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2020-12-26
Le ombre sulla vittoria di Ouattara, l'uomo di Macron in Costa d'Avorio
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Alassane Ouattara (Ansa)
Ricordiamo del resto che Ouattara debba (in buona sostanza) proprio alla Francia la sua ascesa al potere. Nell'aprile del 2011, Sarkozy intervenne militarmente per deporre l'allora presidente ivoriano Laurent Gbagbo: una mossa che riscosse l'apprezzamento di Barack Obama e Hillary Clinton che - in quello stesso periodo - erano impegnati, proprio a fianco di Sarkozy, nell'intervento bellico in Libia contro Muammar Gheddafi. Emmanuel Macron, dal canto suo, ha costantemente spalleggiato Ouattara in questi anni. Un appoggio che tuttavia sembra non tener conto delle opacità che hanno caratterizzato le ultime elezioni presidenziali locali, tenutesi lo scorso 31 ottobre.
In primo luogo, ricordiamo che Ouattara si è candidato per un terzo mandato, quando - a marzo - aveva annunciato che non lo avrebbe fatto. La decisione di ripresentarsi è stata ufficialmente presa, quando il suo delfino, il premier Amadou Gon Coulibaly, è morto lo scorso luglio. E qui sorge già la prima stranezza: era noto da tempo che le condizioni di salute del sessantunenne Coulibaly non fossero ottimali. Nel 2012, era stato sottoposto a un trapianto di cuore e lo scorso 2 maggio si era recato in Francia per l'inserimento di uno stent. Durante un consiglio dei ministri dell'8 luglio, il premier aveva accusato un malore: è stato quindi portato in ospedale, dove è deceduto. Senza perdersi in dietrologie, è quantomeno bizzarro che - in una situazione politica difficilissima e tesa come quella che si registra da tempo in Costa d'Avorio - il presidente in carica abbia scelto come proprio successore una figura con evidenti problemi di salute.
In secondo luogo, non dimentichiamo che gran parte delle forze di opposizione abbia boicottato le elezioni dello scorso ottobre. Le polemiche sono infatti piovute numerose. Ouattara è stato criticato per essersi candidato a un terzo mandato: un'accusa che il presidente ha respinto, sostenendo che le elezioni si sono tenute dopo la riforma costituzionale del 2016 e che quindi - quello appena iniziato - risulti il primo mandato della nuova Repubblica. Una situazione non troppo cristallina che non ha tuttavia incontrato resistenze o condanne da parte della Francia. Un fatto ben strano, visto che - appena un mese fa - Macron aveva accusato su Jeune Afrique il presidente della Guinea, Alpha Condé, di aver riformato la Costituzione con l'unico scopo di restare al potere.
In terzo luogo, va anche sottolineato che ad alcuni leader dell'opposizione sia di fatto stato impedito di prendere parte alle ultime elezioni. A metà dello scorso settembre, France24 riportò che il Consiglio costituzionale della Costa d'Avorio avesse vietato all'ex presidente Gbabo di candidarsi, a causa - fu detto - di una condanna penale che aveva ricevuto. Ora, indipendentemente da come la si possa pensare sul merito della sentenza, giova forse ricordare che gli attuali componenti del Consiglio siano stati nominati proprio da Ouattara. Sarà del resto un caso, ma quel pronunciamento (che ha suscitato proteste e tensioni in alcune aree del Paese) ha di fatto reso il presidente uscente un candidato imbattibile: il secondo classificato è infatti stato Kouadio Konan Bertin, un indipendente che si è fermato al 2% dei consensi. Ouattara - al contrario - ha vinto (stando ai dati ufficiali) con il 95% sulla base di un'affluenza del 54%.
