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2023-07-10
Emilia-Romagna, l’agenda di Figliuolo per il dopo alluvione
Il commissario alla Ricostruzione, generale Francesco Paolo Figliuolo (Ansa)
Tonnellate di rifiuti da smaltire, frane che ostruiscono la viabilità, argini dei fiumi dissestati, immobili da recuperare. C’è poi la parte industriale. Le aziende sono ripartite, fa sapere Confindustria Romagna, ma con i capannoni ancora invasi dal fango e cumuli di detriti di macchinari inservibili accatastati, da rimuovere. C’è il problema della difficoltà a raggiungere il posto di lavoro per le criticità della rete stradale mentre i fuorisede faticano a trovare un alloggio in affitto. E non è solo per l’inagibilità di tanti immobili. Si è scatenata la speculazione. Le locazioni dei piani alti stanno aumentando, perché percepiti come più sicuri. L’Emilia-Romagna soffre come altre regioni industriali della carenza di manodopera che importa dal resto del Paese. Se dovesse cominciare la spirale dei rialzi dei fitti, sarebbe ancora più difficile trovare personale. A questo si aggiungono, sottolineano le associazioni imprenditoriali, i rincari dei materiali per la ricostruzione. È una dinamica alla quale bisognerà mettere un freno. L’agenda del Commissario Francesco Paolo Figliuolo si allunga ogni giorno di più. Non allo stesso modo il suo budget di cui ancora non si conoscono ammontare e vincoli.
Reclama attenzione il tessuto delle imprese artigiane. Oltre 130.000 con 443.000 lavoratori, secondo i calcoli della Cna, hanno subito danni ingenti. Ci sono ancora numerose famiglie che non possono far rientro nella propria abitazione e per le quali si sta erogando il Cas, il Contributo di autonoma sistemazione. I danni ai privati registrano una prima stima di 2,1 miliardi: oltre 70.300 gli edifici coinvolti dal maltempo, di cui 1.890 dalle frane. Infine, ma non ultimo dei problemi, il turismo che soprattutto nella riviera adriatica, ha subito una battuta d’arresto. Le stime della Federalberghi regionale parlano di un calo medio del fatturato del 40% ma con punte anche del 50%. I telefoni delle strutture squillano solo per le disdette. «Alcuni clienti mi hanno riferito che i pediatri tedeschi consigliano ancora alle famiglie di cambiare destinazione, perché temono che le spiagge siano inquinate da fanghi e liquame» afferma il presidente del sindacato dei balneari dell’Emilia Romagna, Simone Battistoni.
«Alcuni ci chiedono se per venire devono vaccinarsi e solo ultimamente le assicurazioni tedesche hanno ripreso a coprire i viaggi per le nostre località» afferma Patrizia Rinaldis, presidente di Federalberghi Rimini.
L’agricoltura è forse il settore che ha subito i danni maggiori e difficili da superare nel breve tempo. Coldiretti ha stimato che sono stati coinvolti dall’alluvione 21.000 aziende agricole e allevamenti con perdite per 1,1 miliardo di euro.
Queste le priorità che il Commissario Figliuolo dovrà affrontare. Immancabili le polemiche politiche. A cominciare dalla discussione sull’entità delle risorse da stanziare e recuperare. Bisognerà quindi fare una distinzione tra gli interventi che devono essere considerati da fase emergenziale e quelli da ricostruzione. La differenza tra emergenza e ricostruzione indica capitoli di spesa diversi: la parte dell’emergenza va sul bilancio del fondo per le emergenze nazionali (è un fondo con risorse limitate), la parte per la ricostruzione ha bisogno di trovare risorse altrove.
La regione Emilia Romagna ha consegnato a Palazzo Chigi l’elenco degli interventi urgenti per un totale di 1,93 miliardi di euro: 10,6 milioni per l’assistenza alla popolazione, 422 milioni di euro per la messa in sicurezza dei corsi d’acqua, 1,13 miliardi per il ripristino dei collegamenti viari e 368 milioni per altre tipologie di intervento. Tra questi interventi, quelli già realizzati sono per oltre 16 milioni di euro, mentre quelli in corso riguardano risorse per 507 milioni. La stima dei danni è di 8,8 miliardi esclusi quelli indiretti.
