2025-05-16
E la Salis è indagata: investì una donna con il semaforo rosso
L’incidente un anno fa. La vittima: «Ho sfondato il parabrezza con la testa: trauma cranico e piede rotto. Non si è mai scusata».Genova, 23 maggio 2024. Ore 10.20. Via Quinto, incrocio con via Majorana, una strada che divide in due un’area residenziale nel Levante del capoluogo, neppure troppo trafficata. Strisce pedonali, semaforo verde per i pedoni, rosso per le auto. In quel momento, S.D.C., 42 anni, sta attraversando la strada. Una Mini azzurra sopraggiunge all’improvviso. Al volante c’è Silvia Salis, ex atleta olimpica, vicepresidente vicario del Coni, volto noto del mondo sportivo e, in quel momento, futura candidata sindaco di Genova per la coalizione di centrosinistra. L’atleta abita a circa un chilometro da lì.L’impatto è violentissimo. S.D.C. viene travolta. Il corpo sbatte sul cofano, poi sul parabrezza. Lo sfonda con la testa. Qualcuno chiama i soccorsi. L’ambulanza arriva in pochi minuti. Il codice è arancione. Ma al pronto soccorso dell’ospedale San Martino la diagnosi è pesante: trauma cranico, frattura al piede sinistro, ferita lacero-contusa al gomito. La donna viene ricoverata con una prognosi di 30 giorni. Scattano gli accertamenti. Esattamente un mese dopo, risulta alla Verità, viene stilato un verbale. Il passaggio chiave è questo: al semaforo la conducente non avrebbe dato la precedenza al pedone che aveva il via libera dal semaforo. Alla Salis viene notificata la violazione dell’articolo 146 del codice della strada, che si applica a chi non rispetta le indicazioni della segnaletica stradale (verticale, orizzontale o luminosa, come in questo caso). La sanzione amministrativa prevede il pagamento di una somma tra i 167 e i 665 euro. La vittima, dopo un primo tentativo di avviare la procedura di risarcimento assicurativo tramite raccomandata, non riceve risposta. La Salis, stando alle ricostruzioni dei procedimenti, non avrebbe mai ritirato la comunicazione. Nessun contatto, nessuna telefonata, nessun biglietto di scuse. Neppure formali. A quel punto S.D.C. decide di sporgere denuncia direttamente alla Procura di Genova. E nei primi giorni di luglio viene aperto un procedimento per lesioni stradali. Reato, il 590 bis, contestabile «al conducente di un veicolo a motore», recita il codice penale, «che, attraversando un’intersezione con il semaforo disposto al rosso, cagioni per colpa a taluno lesioni personali gravi». Le pene previste vanno da 1 a 3 anni. Quando il semaforo è rosso si applica una aggravante specifica, che prevede l’aumento della condanna da un terzo fino alla metà della pena. Il numero del procedimento è il 946/25. L’iscrizione è a Modello 21, il registro delle notizie di reato contro persone note. La Salis è formalmente indagata. S.D.C., invece, risulta parte offesa. I fatti sono stati accertati il 23 maggio 2024. L’avvocato Marco Marino, difensore della vittima, raggiunto telefonicamente, conferma: «Abbiamo sporto querela». C’è un altro dettaglio che fa la differenza, ma questa volta sul piano umano: dal giorno dell’incidente la Salis non avrebbe mai chiesto notizie sulla salute della donna che ha investito. Nessun gesto, né pubblico né privato, rivolto alla persona che ha lasciato ferita sull’asfalto. «Non è venuta in ospedale, non mi ha mai scritto una lettera, né un biglietto per accertarsi della mia salute e non ha neppure inviato due righe di scuse a un giornale», ribadisce la donna investita. La vittima, incalzata dal cronista, conferma: «Non c’è stato nessun contatto dal giorno dell’incidente». I ricordi di S.D.C. sono ancora nitidi: «Stavo attraversando sulle strisce pedonali con il verde acceso e con tutte le varie precauzioni che si possono avere quando si attraversa la strada e all’improvviso l’auto mi è venuta addosso». Ripete: «Io avevo il verde, lei il rosso». Il racconto continua: «Ho sfondato il parabrezza dell’auto e sono volata avanti di diversi metri, finendo sull’asfalto». Quindi, le chiediamo, la Mini arrivava a una certa velocità? Risposta: «Sì, abbastanza». E la conducente si è fermata per prestarle soccorso? «Si sono fermate altre persone, poi anche lei. Continuava a ripetermi: “Non l’ho fatto apposta, avevo fretta, dovevo andare”. Io ero per terra e, sinceramente, non seguivo proprio tutte le parole con attenzione». La conclusione: «È stata un’esperienza sconvolgente». Ma non è finita. Il 2 maggio 2025, undici mesi dopo l’incidente, un’altra scena contribuisce a peggiorare la posizione pubblica dell’ex martellista. Durante una trasmissione andata in onda sulla tv genovese Primocanale la Salis viene accompagnata da una cronista in giro per Genova. Una giornata tipo. Tanto che la trasmissione si intitola «Una giornata con la candidata sindaca Silvia Salis». L’uscita di casa di primo mattino col marito e il bimbo nel passeggino, colazione al bar, viaggi in macchina, pausa pranzo, incontri da campagna elettorale. Ma c’è un dettaglio che buca lo schermo. A un certo punto si vede la Salis attraversare la strada con il figlio nel passeggino mentre il semaforo per i pedoni è clamorosamente di colore rosso. È proprio davanti a lei, a favore di telecamera (che riprende la Salis e la cronista che l’accompagna di spalle). La giornalista appare titubante. Lei no. La Salis passa come se nulla fosse. Ci è ricascata. Nessun rispetto della segnaletica stradale. Peraltro davanti alle telecamere. Un incrocio, un semaforo rosso e un errore già commesso. Per fortuna, però, durante il replay beffardo dell’incidente avvenuto undici mesi prima, nessuno si è fatto male. Ma quell’immagine resta lì, congelata tra i fotogrammi della trasmissione, e svela una predisposizione dell’ex atleta che era finora sconosciuta. Di lei era noto il procedimento davanti al Tribunale antidoping (tra il 2011 e il 2012, insieme con dei colleghi, aveva saltato dei controlli), in cui è stata assolta. Oltre alle controversie federali per presunte violazioni dello statuto e del regolamento di giustizia del Coni. A oggi il danno fisico patito da S.D.C. è stato risarcito dall’assicurazione. Mentre la vicenda penale è nelle mani della magistratura. E chi, per anni, da simbolo dello sport, ha promosso i valori di lealtà, rispetto e fair play, con molta probabilità dovrà rispondere davanti alla legge. Forse anche all’opinione pubblica. E a una donna ferita, dimenticata per mesi, che aspettava solo due parole: «Mi dispiace».
