2018-06-11
Erdoğan rimane senza parole: ora rischia di perdere il suo impero
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Il presidente turco si prepara alle elezioni del 24 giugno, da lui volute per rafforzare i suoi poteri. Ma la campagna elettorale è un disastro: durante un comizio il gobbo elettronico ha qualche problema e lui rimane muto. Stanco e senza idee, da grande oratore è diventato incapace di improvvisare. Le opposizioni compatte puntano a portarlo al secondo turno: la sua leadership non è a rischio al momento, ma il suo progetto di una nuova alba ottomana traballa. A distanza di due anni dal fallito golpe militare del luglio 2016 - le cui vere ragioni politiche rimangono ancora circondate da un alone di mistero -, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan appare stanco e senza verve nelle ultime battute della corsa verso le elezioni del 24 giugno prossimo. Il leader ha anticipato di oltre un anno il voto, previsto inizialmente per il 3 novembre 2019, per spingere sull'acceleratore delle riforme e rinsaldare la sua posizione, i cui poteri sono usciti già molto rafforzati dal referendum costituzionale dell'aprile 2017. L'emendamento costituzionale consente, tra le altre cose, a Erdoğan, 64 anni e da 15 al comando del Paese, prima da primo ministro poi da presidente, di candidarsi per due nuovi mandati presidenziali quinquennali. In politica dagli anni Novanta, Erdoğan ha iniziato a far campagna elettorale quando, nel 1994 puntava a diventare sindaco di Istanbul. Una carica ricoperta per un mandato di quattro anni. E anche l'opposizione non ha mai negato il fatto che sia un abile oratore, capace di affascinare le folle festanti presenti ai suoi comizi. Ma da qualche tempo quel'incantesimo sembra essersi rotto e la stampa nazionale d'opposizione - e i media internazionali sono sulla stessa lunghezza d'onda - racconta di un leader stanco e rabbioso, che ha perso il tocco magico e vede ora il consenso sfuggirgli di mano. E' una situazione che sta favorendo i suoi sfidanti. Secondo la costituzione turca, il presidente deve essere in possesso di una laurea. Così, per rispondere alla campagna di Muharrem İnce, leader del Partito popolare repubblicano, affinché Erdoğan mostrasse il suo attestato, l'Akp ha mandato in televisione un giornalista filogovernativo, Cemil Barlas, che ha accusato i seguaci del predicatore in esilio Fethullah Gülen (accusato dal presidente di aver organizzato il fallito golpe del 2016) di aver rubato e distrutto il diploma del presidente. E durante un comizio, İnce ha affondato il colpo scherzando: «Beh, gli uomini di Gulen hanno replicato: “Siamo andati lì per distruggerlo, ma non siamo riusciti a trovarlo"». Erdoğan e i suoi sono apparsi nervosi e hanno adottato una strategia di comunicazione nostalgica, incentrata sui fasti dell'Impero ottomano (come racconta questo spot elettorale) e del periodo nazionalista tra gli anni Ottanta e Novanta. Una strategia che nasconde un leader rimasto senza alcun visione per il futuro, che non vede l'ora che l'incubo elettorale finisca. Erdoğan si è chiuso a riccio, rifiutando la partecipazione ai dibattiti televisivi con gli avversari. Come se non bastasse, i suoi comizi sono sempre meno partecipati nonostante gli sforzi dello staff per pubblicizzarli e organizzare trasporti gratuiti per l'occasione. Uno dei principali problemi per il futuro dell'aspirante sultano è l'assenza di giovani ai suoi eventi, dato che su 57 milioni di elettori in Turchia circa 19 hanno meno di 32 anni. A tal punto da spingere il leader a promesse elettorali da televendita, come quelle fatte nella provincia sudorientale di Hatay: «Se sarò eletto queste strane saranno piene di caffè. I giovani e gli anziani verranno e potranno leggere, mangiare la torta, bere caffè e tè. Sarà tutto gratis». Nervosismo e stanchezza sono emersi chiaramente durante un discorso pubblico di Erdoğan a Diyarbakır, città che sorge sulle sponde del Tigri nel Sud Est del Paese. Ormai il leader non parla più senza il suo teleprompter (il suggeritore elettronico). E a Diyarbakır, qualcosa è andato storto. Il teleprompter ha avuto dei problemi e lui ha smesso di parlare, in un mix di imbarazzo e nervosismo durante diversi di secondi (video). E anche in quell'occasione il presidente ha offerto il fianco alle battute degli avversari. Mentre l'Akp, il Partito giustizia e sviluppo guidato dal presidente, e il suo alleato di estrema destra, il Partito del movimento nazionalista (il braccio politico dei Lupi grigi), sembrano aver perso la sintonia con l'elettore medio, le opposizioni avanzano grazie a due strategie di comunicazioni opposte e complementari: il porta a porta e i social media. Dei cinque partiti che sfidano l'Akp, il Partito democratico dei popoli, formazione curda, ha deciso di presentarsi alle urne in solitaria, mentre quattro hanno dato vita a un'alleanza: i kemalisti e progressisti del Partito popolare repubblicano, i conservatori laici del Partito buono, i conservatori islamisti del Partito della felicità e i nazionalisti di centrodestra del Partito democratico. Questa coalizione è impegnata a superare il controllo che Erdoğan e i suoi esercitano sui media tradizionali (tv e giornali) con eventi e iniziative popolari, ma anche con il supporto di esperti per la strategia sui social network. Basti pensare che, al fianco di Meral Akşener, ex esponente del Partito del movimento nazionalista e oggi leader del nuovo Partito buono, c'è Taylan Yıldız, tornato dalla California, dove si è occupato per anni di profilazione per Google. Il Partito buono ha iniziato così a utilizzare gli AdWorks di Google, il programma per inserzioni a pagamento nella pagina dei risultati delle ricerche, per sbeffeggiare Erdoğan. Nulla di illegale, soltanto astuzia. Se si cerca, infatti, il sito dell'Akp, il primo risultato che appare è il sito del Partito buono con la scritta «Adesso ne hai uno migliore». Cercando, invece, la parola «libertà» esce la scritta: «La libertà che hai cercato non è al momento disponibile. Riprova il 25 giugno», cioè il giorno dopo il voto. O ancora, cercando «camere libere», magari con il pensiero alle vacanze, il primo risultato è il pazzo presidenziale, con le sue 1.150 stanze. Nei sondaggi Erdoğan oscillerebbe tra il 42% e il 48%, numeri non sufficienti per evitare l'eventuale ballottaggio, dove comunque resta favorito. C'è qualche sondaggio più favorevole che gli attribuisce un consenso superiore al 50%, ma non così ampio da permettere sogni tranquilli. Difficilmente, comunque, Erdoğan rischia la sconfitta. Ma un flop elettorale potrebbe rallentare il suo progetto per un nuovo impero ottomano, già complicato dagli ultimi numeri sull'economia. Che sì è cresciuto dal 7,4% nel 2017, ma è stata accompagnata dal deficit delle partite correnti che si è ampliato al 6% del Pil e dall'inflazione che ha raggiunto quasi l'11%. Senza dimenticare, infine, un tasso di disoccupazione del 10,6% (19% tra i giovani), la debolezza della lira turca sul dollaro e il fatto che un'azienda turca su tre è indebitata in valuta estera ed è per questo soggetta alle variazioni dei tassi statunitensi e del dollaro.
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