La preoccupazione del territorio è che gli interventi siano ostacolati sia dalle scarse risorse sia dalla burocrazia. Va creata una struttura commissariale che dovrebbe comprendere una sessantina di persone da istruire. Sulle stime dei danni si è anche scatenata la polemica. Il presidente della regione, Stefano Bonaccini che non avrebbe ancora digerito la mancata nomina a commissario, non perde occasione per accusare il governo di lentezza. Un’occasione ghiotta per staccare un dividendo politico.
«Alcune aziende non hanno riaperto»
La Confindustria di Romagna conta circa un migliaio di imprese associate e 130 aziende hanno avuto danni stimati per complessivi 200 milioni di euro. «Accogliamo il commissario Figliuolo a braccia aperte ma siamo già in grave ritardo. Ci sono ancora aziende ferme, pochissime, per fortuna e oltre 70.000 case sono compromesse. Circa il 20% dei lavoratori sono rimasti colpiti dall’alluvione e hanno difficoltà a tornare in attività a pieno ritmo. Il commissario Figliuolo dovrà avere buona dote economica e mettere subito in sicurezza il territorio. Bisogna ridare fiducia alla popolazione. Gli imprenditori per tornare a investire devono avere la certezza che non ci saranno più esondazioni. Chi ha un’attività vicino a un corso d'acqua ha paura e non guarda con serenità al futuro». Roberto Bozzi, presidente di Confindustria Romagna, che comprende proprio le tre province più colpite dall’alluvione, ha toni sferzanti.
Quali priorità indicate al commissario?
«Innanzitutto i ristori che il governo ha promesso. Per una piccola azienda anche 20.000 euro in più fanno la differenza. Le assicurazioni stanno pagando sicuramente tanti soldi alle imprese, ma è altrettanto vero che oggi come oggi, come era successo per il terremoto del 2012, bisogna riassicurare le aziende del territorio. Ci sono persone che non riescono a comprare i mobili e la cucina distrutti e non possono tornare a casa. Le imprese stanno dando una mano ai propri dipendenti e allora il governo faccia la sua parte detassando tali aiuti. La priorità sono le strade, gli argini dei fiumi, la mobilità è ancora difficile».
Com’è la situazione dei detriti?
«Le aziende hanno buttato ciò che era danneggiato. Si lavora con un’impiantistica di fortuna aspettando i nuovi pavimenti. I detriti sono stati accatastati in zone di stoccaggio temporaneo e la Regione ha cominciato a smaltirli. Sono 150.000 tonnellate di rifiuti. Ci manca la vicinanza del governo. Nei primi giorni è stato attento ma ora vogliamo i fatti».
L’industria quando riprenderà a marciare a pieno ritmo?
«Il sistema imprenditoriale si è subito rimboccato le maniche, e molte aziende già il 2 giugno erano pronte a ripartire. Si lavora con gli straordinari anche di sabato per mantenere le quote di mercato. Stanno soffrendo soprattutto le imprese legate al mondo agricolo a causa degli ingenti danni subiti dalle colture. L’agricoltura ha sofferto di più e avrà tempi più lunghi per la ripresa. Le imprese manifatturiere dopo una settimana di fermo a causa dei lavoratori che non riuscivano a spostarsi o non potevano lasciare l’abitazione, poi sono ripartite. Noi la nostra parte l’abbiamo fatta, ora il governo dia un segnale».
«Bisogna bloccare chi specula sui prezzi»
«Bisogna fare presto. Gli imprenditori hanno bisogno di certezze. Devono sapere se e quando arriveranno i ristori. In caso contrario non possono programmare gli investimenti. Ma non è tutto. Occorrono interventi sul territorio per bloccare la speculazione che già vedo, sugli affitti delle case e sui materiali per la ricostruzione. In aumento le locazioni dei piani alti degli immobili, quelli più sicuri in caso di nuovi rovesci atmosferici importanti. Le nostre aziende hanno bisogno di importare manodopera dalle altre Regioni e con i rincari dei fitti, questo flusso rischia di bloccarsi». Maurizio Minghelli, presidente del Comitato piccola industria di Confindustria Emilia Romagna, indica le priorità per l’agenda del commissario, Paolo Figliuolo, dal punto di vista delle pmi. Minghelli, proprietario della Astim srl, impresa di elettronica nel settore della difesa, ha vissuto sulla propria pelle i danni dell’alluvione. «Oltre mezzo metro di acqua negli uffici, sono andati distrutti interi locali, abbiamo dovuto buttare macchinari, apparecchiature, arredi. Un danno per 400.000 euro. Non abbiamo avuto fermi produttivi perché avendo altro due stabilimenti abbiamo trasferito lì le attività, i dipendenti sono andati in smart working o ci siamo organizzati con turni e auto aziendali».
