2023-03-02
Nuovo leader, vecchie ossessioni. Elly alla marcia antifa con Giuseppi
Elly Schlein (Getty Images)
L’esordio a Firenze è l’emblema perfetto di una classe dirigente incapace di esistere se non immaginando battaglie di un altro secolo. L’abbraccio col M5s e Maurizio Landini segna la fine di ogni margine di autonomia. Dai fratelli Carlo e Nello Rosselli siamo passati a Marco Furfaro e Francesco Boccia, dalle staffette partigiane a Jasmine Cristallo, dai confinati di Ventotene al caposardina Mattia Santori. C’è una irresistibile quanto involontaria potenza comica nell’esordio di Elly Schlein alla segreteria del Pd: più cerca di dare solennità ai suoi primi passi, e più invece emerge l’aspetto caricaturale e grottesco degli argomenti che sceglie, dei dirigenti che la circondano, dei paragoni storici che non solo non tengono, ma suscitano un misto di ilarità e malinconia.Ci si mette anche il titolista di Repubblica che (e più lo rileggi più pare - senza volerlo -una beffa, un guizzo dadaista, uno scherzo feroce) spara a tutta pagina: «Sabato antifascista a Firenze». E siamo appunto alla parodia: tragica e ferocemente burocratica - durante il Ventennio - l’imposizione del «sabato fascista», comica e figlia di una stanca coazione a ripetere - oggi, con un secolo di ritardo - la ritualità del «sabato antifascista».Tutto nasce dall’annuncio fatto circolare l’altra sera da una velina del nuovo Nazareno: il primo evento pubblico della Schlein da segretaria sarà la partecipazione, sabato a Firenze, a un corteo «contro l’aggressione squadrista al liceo Michelangiolo». E così, senza fare una piega, si aderisce pari pari alla narrazione della preside fiorentina Annalisa Savino, quella secondo cui «il fascismo […] è nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a sé stessa da passanti indifferenti». E ancora: è un’illusione che «questo disgustoso rigurgito passi da sé. Lo pensavano anche tanti italiani perbene cento anni fa, ma non è andata così». Parole e musica sempre della stessa dirigente scolastica, celebrata in questi giorni a testate quasi unificate. Dunque, incredibilmente, la piattaforma di lotta fatta propria dal Pd è questa: spostare l’orologio indietro di un secolo e sostenere che siamo in un nuovo 1922-1923. Chi è Giorgia Meloni? Forse la vincitrice di libere elezioni, nonostante che la quasi totalità dei media fossero contro di lei? No, par di capire. E chi è che da settant’anni monopolizza scuole-università-cultura? Alla maggioranza degli italiani sembra che ci sia un dominio pressoché totale della sinistra comunista (ex, neo e post). E invece no, ci si spiega: c’è nientemeno che un regime nero in rampa di lancio, con tanto di giovani squadristi. Che poi ai presunti «squadristi» si sia violentemente tentato di impedire un volantinaggio da parte dei collettivi di sinistra; e che questo particolare decisivo nella dinamica dei fatti sia stato raccontato da un docente sotto anonimato (nel timore di subire - lui - conseguenze fisiche e pure professionali), ecco tutto questo non rileva.Ma, a peggiorare le cose, non basta questa caricatura di antifascismo, questa parodia macchiettistica di lotta contro una dittatura inesistente. Ad aggravare il quadro c’è il fatto che quella piazza fiorentina è organizzata dalla trimurti sindacale (Cgil in testa) e che la Schlein troverà lì, fianco a fianco con lei, nientemeno che Giuseppe Conte. E inevitabilmente sarà questo il dato politico della giornata.Ma come? Ci avevano raccontato che ora, dopo il lavacro delle primarie, si trattava di ridare identità al Pd, anzi di aprire la competizione con i Cinquestelle. Di più: di non apparire subordinati ai grillini, di respingere l’opa pentastellata, di affermare il protagonismo dem. E che fa la neosegretaria? Si consegna mani e piedi a Maurizio Landini e Giuseppe Conte, a toni e contenuti consapevolmente minoritari, urlati, massimalisti.Diciamolo chiaramente: una famiglia con il mutuo da pagare, un autonomo in arretrato con un versamento Iva, un lavoratore non garantito, un disoccupato non adagiato su nessun sussidio, un imprenditore in difficoltà con il credito bancario, cos’hanno da spartire con le prevedibili urla di sabato, con gli slogan che saranno pronunciati, con la foto di gruppo che inevitabilmente resterà di quella manifestazione? Proprio niente.E quell’immagine con Schlein, Conte e gli altri sarà un po’ come la foto di Narni, quella che accomunò nel 2019 - presagio di una sequenza di sconfitte - i protagonisti della vecchia alleanza giallorossa: Conte stesso, Luigi Di Maio, Roberto Speranza, Nicola Zingaretti. Una «natura morta con pochette», la definimmo allora. Stavolta, visto il cambio di look di Conte, sarà una natura morta con maglioncino da esistenzialista. Intanto - lungi dall’essere sciolti - rimangono intricatissimi tutti i nodi politici con cui la Schlein dovrebbe misurarsi: un partito spaccato, il peso delle correnti, il dilemma russo-ucraino, un piano economico incongruo e anti-crescita. Ma ovviamente non se ne parla: meglio una piazzata antifascista, che aiuta a non pensare. Un po’ come i paginoni dei giornali progressisti, che fino a tre giorni fa tifavano per Stefano Bonaccini, e ora - oplà - sono tutti un fremito per Elly. L’importante è che la realtà non si intrometta mai: meglio la solita narrazione di comodo.