Export record da 8 miliardi per le nostre cantine, insidiate dai capitali esteri, dall’inflazione e dal boicottaggio salutista.
Export record da 8 miliardi per le nostre cantine, insidiate dai capitali esteri, dall’inflazione e dal boicottaggio salutista.Se 8 miliardi vi sembran pochi. Si parte da qui, da oggi fino al 5 aprile a Verona con il Vinitaly, che viene inaugurato stamani dal ministro per la Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida. Otto miliardi nel 2022 sono la performance record all’esportazione delle nostre cantine - nel complesso il settore vale 14 miliardi di fatturato, 6.500 aziende imbottigliatrici, 1,4 milioni di occupati - che hanno negli Usa la terra «promossa». Comprano per quasi 2 miliardi con un incremento del 16,2, ma si sono superati di slancio anche i timori della Brexit, con il mercato britannico che fa +32,7%, merito in larghissima parte del Prosecco, che resta il più amato dai sudditi di re Carlo. Dunque c’è da fare festa? Non del tutto e non per tutti. I maggiori gruppi sono andati assai bene (crescita media del 9%). In testa alla classifica si confermano i colossi cooperativi (Riunite più Giv valgono 650 milioni, con Caviro e Cavit al di sopra dei 250 milioni) e ci sono alcuni aggregati molto dinamici come Aiga e Italian wine brands. La marca conta sui mercati mondiali più del territorio. Che invece è affermato dalla toscanissima Marchesi Antinori (settima in classifica per fatturato a 240 milioni, così come Santa Margherita dei Marzotto), ancora una volta premiata come migliore cantina del mondo e da altre case storiche come i Frescobaldi, i Lunelli con Ferrari, Terra Moretti e Masi. Sconta invece l’aggressione di capitali esteri il vino di nicchia. Il fenomeno è particolarmente evidente in Toscana, dove ci sono state 73 acquisizioni, ma riguarda tutta Italia e segnatamente la Langa (23 affari). Nell’ultimo anno sono finite in mano straniera 209 aziende vinicole, segno di due fattori contrastanti: da una parte c’è un incremento di percezione di valore del vino italiano (da Gaja a Ornellaia passando per Sassicaia, Fontodi, Planeta, Caprai la lista delle cantine e produzioni al top è lunghissima), ma dall’altra c’è una debolezza sistemica. È uno dei temi centrali del Vinitaly che oltre la celebrazione, oltre le degustazioni spettacolo, oltre ad affermare che siamo il primo Paese produttore al mondo con 48 milioni di ettolitri (ma nelle cantine giace una vendemmia e mezzo d’invenduto e anche se c’è una massa considerevole di vini pregiati in affinamento, forse un problema di sovraproduzione esiste e basta guardare a Bordeaux, dove si finanzia l’espianto dei vigneti, per saperlo) deve interrogarsi sul futuro. Che non è così roseo. Il boicottaggio che Paesi come l’Irlanda hanno compiuto con le etichette allarmistiche, la posizione della Commissione europea che di certo non è favorevole al vino e all’agricoltura in generale, le offensive dell’Oms che confonde l’abuso di alcol con il consumo consapevole colto e identitario del vino, sono una spia delle sfide che il vino italiano deve affrontare. Sarà anche per questo che il ministro Lollobrigida ieri, inaugurando Opera wine (è l’anteprima di Vinitaly organizzata da Wine Spectator, la Bibbia del vino in America, che selezione le migliori 130 cantine italiane), ha ribadito: «Il vino è il nostro gioiello di famiglia, la punta di diamante che traina tutto l’agroalimentare. E tutto quello che può fare da traino, a livello economico e culturale, per il governo è una priorità. Perciò ci saranno tanti colleghi con me a Vinitaly. Con uno schema che replicheremo anche in altre occasioni, perché ogni ministero che ha competenza diretta o indiretta sul made in Italy deve lavorare in maniera sinergica, come non è mai stato fatto». A eleggere le cantine ambasciatrici del valore Italia sarà il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, atteso a Verona domani, lunedì 3 aprile, mentre Daniela Santanchè, ministro per il