Cosa chiedete a Figliuolo?
«Il Commissario deve avere una dotazione economica in grado di coprire i 2 miliardi di costi già sostenuti dalla Regione. Ci sono aziende che stanno ancora smaltendo i rifiuti. Inoltre alla Regione servono almeno 9 miliardi per mettere in sicurezza il territorio, altrimenti alla prossima alluvione viene giù tutto. È fondamentale dare certezze anche per favorire l’arrivo di lavoratori da altre regioni. Il problema della carenza di manodopera, rischia di esplodere e di ostacolare l’attività».
Mancanza di case?
«Le abitazioni allagate saranno inutilizzabili per chissà quanto tempo con una riduzione del mercato delle locazioni. La mancanza di alloggi sta facendo esplodere i costi degli affitti soprattutto per i piani alti, ritenuti più sicuri contro le alluvioni. Temiamo poi la speculazione sui materiali per la ricostruzione. Bisogna quindi intervenire per evitare queste dinamiche».
Il ruolo della Regione?
«La Regione deve fare un piano di lungo termine. Non basta mettere in sicurezza i fiumi. Le frane sono state causate anche dallo stato di abbandono in cui versano le montagne che si sono spopolate, hanno perso le attività produttive. Bisogna incentivare lo sviluppo dell’industria agroalimentare in montagna, servono nuove dighe, nuovi bacini di laminazione, opere importanti che ci impegneranno nella realizzazione per i prossimi 20 anni».
E i veti degli ambientalisti?
«Deve parlare la scienza e l’industria, non l’ideologia».
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A quasi due mesi dal violentissimo nubifragio che ha colpito la regione, imprenditori, agricoltori, albergatori e semplici cittadini contano i danni, confidando nell’arrivo del nuovo Commissario per avviare la ricostruzione, tra preoccupazioni e tanta voglia di fare. Ma ancora non si conoscono l’entità e i vincoli dei fondi a disposizione.Roberto Bozzi, presidente di Confindustria Romagna: «Aspettiamo i ristori promessi, il governo detassi chi aiuta i dipendenti».Il rappresentante delle pmi Maurizio Minghelli: «I costi delle locazioni e di alcuni materiali stanno andando fuori controllo».Lo speciale contiene tre articoli.Tonnellate di rifiuti da smaltire, frane che ostruiscono la viabilità, argini dei fiumi dissestati, immobili da recuperare. C’è poi la parte industriale. Le aziende sono ripartite, fa sapere Confindustria Romagna, ma con i capannoni ancora invasi dal fango e cumuli di detriti di macchinari inservibili accatastati, da rimuovere. C’è il problema della difficoltà a raggiungere il posto di lavoro per le criticità della rete stradale mentre i fuorisede faticano a trovare un alloggio in affitto. E non è solo per l’inagibilità di tanti immobili. Si è scatenata la speculazione. Le locazioni dei piani alti stanno aumentando, perché percepiti come più sicuri. L’Emilia-Romagna soffre come altre regioni industriali della carenza di manodopera che importa dal resto del Paese. Se dovesse cominciare la spirale dei rialzi dei fitti, sarebbe ancora più difficile trovare personale. A questo si aggiungono, sottolineano le associazioni imprenditoriali, i rincari dei materiali per la ricostruzione. È una dinamica alla quale bisognerà mettere un freno. L’agenda del Commissario Francesco Paolo Figliuolo si allunga ogni giorno di più. Non allo stesso modo il suo budget di cui ancora non si conoscono ammontare e vincoli. Reclama attenzione il tessuto delle imprese artigiane. Oltre 130.000 con 443.000 lavoratori, secondo i calcoli della Cna, hanno subito danni ingenti. Ci sono ancora numerose famiglie che non possono far rientro nella propria abitazione e per le quali si sta erogando il Cas, il Contributo di autonoma sistemazione. I danni ai privati registrano una prima stima di 2,1 miliardi: oltre 70.300 gli edifici coinvolti dal maltempo, di cui 1.890 dalle frane. Infine, ma non ultimo dei problemi, il turismo che soprattutto nella riviera adriatica, ha subito una battuta d’arresto. Le stime della Federalberghi regionale parlano di un calo medio del fatturato del 40% ma con punte anche del 50%. I telefoni delle strutture squillano solo per le disdette. «Alcuni clienti mi hanno riferito che i pediatri tedeschi consigliano ancora alle famiglie di cambiare destinazione, perché temono che le spiagge siano inquinate da fanghi e liquame» afferma il presidente del sindacato dei balneari dell’Emilia Romagna, Simone Battistoni.