È in questo difficile quadro che si sono levate preoccupazioni sull'integrità del processo elettorale. Lo scorso primo novembre, Bloomberg News riferì che l'Electoral Institute for Sustainable Democracy in Africa e il Carter Center avessero espresso dubbi sul fatto che quelle ivoriane potessero rivelarsi elezioni «genuinamente competitive», denunciando inoltre «restrizioni alle libertà civili, alla libertà di espressione e al diritto di voto». Un cittadino ivoriano residente in Italia ha tra l'altro raccontato a La Verità di non essere riuscito a votare alle presidenziali di ottobre. Costui si era recato in giugno all'Ufficio per il Turismo della Repubblica della Costa d'Avorio per essere registrato come elettore. In loco gli era stato comunicato che sarebbe stato contattato per ritirare la scheda elettorale. Il tempo passava e non riceveva aggiornamenti. Quando ha ricontattato l'ufficio, gli è stato detto che la scadenza per i reclami era già trascorsa e che ne era stata data notizia: notizia che lui non aveva tuttavia mai ricevuto. Risultato: non ha potuto votare e si è ritrovato inserito nelle liste elettorali soltanto ex post.
Insomma, le elezioni di ottobre non sono state un esempio di trasparenza. Eppure la presenza di Le Drian all'insediamento di Ouattara conferma ulteriormente l'appoggio di Parigi al presidente ivoriano. Non bisogna d'altronde trascurare che, per Macron, la Costa d'Avorio costituisca innanzitutto un presidio geopolitico per il mantenimento dell'influenza francese nel continente africano. In secondo luogo, non dimentichiamo la sfera economica. Basti pensare che, negli ultimissimi anni, l'imprenditore Vincent Bolloré abbia investito centinaia di milioni di euro nel porto di Abidjan. In un'intervista rilasciata lo scorso ottobre a Paris Match, Ouattara ha assicurato che Macron non fosse coinvolto nella politica ivoriana e che volesse realmente porre un termine alla Françafrique. Sarà, ma i fatti suggeriscono il contrario.
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Lo scorso 14 dicembre si è tenuta ad Abidjan la cerimonia d'insediamento del presidente ivoriano Alassane Ouattara, che sta iniziando il suo terzo mandato. Per l'occasione, si sono recati nella città non soltanto tredici capi di Stato africani, ma anche alcune alte personalità della politica francese: dall'attuale ministro degli Esteri, Jean-Yves Le Drian, all'ex presidente della Repubblica, Nicolas Sarkozy. Due presenze, queste ultime, assolutamente di peso, che evidenziano lo strettissimo legame che intercorre tra Parigi e l'attuale presidente ivoriano. Ricordiamo del resto che Ouattara debba (in buona sostanza) proprio alla Francia la sua ascesa al potere. Nell'aprile del 2011, Sarkozy intervenne militarmente per deporre l'allora presidente ivoriano Laurent Gbagbo: una mossa che riscosse l'apprezzamento di Barack Obama e Hillary Clinton che - in quello stesso periodo - erano impegnati, proprio a fianco di Sarkozy, nell'intervento bellico in Libia contro Muammar Gheddafi. Emmanuel Macron, dal canto suo, ha costantemente spalleggiato Ouattara in questi anni. Un appoggio che tuttavia sembra non tener conto delle opacità che hanno caratterizzato le ultime elezioni presidenziali locali, tenutesi lo scorso 31 ottobre.In primo luogo, ricordiamo che Ouattara si è candidato per un terzo mandato, quando - a marzo - aveva annunciato che non lo avrebbe fatto. La decisione di ripresentarsi è stata ufficialmente presa, quando il suo delfino, il premier Amadou Gon Coulibaly, è morto lo scorso luglio. E qui sorge già la prima stranezza: era noto da tempo che le condizioni di salute del sessantunenne Coulibaly non fossero ottimali. Nel 2012, era stato sottoposto a un trapianto di cuore e lo scorso 2 maggio si era recato in Francia per l'inserimento di uno stent. Durante un consiglio dei ministri dell'8 luglio, il premier aveva accusato un malore: è stato quindi portato in ospedale, dove è deceduto. Senza perdersi in dietrologie, è quantomeno bizzarro che - in