Turismo, ha pronto un piano di rilancio dell’enoturismo che è uno dei motori delle vacanze in Italia per questa stagione che si sta aprendo con le prenotazioni di Pasqua, con la prospettiva di un anno record. È dunque un Vinitaly di consacrazione e al tempo stesso di svolta per un settore che deve comunque misurarsi con un’esplosione dei costi - vetro, etichette, legno, trasporti, energia gli aumenti medi per le cantine si sono aggirati al 60% - non del tutto compensati dall’aumento dei prezzi di vendita e un evidente polarizzazione del mercato tra le etichette di maggior prestigio, che non hanno problemi e la produzione di massa, che invece batte in testa per la riduzione «forzata» dall’inflazione dei consumi. Agricoltura di precisione, la frontiera del biologico, quella ancora più innovativa dei vini dealcolati (Freddi e Bottega presentano i primi spumanti e Prosecco a zero alcol), il rapporto con l’arte (a Verona vengono esposti i capolavori a soggetto vino provenienti da tutta Italia e cantine come Caprai affidano agli artisti, in questo caso Bernulia, la rappresentazione delle sensazioni di degustazione) sono gli input che emergono da un Vinitaly in edizione gigante. Fino al 5 aprile 4.000 cantine, 800 degustazioni, 1.000 buyer da 30 Paesi e oggi e domani anche tutta Verona coinvolta con Vinitaly in the city, raccontano l’Italia in vigna.
Ansa
Gli antagonisti, tra cui qualche ex brigatista, manifestano insieme a imam radicalizzati e maranza. Come Omar Boutere, italo marocchino ricercato dopo gli scontri a Torino, ritrovato a casa della leader di Askatasuna. Una saldatura evidente che preoccupa gli inquirenti.
La saldatura che preoccupa investigatori e intelligence ormai non è più un’ipotesi, è una fotografia scattata nelle piazze: gli antagonisti, compreso qualche indomito ex brigatista, manifestano contro Israele, marciano accanto agli imam radicalizzati comparsi in inchieste sul terrorismo jihadista e applaudono a predicatori salafiti che arringano la folla tra le bandiere rosse e quelle palestinesi. È tutto lì, in una sola immagine: anarchici, jihadisti, vecchio terrorismo rosso e sigle filopalestinesi fusi negli stessi cortei, con gli stessi slogan, contro gli stessi nemici. Una convergenza che non è spontanea: è il risultato di un’ideologia vecchia di 20 anni, quella di Nadia Desdemona Lioce, che aveva già teorizzato che «le masse arabe e islamiche espropriate e umiliate sono il naturale alleato del proletariato metropolitano».
Ansa
Solidarietà bipartisan alla «Stampa» per l’aggressione. Ma i progressisti glissano sugli antagonisti e usano il loro lessico. Francesca Albanese: «Sbagliato, ma sia un monito». Giorgia Meloni: «Parole gravi». La replica: «Vi faccio paura».
Alla fine, meno male che ci sono i social, dove impazzano le foto delle scritte sui muri della redazione della Stampa. «Free Palestine», «Giornali complici di Israele», «Free Shamin» (l’imam di Torino espulso), «Stampa complice del genocidio». Si può vedere questo e altro anche sui canali web di Intifada Studentesca Torino. Vedere la saldatura tra alcuni ambienti antagonisti e la frangia violenta dei pro Pal è ormai alla portata di tutti. Ma anche ieri gran parte della sinistra che ha espresso solidarietà alla redazione del quotidiano degli Elkann ha faticato a fare il più classico dei 2+2. E lo stesso vale anche per i giornalisti di Stampa e Repubblica, che nei loro comunicati ufficiali hanno completamente sorvolato sulla matrice dell’irruzione di venerdì, per nascondersi dietro espressioni generiche come «squadrismo» e «manifestanti».
Uno scatto della famiglia anglo-australiana, che viveva nel bosco di Palmoli, in provincia di Chieti, pubblicato sul sito web della mamma, Caterine Louise Birmingham (Ansa)
I piccoli divisi da mamma e papà nella Regione sono 2.657: troppi. Perciò sono state emanate delle linee guida ai servizi sociali per limitare la pratica ai casi gravi. L’assessore Maurizio Marrone: «Basta demonizzare la famiglia».