«Alcuni ci chiedono se per venire devono vaccinarsi e solo ultimamente le assicurazioni tedesche hanno ripreso a coprire i viaggi per le nostre località» afferma Patrizia Rinaldis, presidente di Federalberghi Rimini.L’agricoltura è forse il settore che ha subito i danni maggiori e difficili da superare nel breve tempo. Coldiretti ha stimato che sono stati coinvolti dall’alluvione 21.000 aziende agricole e allevamenti con perdite per 1,1 miliardo di euro.Queste le priorità che il Commissario Figliuolo dovrà affrontare. Immancabili le polemiche politiche. A cominciare dalla discussione sull’entità delle risorse da stanziare e recuperare. Bisognerà quindi fare una distinzione tra gli interventi che devono essere considerati da fase emergenziale e quelli da ricostruzione. La differenza tra emergenza e ricostruzione indica capitoli di spesa diversi: la parte dell’emergenza va sul bilancio del fondo per le emergenze nazionali (è un fondo con risorse limitate), la parte per la ricostruzione ha bisogno di trovare risorse altrove. La regione Emilia Romagna ha consegnato a Palazzo Chigi l’elenco degli interventi urgenti per un totale di 1,93 miliardi di euro: 10,6 milioni per l’assistenza alla popolazione, 422 milioni di euro per la messa in sicurezza dei corsi d’acqua, 1,13 miliardi per il ripristino dei collegamenti viari e 368 milioni per altre tipologie di intervento. Tra questi interventi, quelli già realizzati sono per oltre 16 milioni di euro, mentre quelli in corso riguardano risorse per 507 milioni. La stima dei danni è di 8,8 miliardi esclusi quelli indiretti. La preoccupazione del territorio è che gli interventi siano ostacolati sia dalle scarse risorse sia dalla burocrazia. Va creata una struttura commissariale che dovrebbe comprendere una sessantina di persone da istruire. Sulle stime dei danni si è anche scatenata la polemica. Il presidente della regione, Stefano Bonaccini che non avrebbe ancora digerito la mancata nomina a commissario, non perde occasione per accusare il governo di lentezza. 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Il commissario Figliuolo dovrà avere buona dote economica e mettere subito in sicurezza il territorio. Bisogna ridare fiducia alla popolazione. Gli imprenditori per tornare a investire devono avere la certezza che non ci saranno più esondazioni. Chi ha un’attività vicino a un corso d'acqua ha paura e non guarda con serenità al futuro». Roberto Bozzi, presidente di Confindustria Romagna, che comprende proprio le tre province più colpite dall’alluvione, ha toni sferzanti. Quali priorità indicate al commissario? «Innanzitutto i ristori che il governo ha promesso. Per una piccola azienda anche 20.000 euro in più fanno la differenza. Le assicurazioni stanno pagando sicuramente tanti soldi alle imprese, ma è altrettanto vero che oggi come oggi, come era successo per il terremoto del 2012, bisogna riassicurare le aziende del territorio. Ci sono persone che non riescono a comprare i mobili e la cucina distrutti e non possono tornare a casa. Le imprese stanno dando una mano ai propri dipendenti e allora il governo faccia la sua parte detassando tali aiuti. La priorità sono le strade, gli argini dei fiumi, la mobilità è ancora difficile». Com’è la situazione dei detriti? «Le aziende hanno buttato ciò che era danneggiato. Si lavora con un’impiantistica di fortuna aspettando i nuovi pavimenti. I detriti sono stati accatastati in zone di stoccaggio temporaneo e la Regione ha cominciato a smaltirli. Sono 150.000 tonnellate di rifiuti. Ci manca la