«It – Welcome to Derry» (Sky)
Lo scrittore elogia il prequel dei film It, in arrivo su Sky il 27 ottobre. Ambientata nel 1962, la serie dei fratelli Muschietti esplora le origini del terrore a Derry, tra paranoia, paura collettiva e l’ombra del pagliaccio Bob Gray.
Keir Starmer ed Emmanuel Macron (Getty Images)
Ecco #DimmiLaVerità del 24 ottobre 2025. Ospite Alice Buonguerrieri. L'argomento del giorno è: " I clamorosi contenuti delle ultime audizioni".
C’è anche un pezzo d’Italia — e precisamente di Quarrata, nel cuore della Toscana — dietro la storica firma dell’accordo di pace per Gaza, siglato a Sharm el-Sheikh alla presenza del presidente statunitense Donald Trump, del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, del turco Recep Tayyip Erdogan e dell’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani. I leader mondiali, riuniti per «un’alba storica di un nuovo Medio Oriente», come l’ha definita lo stesso Trump, hanno sottoscritto l’intesa in un luogo simbolo della diplomazia internazionale: il Conference Center di Sharm, allestito interamente da Formitalia, eccellenza del Made in Italy guidata da Gianni e Lorenzo David Overi, oggi affiancati dal figlio Duccio.
L’azienda, riconosciuta da anni come uno dei marchi più prestigiosi dell’arredo italiano di alta gamma, è fornitrice ufficiale della struttura dal 2018, quando ha realizzato anche l’intero allestimento per la COP27. Oggi, gli arredi realizzati nei laboratori toscani e inviati da oltre cento container hanno fatto da cornice alla firma che ha segnato la fine di due anni di guerra e di sofferenza nella Striscia di Gaza.
«Tutto quello che si vede in quelle immagini – scrivanie, poltrone, arredi, pelle – è stato progettato e realizzato da noi», racconta Lorenzo David Overi, con l’orgoglio di chi ha portato la manifattura italiana in una delle sedi più blindate e tecnologiche del Medio Oriente. «È stato un lavoro enorme, durato oltre un anno. Abbiamo curato ogni dettaglio, dai materiali alle proporzioni delle sedute, persino pensando alle diverse stature dei leader presenti. Un lavoro sartoriale in tutto e per tutto».
Gli arredi sono partiti dalla sede di Quarrata e dai magazzini di Milano, dove il gruppo ha recentemente inaugurato un nuovo showroom di fronte a Rho Fiera. «La committenza è governativa, diretta. Aver fornito il centro che ha ospitato la COP27 e oggi anche il vertice di pace è motivo di grande orgoglio», spiega ancora Overi, «È come essere stati, nel nostro piccolo, parte di un momento storico. Quelle scrivanie e quelle poltrone hanno visto seduti i protagonisti di un accordo che il mondo attendeva da anni».
Dietro ogni linea, ogni cucitura e ogni finitura lucidata a mano, si riconosce la firma del design italiano, capace di unire eleganza, funzionalità e rappresentanza. Non solo estetica, ma identità culturale trasformata in linguaggio universale. «Il marchio Formitalia era visibile in molte sale e ripreso dalle telecamere internazionali. È stata una vetrina straordinaria», aggiunge Overi, «e anche un riconoscimento al valore del nostro lavoro, fatto di precisione e passione».
Il Conference Center di Sharm el-Sheikh, un complesso da oltre 10.000 metri quadrati, è oggi un punto di riferimento per la diplomazia mondiale. Qui, tra le luci calde del deserto e l’azzurro del Mar Rosso, l’Italia del saper fare ha dato forma e materia a un simbolo di pace.
E se il mondo ha applaudito alla firma dell’accordo, in Toscana qualcuno ha sorriso con un orgoglio diverso, consapevole che, anche questa volta, il design italiano era seduto al tavolo della storia.
Continua a leggereRiduci