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2018-06-04
I destini del Medioriente passano dagli F35
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www.laverita.info
Le tensioni in atto tra Washington e Ankara si stanno amplificando. I rapporti diplomatici si erano guastati già all'indomani del tentato golpe del 15 luglio 2016 per il rifiuto statunitense alla pretesa turca di mettere le mani su Fethullah Gulen, predicatore e leader del movimento Hizmet, accusato di aver progettato il colpo di Stato contro il presidente Recep Tayyip Erdoğan. Ora gli attriti sono aumentati sia a causa del sostegno a stelle e strisce alle milizie curdosiriane, sia per le novità riguardanti nientemeno che l'F-35A Lightning II, caccia di quinta generazione acquistato anche dalla Turchia in 16 esemplari con opzione per altri 100. Una compravendita che aveva sollevato non poche critiche da parte degli alleati Usa già quando fu annunciata, nel 2012, insieme con l'accordo di produzione in Turchia di alcune parti del motore Pratt & Whitney F135, proprio quello del supercaccia, in atto dal giugno 2014.
Giovedì scorso il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu, ha infatti rilasciato una dichiarazione pesantissima reagendo alla ventilata possibilità che gli Usa possano ritardare o annullare la consegna del primo esemplare di F-35A, prevista per il 21 giugno prossimo, nonché impedire a Erdoğan di poter acquisire ulteriori esemplari.
Çavuşoğlu, oltre ad aver rinfacciato a Donald Trump che la Turchia ha già pagato la prima tranche del contratto e che quindi ha il diritto di ricevere gli aeromobili, ha tuonato sostenendo che non si tratta soltanto di una vendita di armi ma di uno «sviluppo congiunto» che gli sarebbe impedito e che metterebbe a rischio gli investimenti fatti, alludendo proprio alla fabbrica dei motori. Ma soprattutto il numero uno della diplomazia di Ankara ha sottolineato che se gli Usa proseguiranno con questo ritardo, la Turchia potrebbe acquistare altri aerei militari «di simili prestazioni» da altri produttori. Il riferimento è chiaro: la Russia di Vladimir Putin, che da un paio d'anni ha triplicato le esportazioni militari, tendenza riconfermata anche durante il recente salone Kadex di Astana (Kazakistan), dove le aziende controllate vicine al presidente hanno fatto ancora una volta affari d'oro grazie a un miglioramento della tecnologia e alla disponibilità rapida dei prodotti per la difesa, in quanto ogni vendita passa soltanto al vaglio del Cremlino.
Di fatto i turchi fanno il doppio se non triplo gioco da molto tempo: sono parte della Nato, sanno e approfittano del fatto che Washington ha bisogno delle tre basi attualmente sul loro territorio, ma lo scorso anno avevano acquistato alcune decine di sistemi missilistici S-400 da Mosca, sollevando ovviamente le ire di Usa e Israele. Inoltre, al di là del Bosforo sostengono di volere gli F-35 per essere all'altezza di Israele (che li ha già mandati a bombardare postazioni iraniane in Siria facendolo sapere con orgoglio a tutto il mondo, come raccontano le immagini nel video sopra diffuse dalla tv di Stato siriana), ma al tempo stesso non cedono alle richieste statunitensi di rilasciare Andrew Brunson, pastore cristiano detenuto per sospetta attività pro golpe, del quale si è discusso anche al Senato statunitense l'ultima settimana di maggio, quando Washington, insieme con il bilancio di previsione 2019 della Difesa (715,8 miliardi di dollari), ha approva anche una clausola per impedire alla Turchia di acquistare i supercaccia.
In realtà lo Zio Sam ha anche altri timori: a Washington sono convinti che i turchi vogliano lasciare che tecnici russi presenti sul loro territorio possano analizzare l'F-35A comprendendone la tecnologia ma soprattutto studiandone limiti e punti deboli per poter così migliorare il loro nuovo SU-57, proprio il caccia al quale guarderebbe con interesse Erdoğan e bestseller dell'industria aerospaziale russa. Ma non soltanto: un rapporto dell'intelligence Usa sostiene che tecnici russi siano già penetrati nello stabilimento dove si produce il motore del Lighning II, nonostante le rassicurazioni di Ankara. Infine, come se non bastasse, Erdoğan nel gennaio 2017 si era impegnato con l'azienda britannico Bae System per sviluppare in tempi brevi un altro caccia da superiorità aerea, il Tai TFX, con tanto di annuncio fatto insieme al premier di Londra, Theresa May, che dovrebbe essere pronto entro il 2023 e del quale si attendono sviluppi e aggiornamenti del programma in occasione del prossimo salone aerospaziale di Farnborough (Regno unito), al via il prossimo 16 luglio. Un programma ambizioso, 50 miliardi di dollari per un costo di 100 milioni a esemplare. Quale tecnologia avrà? Facilmente non soltanto quella occidentale dei britannici, ma anche quella russa. E a quel punto il triplo gioco di Erdoğan sarà riuscito.
