2023-05-29
Edoardo Vianello: «Non rinuncio ai miei “altissimi negri”»
Il padre dei grandi tormentoni estivi: «Le polemiche sui “Watussi” mi nauseano. Il politically correct è una fisima della sinistra snob. Ho chiesto perché i partigiani non condannavano il comunismo e attendo ancora risposta».«Essere che? Uomo pensante? Per esser detto fesso, un giorno e non adesso». Questo verso s’attaglia perfettamente alle polemiche che assediano con i ritmi della cancel culture chi altro non voleva fare se non cantare. Sono i versi di una raccolta, Oltre il sensibile, che forse lo stesso autore non voleva fosse diffusa. Quell’uomo era Alberto Vianello, uno dei poeti futuristi del cerchio di Filippo Tommaso Marinetti, e quei versi sono riemersi dopo che i figli Tunni (pittrice di gran talento) ed Edoardo li hanno cercati, scovati e raccolti. Edoardo a suo modo è un futurista della chitarra e della canzone e a 84 anni suonati (in tutti i sensi) si sente dire che quegli «altissimi negri» di una delle sue canzoni più celebri, I Watussi, sono politicamente scorretti. Eppure lui, cugino di Raimondo, ha fatto dello spettacolo la proiezione di una vocazione: quella di produrre cultura che fosse fruibile da tutti. Sulle orme del padre manager per necessità, poeta per vocazione. La vicenda artistica di Edoardo è lunghissima e proficua. Con Franco Califano, che lui ha scoperto, fondò la Apollo Records, la casa discografica che ha lanciato Renato Zero, Amedeo Minghi e i Ricchi e Poveri. Quasi nessuno sa che La partita di pallone che ha consacrato al successo Rita Pavone l’ha scritta lui. Ed è così forte la sua impronta stilistica che gli si attribuiscono altri brani non suoi - uno su tutti Stessa spiaggia stesso mare che è del romagnolo Piero Focaccia - che stanno però nel filone della cosiddetta «scuola romana» disimpegnata e allegra (Meccia, Fontana, Fidenco) che negli anni Sessanta si contrapponeva ai «genovesi» intimisti e cupi. Vianello è Festivalbar, è Sanremo, è Canzonissima, è Mina ed Ennio Morricone, è una carriera lunga quasi quattordici lustri. Eppure tra le pieghe della sua produzione si scoprono non solo «pinne, fucile ed occhiali», non solo «abbronzatissima». Ci sono testi come quello di O mio Signore (1963) che recitano: «Non ho avuto tanto, eppure sono contento… grazie per tutto quello che hai fatto per me.». Forse è un anticipo di bilancio che Edoardo Vianello, all’annunciarsi di una nuova estate, accetta di fare con La Verità. Anche per replicare ad alcune polemiche, per rivendicare un’esigenza di verità da chi pronuncia molto spesso la parola libertà senza però riuscire a fare la rima baciata.Si pensa all’estate e viene in mente Vianello: Abbronzatissima, Fucile ed occhiali, la stessa Come dondolo hanno riempito le vacanze degli italiani da decenni: li hanno fatti ballare in discoteca come sotto l’ombrellone, sono state la colonna sonora dei viaggi verso la spiaggia. Vianello è un uomo solare?«Sono una persona solare, a prescindere dalle mie canzoni estive. Credo di aver composto ciò che sono come spirito».Osservando ciò che accade - prezzi in salita dei viaggi, degli alberghi con persino le spiagge sotto i riflettori dell’Europa, purtroppo la riviera romagnola devastata dall’alluvione, anche se hanno già messo tutto a posto - sarà un’estate da tormentone o tormentata?«Sarà un’estate tormentata, anche grazie a qualche mio... tormentone. C’è qualcosa in preparazione, vedremo... o forse ascolterete».C’è un suo verso che è tornato di moda perché lo ha ripreso Myss Keta che ha inserito anche la sua voce nel disco e nel video: che finimondo per un capello biondo. Ma questo mondo visto da lei che lo ha fatto ballare, lo ha fatto divertire, visto da lei che ha 84 anni e ha ancora la freschezza di un ragazzino (a proposito, come fa?) è un finimondo? Ci sono dei valori che lei non riconosce più?