vicinanza del governo. Nei primi giorni è stato attento ma ora vogliamo i fatti». L’industria quando riprenderà a marciare a pieno ritmo? «Il sistema imprenditoriale si è subito rimboccato le maniche, e molte aziende già il 2 giugno erano pronte a ripartire. Si lavora con gli straordinari anche di sabato per mantenere le quote di mercato. Stanno soffrendo soprattutto le imprese legate al mondo agricolo a causa degli ingenti danni subiti dalle colture. L’agricoltura ha sofferto di più e avrà tempi più lunghi per la ripresa. Le imprese manifatturiere dopo una settimana di fermo a causa dei lavoratori che non riuscivano a spostarsi o non potevano lasciare l’abitazione, poi sono ripartite. Noi la nostra parte l’abbiamo fatta, ora il governo dia un segnale». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/emilia-romagna-figliuolo-dopo-alluvione-2662256161.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="bisogna-bloccare-chi-specula-sui-prezzi" data-post-id="2662256161" data-published-at="1688998936" data-use-pagination="False"> «Bisogna bloccare chi specula sui prezzi» «Bisogna fare presto. Gli imprenditori hanno bisogno di certezze. Devono sapere se e quando arriveranno i ristori. In caso contrario non possono programmare gli investimenti. Ma non è tutto. Occorrono interventi sul territorio per bloccare la speculazione che già vedo, sugli affitti delle case e sui materiali per la ricostruzione. In aumento le locazioni dei piani alti degli immobili, quelli più sicuri in caso di nuovi rovesci atmosferici importanti. Le nostre aziende hanno bisogno di importare manodopera dalle altre Regioni e con i rincari dei fitti, questo flusso rischia di bloccarsi». Maurizio Minghelli, presidente del Comitato piccola industria di Confindustria Emilia Romagna, indica le priorità per l’agenda del commissario, Paolo Figliuolo, dal punto di vista delle pmi. Minghelli, proprietario della Astim srl, impresa di elettronica nel settore della difesa, ha vissuto sulla propria pelle i danni dell’alluvione. «Oltre mezzo metro di acqua negli uffici, sono andati distrutti interi locali, abbiamo dovuto buttare macchinari, apparecchiature, arredi. Un danno per 400.000 euro. Non abbiamo avuto fermi produttivi perché avendo altro due stabilimenti abbiamo trasferito lì le attività, i dipendenti sono andati in smart working o ci siamo organizzati con turni e auto aziendali». Cosa chiedete a Figliuolo? «Il Commissario deve avere una dotazione economica in grado di coprire i 2 miliardi di costi già sostenuti dalla Regione. Ci sono aziende che stanno ancora smaltendo i rifiuti. Inoltre alla Regione servono almeno 9 miliardi per mettere in sicurezza il territorio, altrimenti alla prossima alluvione viene giù tutto. È fondamentale dare certezze anche per favorire l’arrivo di lavoratori da altre regioni. Il problema della carenza di manodopera, rischia di esplodere e di ostacolare l’attività». Mancanza di case? «Le abitazioni allagate saranno inutilizzabili per chissà quanto tempo con una riduzione del mercato delle locazioni. La mancanza di alloggi sta facendo esplodere i costi degli affitti soprattutto per i piani alti, ritenuti più sicuri contro le alluvioni. Temiamo poi la speculazione sui materiali per la ricostruzione. Bisogna quindi intervenire per evitare queste dinamiche». Il ruolo della Regione? «La Regione deve fare un piano di lungo termine. Non basta mettere in sicurezza i fiumi. Le frane sono state causate anche dallo stato di abbandono in cui versano le montagne che si sono spopolate, hanno perso le attività produttive. Bisogna incentivare lo sviluppo dell’industria agroalimentare in montagna, servono nuove dighe, nuovi bacini di laminazione, opere importanti che ci impegneranno nella realizzazione per i prossimi 20 anni». E i veti degli ambientalisti? «Deve parlare la scienza e l’industria, non l’ideologia».
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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