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Israele è diventato il primo Paese a usare il caccia multiruolo in combattimento attaccando postazioni iraniane in Siria. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan non ci sta e chiede agli Usa di sbloccare le consegne. Altrimenti chiuderà l'accesso alle basi Nato nel Paese. Ma nel frattempo Ankara gioca di sponda anche con i russi.Le tensioni in atto tra Washington e Ankara si stanno amplificando. I rapporti diplomatici si erano guastati già all'indomani del tentato golpe del 15 luglio 2016 per il rifiuto statunitense alla pretesa turca di mettere le mani su Fethullah Gulen, predicatore e leader del movimento Hizmet, accusato di aver progettato il colpo di Stato contro il presidente Recep Tayyip Erdoğan. Ora gli attriti sono aumentati sia a causa del sostegno a stelle e strisce alle milizie curdosiriane, sia per le novità riguardanti nientemeno che l'F-35A Lightning II, caccia di quinta generazione acquistato anche dalla Turchia in 16 esemplari con opzione per altri 100. Una compravendita che aveva sollevato non poche critiche da parte degli alleati Usa già quando fu annunciata, nel 2012, insieme con l'accordo di produzione in Turchia di alcune parti del motore Pratt & Whitney F135, proprio quello del supercaccia, in atto dal giugno 2014.Giovedì scorso il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu, ha infatti rilasciato una dichiarazione pesantissima reagendo alla ventilata possibilità che gli Usa possano ritardare o annullare la consegna del primo esemplare di F-35A, prevista per il 21 giugno prossimo, nonché impedire a Erdoğan di poter acquisire ulteriori esemplari.Çavuşoğlu, oltre ad aver rinfacciato a Donald Trump che la Turchia ha già pagato la prima tranche del contratto e che quindi ha il diritto di ricevere gli aeromobili, ha tuonato sostenendo che non si tratta soltanto di una vendita di armi ma di uno «sviluppo congiunto» che gli sarebbe impedito e che metterebbe a rischio gli investimenti fatti, alludendo proprio alla fabbrica dei motori. Ma soprattutto il numero uno della diplomazia di Ankara ha sottolineato che se gli Usa proseguiranno con questo ritardo, la Turchia potrebbe acquistare altri aerei militari «di simili prestazioni» da altri produttori. Il riferimento è chiaro: la Russia di Vladimir Putin, che da un paio d'anni ha triplicato le esportazioni militari, tendenza riconfermata anche durante il recente salone Kadex di Astana (Kazakistan), dove le aziende controllate vicine al presidente hanno fatto ancora una volta affari d'oro grazie a un miglioramento della tecnologia e alla disponibilità rapida dei prodotti per la difesa, in quanto ogni vendita passa soltanto al vaglio del Cremlino.Di fatto i turchi fanno il doppio se non triplo gioco da molto tempo: sono parte della Nato, sanno e approfittano del fatto che Washington ha bisogno delle tre basi attualmente sul loro territorio, ma lo scorso anno avevano acquistato alcune decine di sistemi missilistici S-400 da Mosca, sollevando ovviamente le ire di Usa e Israele. Inoltre, al di là del Bosforo sostengono di volere gli F-35 per essere all'altezza di Israele (che li ha già mandati a bombardare postazioni iraniane in Siria facendolo sapere con orgoglio a tutto il mondo, come raccontano le immagini nel video sopra diffuse dalla tv di Stato siriana), ma al tempo stesso non cedono alle richieste statunitensi di rilasciare Andrew Brunson, pastore cristiano detenuto per sospetta attività pro golpe, del quale si è discusso anche al Senato statunitense l'ultima settimana di maggio, quando Washington, insieme con il bilancio di previsione 2019 della Difesa (715,8 miliardi di dollari), ha approva anche una clausola per impedire alla Turchia di acquistare i supercaccia.In realtà lo Zio Sam ha anche altri timori: a Washington sono convinti che i turchi vogliano lasciare che tecnici russi presenti sul loro territorio possano analizzare l'F-35A comprendendone la tecnologia ma soprattutto studiandone limiti e punti deboli per poter così migliorare il loro nuovo SU-57, proprio il caccia al quale guarderebbe con interesse Erdoğan e bestseller dell'industria aerospaziale russa. Ma non soltanto: un rapporto dell'intelligence Usa sostiene che tecnici russi siano già penetrati nello stabilimento dove si produce il motore del Lighning II, nonostante le rassicurazioni di Ankara. Infine, come se non bastasse, Erdoğan nel gennaio 2017 si era impegnato con l'azienda britannico Bae System per sviluppare in tempi brevi un altro caccia da superiorità aerea, il Tai TFX, con tanto di annuncio fatto insieme al premier di Londra, Theresa May, che dovrebbe essere pronto entro il 2023 e del quale si attendono sviluppi e aggiornamenti del programma in occasione del prossimo salone aerospaziale di Farnborough (Regno unito), al via il prossimo 16 luglio. Un programma ambizioso, 50 miliardi di dollari per un costo di 100 milioni a esemplare. Quale tecnologia avrà? Facilmente non soltanto quella occidentale dei britannici, ma anche quella russa. E a quel punto il triplo gioco di Erdoğan sarà riuscito.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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