2021-11-18
Elezione al Colle non più condizionata da tutti i peones a caccia di vitalizio
Due sentenze darebbero il diritto all'assegno anche in caso di fine legislatura anticipata. E ora Mario Draghi è un po' più in gara.La strategia della pensione non condizionerà l'elezione del prossimo presidente della Repubblica. Una notizia «burocratica» provoca risvolti politici molto importanti e, per certi versi, spalanca la porta all'eventuale ascesa al Colle di Mario Draghi, sminando il percorso del premier (sempre che decida di scendere in campo per la corsa al Quirinale) da una insidia tutt'altro che trascurabile: la fifa nera che hanno i parlamentari al primo mandato (il 68% dei deputati, ovvero 427 su 615, e il 73% dei senatori, 234 su 315) di non ottenere la pensione di parlamentare se la legislatura dovesse terminare prima della fatidica scadenza dei 4 anni, 6 mesi e un giorno, che cade il 24 settembre 2022. Fino a pochi giorni fa, questa marea di parlamentari era certa di perdere il diritto alla pensione nel caso di uno scioglimento delle Camere prima del prossimo 24 settembre. Risultato: pur di arrivare al santo giorno, i parlamentari al primo mandato, si è sempre detto, non voterebbero mai un capo dello Stato la cui elezione portasse al voto anticipato. In sostanza: non voterebbero mai per Mario Draghi.Ora, però, le cose cambiano. Il Corriere della Sera ha rivelato infatti che due sentenze, rispettivamente del Consiglio di giurisdizione della Camera e dal Consiglio di garanzia del Senato, dell'ottobre del 2019 e del novembre 2020, accogliendo i ricorsi di alcuni deputati e senatori, hanno stabilito che i parlamentari che non hanno raggiunto i 4 anni, 6 mesi e un giorno di mandato hanno comunque il diritto al vitalizio, a condizione che versino tutti i contributi dei mesi mancanti, quelli a loro carico e anche quelli a carico dello Stato. Il Consiglio di giurisdizione di Montecitorio e il Consiglio di garanzia del Senato, ricordiamolo, agiscono in regime di autodichia, e dunque regolano autonomamente i conflitti tra le due camere e i parlamentari. Per quel che riguarda Montecitorio, ieri sera il Consiglio di giurisdizione della Camera - attraverso una nota - ha chiarito che «esiste una sentenza del 16 ottobre 2019 che esamina il caso di alcuni deputati subentrati a legislatura in corso e per i quali, anche se la XVII legislatura (la precedente, ndr) fosse durata 5 anni, come poi effettivamente è successo, non avrebbero maturato i requisiti per l'ottenimento della pensione al compimento dei 65 anni di età. Il Consiglio ha deciso di consentire a questi ex deputati di completare la contribuzione degli anni mancanti al quinquennio, versando di tasca propria sia la loro quota sia quella che in condizioni normali è corrisposta dalla Camera», si legge ancora nella nota, «per un totale di circa un terzo dell'indennità dei parlamentari. Il Collegio d'appello della Camera ha confermato la sentenza precisando che gli ex deputati, per essere ammessi a pagare, devono essere stati in carica per almeno tre anni». Tre anni che, per quel che riguarda la legislatura in corso, iniziata nel marzo 2018, sono già passati.Tornando al significato politico di queste due sentenze, come dicevamo, l'impatto sulla imminente elezione del successore di Sergio Mattarella al Quirinale, in programma all'inizio del prossimo febbraio, è potenzialmente dirompente. Fino a ieri, sembrava questo il maggiore ostacolo all'ascesa di Mario Draghi al Colle, con conseguenti elezioni anticipate, considerato che trovare un altro premier in grado di tenere unita una maggioranza composita e litigiosa come quella attuale, sarebbe stato molto difficile, per non dire impossibile.Dunque, se Draghi va al Quirinale, salvo clamorosi imprevisti si torna al voto. Ma ci va? Tutto dipende da lui, inutile ormai immaginare scenari horror: se il premier deciderà di cambiare poltrona e di diventare presidente della Repubblica non ci sarà voto segreto che tenga, Draghi sarà eletto probabilmente al primo scrutinio. Ma che ha in mente, il presidente del Consiglio? Non si sa: quello che si sa è che ieri Pierpaolo Bombardieri, segretario generale della Uil, a Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, ha rettificato quanto affermato il giorno prima, quando all'uscita da un incontro con il premier ha detto ai giornalisti di aver avuto l'assicurazione da Draghi che al tavolo sulle pensioni, previsto per marzo, quindi dopo l'elezione del Presidente della Repubblica, ci sarebbe stato ancora lui: «Chiarisco», ha precisato Bombardieri, «perché c'è stato un equivoco. I fatti sono stati i seguenti. Io ho detto a Draghi che il tavolo di discussione sulla legge Fornero, che dovrebbe partire ora, si dovrebbe concludere a fine marzo. E non avrei voluto che, visto che quel che succederà nei prossimi mesi, la discussione si fosse interrotta. Il premier ha risposto che la discussione va avanti». Dunque lei non gli ha chiesto se sarà premier fino a marzo? «No», ha risposto Bombardieri, «non mi sarei mai permesso. Il presidente ha detto che il lavoro continuerà. Non si sa con chi».
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