2020-07-25
Erdogan compie la sottomissione islamica di Santa Sofia
Recep Tayyip Erdogan (Anadolu/Getty Images)
Il presidente turco partecipa alla prima preghiera nella ex basilica, da lui ritrasformata in moschea. Coperte le icone cristiane.L'arcangelo Gabriele è coperto da un drappo e il fascino eterno dei mosaici della Vergine Maria viene annullato dal buio, va in scena il trionfo del Sultano. Così piace farsi chiamare a Recep Tayyip Erdogan, in prima fila nella preghiera del venerdì, quella dello schiaffo al cristianesimo, quella della restaurazione islamica. Anche dentro Santa Sofia ferita nel profondo, risuona e si moltiplica il grido «Allah u Akbar». Maometto è grande. E nella Turchia che trasforma, sfidando il mondo, le chiese in moschee è grande anche l'orgoglio per l'ultima crociata. Quella al contrario, quella che porta i simboli musulmani dentro i luoghi che furono di Cristo. Erdogan è in prima fila nella celebrazione di una vittoria politica e poi religiosa. Ha incassato l'invasione di Santa Sofia nel silenzio generale dell'Europa atea e commerciale. Neppure Papa Francesco è stato capace di andare oltre una generica «amarezza», espressione che solitamente si riserva a uno spiacevole contrattempo. È il tempo della mediocrità e del tornaconto, l'assoluto non conta più o viene evocato soltanto a comando (per i profughi, per il pianeta, per negarlo). Quindi è il tempo perfetto per il Sultano di Istanbul che allarga gli orizzonti, impone le sue scelte e sa che il popolo è con lui. Nella prima preghiera dentro la moschea che fu simbolo della cristianità in Oriente, Erdogan - zucchetto bianco, mani rivolte al cielo - è in ginocchio con tutta la nomenklatura in doppiopetto Caraceni. A differenza dei suoi dignitari non porta la mascherina, non è interessato al distanziamento sociale; il momento è storico. Dentro, il limite concesso è di 1.000 persone. Fuori, fin dall'alba, si ammassano attorno a piazza Sultanahmet 350.000 fedeli, soprattutto giovani, con la bandiera verde dell'Islam. Evidentemente meno agnostici dei nostri. «È un sogno d'infanzia che si avvera», annuncia Erdogan e il popolo esulta. Tre imam e cinque muezzin guidano la cerimonia, dettano i tempi del canto, annichiliscono e provano ad azzerare la santissima Trinità che per quasi 1.000 anni aveva riempito quegli spazi sacri. E poi li aveva percorsi con discrezione nel periodo sconsacrato. Dedicata alla Sapienza di Dio, Santa Sofia è un monumento millenario, costruito nel VI secolo dall'imperatore Giustiniano. Ha resistito a tutto, a invasioni, guerre mondiali, rivolte. Era stata protetta, a suo modo, da Ataturk (padre della Turchia laica) che l'aveva tramutata in museo per non correre il rischio di trasformare il luogo in un altro tempio di David con le tensioni di un'altra Gerusalemme. Hanno resistito a tutto quello pietre, non al blitz del Sultano camuffato da presidente della Repubblica. Non c'è occidentale in visita a Istanbul che non l'abbia cercata, non ne abbia colto il fascino nel segno di Cristo. E se la municipalità di Istanbul continua a ripetere che «Ayasofya sarà aperta a tutti», difficile credere che ciò accadrà davvero. Santa Sofia è perduta. La conquista antistorica di Erdogan, figlia di un revanscismo nazionalista, dà ragione all'ultimo grande d'Occidente che mise in guardia di fronte alla deriva, Joseph Ratzinger. Nel 2007 disse: «La Turchia ha sempre rappresentato un altro continente, culturale e non geografico, in permanente contrasto con l'Europa». E mentre la Ue bottegaia cercava sponde per far entrare il Sultano in Europa, Benedetto XVI aggiunse: «Sarebbe un errore identificare i due continenti. Significherebbe una perdita di ricchezza la scomparsa della cultura in favore dei benefici in campo economico». L'arcangelo Gabriele coperto per non disturbare ci rivela che aveva ragione.