una situazione politica difficilissima e tesa come quella che si registra da tempo in Costa d'Avorio - il presidente in carica abbia scelto come proprio successore una figura con evidenti problemi di salute.In secondo luogo, non dimentichiamo che gran parte delle forze di opposizione abbia boicottato le elezioni dello scorso ottobre. Le polemiche sono infatti piovute numerose. Ouattara è stato criticato per essersi candidato a un terzo mandato: un'accusa che il presidente ha respinto, sostenendo che le elezioni si sono tenute dopo la riforma costituzionale del 2016 e che quindi - quello appena iniziato - risulti il primo mandato della nuova Repubblica. Una situazione non troppo cristallina che non ha tuttavia incontrato resistenze o condanne da parte della Francia. Un fatto ben strano, visto che - appena un mese fa - Macron aveva accusato su Jeune Afrique il presidente della Guinea, Alpha Condé, di aver riformato la Costituzione con l'unico scopo di restare al potere.In terzo luogo, va anche sottolineato che ad alcuni leader dell'opposizione sia di fatto stato impedito di prendere parte alle ultime elezioni. A metà dello scorso settembre, France24 riportò che il Consiglio costituzionale della Costa d'Avorio avesse vietato all'ex presidente Gbabo di candidarsi, a causa - fu detto - di una condanna penale che aveva ricevuto. Ora, indipendentemente da come la si possa pensare sul merito della sentenza, giova forse ricordare che gli attuali componenti del Consiglio siano stati nominati proprio da Ouattara. Sarà del resto un caso, ma quel pronunciamento (che ha suscitato proteste e tensioni in alcune aree del Paese) ha di fatto reso il presidente uscente un candidato imbattibile: il secondo classificato è infatti stato Kouadio Konan Bertin, un indipendente che si è fermato al 2% dei consensi. Ouattara - al contrario - ha vinto (stando ai dati ufficiali) con il 95% sulla base di un'affluenza del 54%.È in questo difficile quadro che si sono levate preoccupazioni sull'integrità del processo elettorale. Lo scorso primo novembre, Bloomberg News riferì che l'Electoral Institute for Sustainable Democracy in Africa e il Carter Center avessero espresso dubbi sul fatto che quelle ivoriane potessero rivelarsi elezioni «genuinamente competitive», denunciando inoltre «restrizioni alle libertà civili, alla libertà di espressione e al diritto di voto». Un cittadino ivoriano residente in Italia ha tra l'altro raccontato a La Verità di non essere riuscito a votare alle presidenziali di ottobre. Costui si era recato in giugno all'Ufficio per il Turismo della Repubblica della Costa d'Avorio per essere registrato come elettore. In loco gli era stato comunicato che sarebbe stato contattato per ritirare la scheda elettorale. Il tempo passava e non riceveva aggiornamenti. Quando ha ricontattato l'ufficio, gli è stato detto che la scadenza per i reclami era già trascorsa e che ne era stata data notizia: notizia che lui non aveva tuttavia mai ricevuto. Risultato: non ha potuto votare e si è ritrovato inserito nelle liste elettorali soltanto ex post.Insomma, le elezioni di ottobre non sono state un esempio di trasparenza. Eppure la presenza di Le Drian all'insediamento di Ouattara conferma ulteriormente l'appoggio di Parigi al presidente ivoriano. Non bisogna d'altronde trascurare che, per Macron, la Costa d'Avorio costituisca innanzitutto un presidio geopolitico per il mantenimento dell'influenza francese nel continente africano. In secondo luogo, non dimentichiamo la sfera economica. Basti pensare che, negli ultimissimi anni, l'imprenditore Vincent Bolloré abbia investito centinaia di milioni di euro nel porto di Abidjan. In un'intervista rilasciata lo scorso ottobre a Paris Match, Ouattara ha assicurato che Macron non fosse coinvolto nella politica ivoriana e che volesse realmente porre un termine alla Françafrique. Sarà, ma i fatti suggeriscono il contrario.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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