«Non è ancora un finimondo, ma ci stiamo arrivando. Credo che sia ormai giunto il momento di rimboccarci le maniche e metterci a lavorare seriamente come se stessimo uscendo da una sanguinosa guerra. I valori che non riconosco più sono quelli della mancanza di rispetto nei confronti del prossimo da parte di troppe persone arroganti e impreparate».Edoardo Vianello non ha mai fatto musica militante eppure il suo testo I Watussi è stato criticatissimo per quegli «altissimi negri». Lei ha confermato che non lo cambierebbe mai e che continuerà a cantarlo. È un sfida al politically correct la sua?«La critica ai Watussi mi ha nauseato. È una canzone del 1963, epoca in cui certi termini erano consentiti. Se lo avessi scritto oggi avrebbe un altro senso, ma non vedo per quale motivo dovrei cassare certi vocaboli che ormai fanno parte della storia della canzone italiana solo per far felici gli ipocriti».Già che ci siamo: che ne pensa della cancel culture?«Il politically correct è una fisima di una certa sinistra snob, che farebbe bene ad affrontare argomenti più seri. Se poi parliamo della cancel culture, per me si tratta di una ridicola trovata per giustificare una volgare esibizione».Sta passando l’idea che difendere l’identità, uno stile di vita, e che diffondere testi come i suoi che mettono gioia e sono stati scritti per far ballare e sorridere le persone (ad esempio Hully Gully) sia un’operazione nostalgica ai limiti del sovranismo. Lei non crede che invece quella cultura pop abbia rappresentato il sogno italiano e che debba essere conservata e riproposta?«Stanno cercando di far passare l’idea che quella canzone difende l’identità, che è una sorta di manifesto politico, ma non ci riusciranno. Si può immaginare un mondo senza… l’Hully Gully?» Ha avuto la forza di fare un tweet in cui diceva: mia moglie Frida di origine albanese mi fa una domanda: come mai non hanno vinto i partigiani in Italia nel ’46? E in un altro tweet si domandava come mai i partigiani italiani non hanno mai condannato quelli albanesi o sovietici per i loro eccessi. Questa sua posizione da cosa nasce e soprattutto le ha procurato delle conseguenze?«Le mie posizioni mi portano solo a sollevare dei dubbi che fanno parte del mio pensiero libero: in un Paese democratico penso di aver diritto ad esprimerle. Rimane il fatto che sto ancora aspettando una risposta».Lei è romano e romanista è si è addirittura lamentato che agli Internazionali d’Italia non ci fosse la scritta «Roma», pensa che l’Italia abbia abdicato al suo valore?«Mi sembra un investimento sbagliato quello di organizzare un torneo così importante e così costoso senza trarne un vantaggio pubblicitario. Nelle prime due giornate della maratona tennistica non c’era scritto in nessuna parte del campo che quello che stavano seguendo in campo e in televisione gli spettatori erano gli “Internazionali d’Italia di Tennis” e che si stavano svolgendo a Roma. E non compariva nessun riferimento nemmeno nella sigla televisiva che frequentemente viene trasmessa tra un set ed un altro. Poteva tranquillamente trattarsi di un torneo organizzato a... Castrovillari. Dopo due giorni si sono decisi a dare un nome alla kermesse, specificando che si stava svolgendo a Roma. E, aggiungo io, nel Parco del Foro Italico. Mi è sembrata semplicemente una follia, dal momento che si vuol promuovere il Made in Italy».Lei ne ha per tutti. Anche ad Al Bano, per i suoi ottanta anni, ha fatto gli auguri all’aceto mettendo in rilievo una sorta di «copiatura» del titolo del suo spettacolo da quello di un suo show. È sempre stato così caustico?«Non sono caustico, sono sempre ironico: lo dimostrano ampiamente i testi delle mie canzoni che sono diventate dei successi credo anche per questa vena ironica. A volte però mi dimentico che l’ironia può essere apprezzata solo dalle persone di spirito».Di fatto lei ha scritto la colonna sonora dell’Italia del boom, dell’Italia felice. Pensa che una stagione ritmata dalla voglia di fare per stare bene ritornerà?«No, e mi dispiace. Dovrei fare un lungo ragionamento che scivola nella politica. Preferisco limitarmi a constatare che purtroppo non vedo prospettive perché ritorni quell’Italia».
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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