2022-12-01
Ex Ilva, lo Stato paga i fornitori stranieri e poi deve versare la Cig a quelli italiani
Paradosso a Taranto: l’acciaieria in mano pubblica scarica la Sanac per una ditta estera. E a noi toccano gli ammortizzatori.«Saliamo su un treno in corsa che sta deragliando», ha detto martedì nel salotto di Porta a Porta il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso parlando dell’ex Ilva. E ribadendo che il «miliardo» previsto come «iniezione di risorse» deve essere «condizionato alla governance» con una parte attiva dello Stato «per invertire subito il declino produttivo» dello stabilimento di Taranto. Dall’altra parte, c’è il presidente della controllante Acciaierie d’Italia, Franco Bernabé, che ieri a margine di un convegno ha sottolineato come il costo dell’energia abbia «influito molto sull’Ilva», i costi energetici ammontavano a «200 milioni nel 2020» mentre ora sono di 1,4 miliardi, «insostenibile per qualsiasi impresa», ha aggiunto il manager. Passando poi la palla agli azionisti «che sono in contatto fra di loro» che dovranno arrivare all’assemblea della società fissata per oggi «con una soluzione dei problemi finanziari delle Acciaierie d’Italia». Bernabè ha spiegato che «il piano per la decarbonizzazione e, quindi, per la transizione energetica è pronto. I progetti ci sono», ma «manca il finanziamento e spetta agli azionisti decidere cosa vorranno fare in termini di finanziamenti di un processo di transizione che è molto oneroso e comporta sull’arco di 10 anni un investimento di 5,5 miliardi». Mentre i sindacati spingono per la nazionalizzazione, tra le ipotesi c’è quella di anticipare al 2023 l’incremento della partecipazione pubblica (attraverso Invitalia) dal 32 al 60% previsto nel 2024. Soltanto a questa condizione verrebbero iniettati i 2 miliardi di euro complessivamente previsti dal Pnrr e dall’aumento di capitale inserito nel dl Aiuti bis. Nel frattempo, ci sono 145 imprese dell’indotto che lo scorso 11 novembre si sono viste sospendere le commesse almeno fino a metà gennaio. Ma sullo sfondo c’è anche un’altra vertenza ereditata da questo governo che riguarda un altro fornitore dell’Ilva, la Sanac. Si tratta di un’azienda che fornisce materiali refrattari alla siderurgia, un’eccellenza italiana con stabilimenti (Massa, Gattinara, Vado Ligure e Grogastu) che non ha crisi di mercato ma è in amministrazione straordinaria. E da mesi non riceve più commesse da Acciaierie d’Italia, la quale avrebbe preferito delocalizzare rivolgendosi a fornitori stranieri. «Lo Stato è azionista di un’azienda in Italia che investe sui refrattari all’estero, nonostante abbia sul territorio nazionale uno storico fornitore. Questa scelta porta Sanac alla necessità di ricorrere ad ammortizzatori sociali per circa 300 lavoratori italiani pagati a sua volta dallo Stato. In pratica lo Stato paga due volte», sottolinea Alessandro Amorese, deputato di Fratelli d’Italia che ha seguito tutta la vicenda insieme al collega Salvatore Deidda e ne ricorda le tappe. «Dal 2015 Sanac, in quanto di proprietà del gruppo Riva, è costretta a passare in amministrazione straordinaria. L’obiettivo dei commissari è di tenere in vita l’azienda, sempre collegata a doppio filo con Ilva in quanto controllata della stessa, e di portarla verso una definitiva vendita tramite un bando di gara pubblico. Che viene fatto nel 2016 per l’acquisizione dell’ex Ilva e delle sue controllate: in questa occasione, però, è stato deciso di togliere Sanac dal bando, in quanto azienda di valore superiore rispetto ad una normale controllata e dalla quale si riteneva di poter guadagnare maggiormente con una procedura di vendita ad hoc». Ilva è passata alla multinazionale Arcelor Mittal, poi è entrato in società lo Stato tramite Invitalia, fondando l’attuale Acciaierie d’Italia. Nel frattempo, Sanac ha affrontato tra bandi di vendita, l’ultimo attualmente in corso con la presentazione offerte vincolanti entro metà gennaio 2023 ed eventuale assegnazione entro la primavera sempre del prossimo anno. «Dall’avvento dell’amministrazione straordinaria in poi», aggiunge Amorese, «Sanac ha perso via via professionalità importanti, personale, conoscenze, brevetti che non sono mai stati ripristinati, sostituiti o rinnovati. Non si è più fatto nessun tipo di investimento industriale che permettesse alla stessa di stare al passo con i tempi, il volume produttivo è sceso via via e con esso il valore ed il volume d’affari dell’azienda. Dal giugno 2021 Arcelor Mittal ha deciso di non assegnare più nessun ordine a Sanac, che fino al 2018 era fornitore unico attestandosi un volume d’affari di circa 65/70% su Taranto. Non solo. Ha interrotto i pagamenti di fatture scadute per forniture regolarmente consegnate, arrivando a picchi di 40-42 milioni di crediti scaduti. Il saldo di questi crediti non pagati è iniziato a seguito di continui decreti ingiuntivi, uno al mese, che Sanac si è vista costretta a fare. Attualmente il debito di Acciaierie d’Italia verso Sanac è di circa 23 milioni», conclude il deputato di Fdi. Proprio ieri il ministro Urso, rispondendo durante il question time a un’interrogazione della Lega, ha annunciato di aver convocato per il 6 dicembre al Mimit un tavolo di confronto con le parti sociali sul futuro di Sanac. Speriamo sia la volta buona.