata». Dunque parliamo di medicinali utilizzati dagli uomini per diventare donne. Con una breve ricerca sul sito dell'Aifa, l'Agenzia italiana del farmaco, si trova pure la lista completa dei prodotti utili alle donne per diventare uomini.L'Aifa infatti certifica l'inserimento «dei medicinali testosterone, testosterone undecanoato, testosterone entantato, esteri del testosterone nell'elenco dei medicinali erogabili a totale carico del Servizio sanitario nazionale, ai sensi della legge 23 dicembre 1996, n. 648, per l'impiego nel processo di virilizzazione di uomini transgender, previa diagnosi di disforia di genere/incongruenza di genere formulata da una equipe multidisciplinare e specialistica dedicata». Certo, perché questi farmaci vengano prescritti gratuitamente è necessario un parere medico, cioè l'«attestazione diagnostica di disforia di genere/incongruenza di genere». Insomma, dev'essere uno specialista a dare il via libera al percorso di transizione di genere. Ed è proprio qui che si manifestano alcune contraddizioni. Come noto, nel 2019 l'Organizzazione mondiale della sanità ha deciso di togliere la disforia di genere dal novero dei «disordini mentali» presenti all'interno dell'International Classification of Diseases (in sostanza la classificazione globale delle malattie). L'Oms spiega che la disforia di genere non è una malattia, ma qualcosa che ha a che fare con le «condizioni di salute sessuale». La formula è volutamente ambigua. Da un lato le istituzioni internazionali non possono sostenere che l'incongruenza e la disforia di genere siano «disturbi», perché altrimenti verrebbero accusate di stigmatizzare le persone trans. Dall'altro lato, però, bisogna che in qualche modo le problematiche di genere siano riconosciute e catalogate, altrimenti non sarebbe possibile giustificare l'erogazione gratuita dei farmaci. Ecco allora il contorcimento ideologico sulla «salute sessuale». C'è poi un altro aspetto da considerare. Poiché la disforia di genere non è (più) una malattia né un disturbo né un disordine mentale, non si può in alcun modo «curarla». Bisogna, al massimo, assecondarla, adottare quello che si chiama «approccio affermativo». L'aspetto più pericoloso della faccenda è che - in questo terreno melmoso - salute e diritti, medicina e politica si confondono. Come potrà un dottore sconsigliare a qualcuno di cambiare sesso se rischia di passare per un omofobo? Tra i farmaci gratuiti c'è anche la triptorelina, il bloccante della pubertà che consente ai minorenne di iniziare il percorso verso la transizione. Bene: come si potrà impedire a un ragazzino di compiere una scelta dolorosa e irreversibile se tentare di dissuaderlo significa «violare i suoi diritti»?Sì, in Italia c'è un'emergenza, ma non è l'omofobia: è l'avanzata di un'ideologia pericolosa che si vuole imporre a spese di tutti.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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