E i sanitari reclutati in emergenza restano senza contratto o scappano
Per i sanitari presi in carico con il decreto di emergenza per il Covid è caos. I contratti sono scaduti e per loro si parla di stabilizzazione, che spesso significa nuovi contratti a tempo determinato: magari sei o nove mesi non di più. E neanche sempre. Questo è il destino di medici e infermieri precari. Eroi, così li chiamavamo, che oggi vengono abbandonati ancora una volta.
Partendo dall’inizio, come già scritto sulla Verità, le «misure straordinarie per l’assunzione degli specializzandi e per il conferimento di incarichi di lavoro autonomo a personale sanitario», decise a fine gennaio 2020, consentirono alle aziende sanitarie di reclutare con rapporti libero professionali, specializzandi, medici specialisti, medici abilitati ma non specializzati e infermieri, come si legge dal rapporto della Corte dei conti sulla finanza pubblica 2021. I contratti sono stati rinnovati per tutta la fase di emergenza, emergenza che però si è conclusa il 31 marzo scorso. La legge nazionale prevede di poter procedere con la stabilizzazione del personale che abbia compiuto 18 mesi di lavoro durante l’emergenza Covid. Ma, come per ogni cosa che riguarda la Sanità, ogni Regione è andata per conto proprio.
Il Veneto è una delle Regioni che ha assunto meno. I motivi? Sembra che i concorsi per contratti (a tempo determinato) vadano deserti, ma il personale ci sarebbe, il problema è che subisce continue umiliazioni per un lavoro che diventa ogni giorno più difficile. In Sicilia è stata disposta la proroga dei contratti per 9.000 precari tra medici sanitari e amministrativi fino al 31 dicembre, ma la stabilizzazione non è stata recepita allo stesso modo da tutte le Asp. Così accade, ad esempio, che fisioterapisti, psicologi e biologi siano stati licenziati dai reparti; mentre all’hub della Fiera del Mediterraneo, che oggi appare una scatola semi-vuota, hanno ottenuto la riconferma i 245 informatici e i 63 amministrativi assunti con un click.
Sono tante, troppe, le storie di infermieri o medici presi in giro dalle aziende per cui hanno prestato servizio con tutte le difficoltà del Covid. «Questa è la considerazione che si ha dei famosi eroi. Ed è la considerazione che si ha anche dell’esperienza maturata. Per formare un infermiere in un reparto di terapia intensiva ci vuole un anno. Lasciare queste persone a casa oggi è un contro senso», denuncia Laura Santoro di Nursing Up, il sindacato degli infermieri italiani, che aggiunge: «a pagare questa gestione è non solo l’infermiere, ma anche l’utenza».
Lo stesso vale per i medici naturalmente. Secondo la legge nazionale, si possono stabilizzare le risorse che abbiano maturato almeno 18 mesi di lavoro durante la pandemia. Ma se per caso questi mesi sono 15 o 16, non si può procedere alla stabilizzazione. Cortocircuito di un sistema come sempre schiavo dell’eccesso di burocrazia. «Il problema è che non capiscono che se si continua così è normale che ogni anno 1.800 medici decidano di trasferirsi all’estero dove ottengono contratti e turnazioni migliori», denuncia Benedetto Magliozzi, segretario nazionale della Cisl Medici.
In molti quindi sono stati assunti a tempo determinato e ora si trovano a spasso dopo aver tappato i buchi. Il rischio è che il personale del Sistema sanitario nazionale risulti ancora più in affanno nel gestire l’ordinario e l’immenso lavoro pregresso, trascurato in più di due anni di pandemia. Eppure si continua a denunciare come la carenza di medici e infermieri continui a essere il vero problema irrisolto degli ospedali. Decidere quindi di fare a meno di queste risorse risulta inspiegabile. Un problema grosso che va risolto subito, nell’immediato, perché se da qui a pochi mesi dovessimo trovarci con una nuova ondata pandemica, gli ospedali già al collasso non saprebbero come gestire l’emergenza.





