
«C'è una sola cosa orribile al mondo, un solo peccato imperdonabile: la noia» diceva Oscar Wilde. Ma è davvero così? Sono tanti gli studiosi a essersi posti questa domanda, specialmente negli ultimi anni in cui si siamo trovati a fare i conti con un cambiamento radicale delle nostre abitudini.
Il primo lockdown si potrebbe riassumere in una canzoncina di TikTok: «I’m bored in the house and I’m in the house bored» (Mi annoio a casa, sono a casa ad annoiarmi, ndr). Ma cos’è davvero la noia? Uno studio di psicologia la definisce come «uno stato di mente non impegnata» che si verifica quando manchiamo di stimoli, non troviamo un’attività soddisfacente su cui focalizzarci o siamo influenzati da fattori esterni negativi. Ma dietro questa semplice parola c’è molto di più.
Storicamente, alla noia sono stati attribuiti valori positivi e negativi. Alcune filosofie orientali ricollegavano infatti la noia alla meditazione, ovvero un momento in cui non si fa nulla se non lasciare fluire il tempo attraverso il respiro. Anche in Occidente “l’otium” corrispondeva a un tempo per la cura della mente e dello spirito, definito anche «tempo santo» da alcune religioni. Durante il Rinascimento, poi, il sentimento della noia veniva collegato agli animi tormentati dei geni e degli artisti. Per il filosofo Walter Benjamin, infine, la noia era lo stadio che precede l’attività creativa e, «se il sonno è l’apogeo del rilassamento fisico, la noia è l’apogeo del rilassamento mentale».
La noia è però anche corrispondente dell’accidia, uno dei sette peccati capitali. Per Seneca, in un’aspra critica della società del tempo, la noia equivaleva a una «scontentezza di sé […] che non si placa in alcun luogo». Per Schopenhauer, invece, la noia non era che l’unico sentimento possibile per l’essere umano, insieme al dolore. Secondo il filosofo: «La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente fra noia e dolore, con intervalli fugaci, e per di più illusori, di piacere e gioia». Per il poeta francese Clancier, invece, la noia era caratterizzata da un’attesa vaga di qualcosa e dalla incapacità di tollerare questa attesa.
Arriviamo infine ad Heidegger, secondo cui la noia è uno degli «stati d’animo fondamentali», in grado di rivelarci l’essere nella sua autenticità. Uno studio della Washington University sposa questa teoria, sostenendo che la noia corrisponde a una «modalità di default» e sia difficile da tollerare perché quando il cervello non ha stimoli concentra la sua attività elettrica sulle zone deputate alla coscienza di sé e all’elaborazione della propria storia personale.
Questo non significa però che la noia sia un sentimento “cattivo” da evitare a ogni costo. La dottoressa Esther Priyadharshini ha spiegato al Guardian come «abbiamo tutti bisogno di tempi di inattività, lontani dal costante bombardamento di stimoli. Non c'è bisogno di essere frenetici di attività in ogni momento». Inoltre, secondo John Eastwood, psicologo della York University di Toronto, esiste un tipo di noia “buona” che favorisce la creatività e la qualità dei ragionamenti. «Tutti i casi di noia comportano una mancanza di attenzione e l'attenzione è ciò che stai usando ora per cancellare la pletora di stimoli intorno a te mentre focalizzi la consapevolezza su un determinato argomento». scrive nel suo libro The Unengaged Mind. Di parare simile è lo psicologo Jonathan Schooler dell’Università della California. Nel suo studio il medico paragona lo stato di noia ai sogni, dicendo che entrambi facilitano le intuizioni creative perché il cervello, libero da assunti ingiustificati, è in grado di stabilire connessioni inedite tra concetti e competenze già esistenti.
Nel saggio del 1930, La conquista della felicità, Bertrand Russell scriveva: «Una generazione che non riesce a tollerare la noia è una generazione di uomini piccoli, nei quali ogni impulso vitale appassisce». È il momento allora di imparare a crogiolarci in questo sentimento. Ma come fare?
L’idea arriva da Piero Minto, autore di Come annoiarsi meglio. Il libro definito come «un atlante delle distrazioni contemporanee e una guida per riprendere il controllo del proprio tempo libero» vuole aiutare il lettore a «proteggere» e «allenare» la noia.
Secondo Minto - che dal 2014 cura la newsletter Link Molto Belli - «il tempo viene consumato da ansie, input e costruzioni sociali varie» e con il suo libro vuole aiutare a «riconquistarne almeno un pezzo». In un mondo fatto di social, algoritmi, dove anche lo svago viene monetizzato (cosa sono gli influencer se non questo?) «il dolce far niente» si è quasi trasformato in un lusso.
Jenny Odell ha scritto un libro in merito. How to Do Nothing (Come far niente, ndr) è un’affascinante analisi della società in cui viviamo dove il nostro valore è direttamente proporzionale alla nostra produttività di dati 24/7 e un manuale su come sfuggire da quella che l’autrice definire «l’Economia dell’attenzione».
E se imparassimo a trovare gioia nella noia? «Sento di dover fare qualcosa di produttivo, anche quando sto cercando di fare una pausa. Ma se non faccio una sola cosa e mi limito a bighellonare a letto, o faccio qualche attività improduttiva e non necessaria, finisco per sentirmi soddisfatto» ha raccontato Kim Seokjin, cantante del gruppo BTS.
Nei paesi Orientali, anche gli hobby devono essere produttivi, in un costante tentativo di migliorare se stessi e le proprie capacità.«La società è sempre alla ricerca delle cose utili. E va bene anche questo, ma per il nostro bene, penso che abbiamo bisogno di tempo per trovare stabilità nelle nostre menti, anche se sembra inutile agli occhi degli altri».
Secondo l’Accademia della Felicità, società di coaching e formazione ispirata alla School of Life di Londra» la noia andrebbe addirittura messa nelle nostre agende. «Se programmi tutto, perché non prendere un appuntamento anche per annoiarti?»