2020-06-08
Gabriele Gravina: «È giusto finire il campionato. Tornare in campo è una gioia»
Riparte il calcio e per il presidente della Figc «si giocherà nel rispetto di tutti i protocolli. La classifica con algoritmo? Una soluzione equa. I playoff? Novità che piace alla gente».«Non posso essere io a uccidere il calcio italiano». Ci sono frasi che caratterizzano una persona e la accompagnano come un Labrador. Mentre il pallone torna a rotolare e la rete delle porte d'allenamento a gonfiarsi per un gol, Gabriele Gravina ripensa a quel 20 aprile quando tutti avrebbero voluto chiudere baracca, sopraffatti dal coronavirus. Il ministro Vincenzo Spadafora era per il blocco speculativo (un problema in meno per il governo). Metà dei presidenti di Serie A guidati da Urbano Cairo erano per il blocco cautelativo (niente partite, niente contagi, niente grane). Il numero uno del Coni, Giovanni Malagò, era per il blocco cumulativo (aveva già blindato il resto dello Sport, il calcio non doveva costituire un'eccezione). L'opinione pubblica e gli opinionisti dominanti, spesso esploratori dell'ovvio, erano per il blocco rispettoso (che fate, giocate davanti ai morti?).Tutto era dominato dall'emotività e il triplice fischio della resa era vicino. Pure gli arbitri non vedevano l'ora. L'unico a resistere allora era un avvocato di Castellaneta (Taranto), 66 anni, che negli anni Novanta era riuscito nell'impresa non di vincere uno scudetto (facile), non battere un record italiano (troppo facile), ma di portare il Castel di Sangro (6000 abitanti) in Serie B. Non un duro nel senso classico ma un ottimo mediatore, presidente della Federcalcio eletto due anni fa con il 97 per cento dei voti. Soprattutto un uomo che, provenendo dal mondo imprenditoriale, conosce il significato di un lockdown permanente fino a settembre. Società fallite, diritti televisivi congelati e un'azienda da 5,5 miliardi sull'orlo del baratro. Così il 12 giugno riparte la Coppa Italia (Juventus-Milan), il 17 giugno la Serie B e il 20 giugno il campionato di Serie A. Se il calcio ricomincia - anche se con mille variabili - è merito suo. Ripercorrere quei mesi è il suo calcio d'inizio.Presidente Gravina, sta per ripartire il campionato più strano della storia. È convinto di portarlo a termine?«È l'auspicio di tutti, il mio in particolare perché dall'inizio ho lavorato per la ripartenza. Con la curva dei contagi in evidente contrazione e con il rigido rispetto dei protocolli in vigore (se dovessero essere riscontrate delle violazioni gravi saranno introdotte sanzioni dure) sono convinto che è un risultato raggiungibile».Tutti temono che al primo calciatore positivo si blocchi tutto di nuovo. C'è la possibilità di far cambiare il protocollo al Comitato tecnico scientifico.«Abbiamo rappresentato la criticità sulla quarantena sia al ministro Spadafora che al ministro Speranza, trovando accoglienza e considerazione. Se l'andamento epidemiologico lo consentirà mi auguro che il protocollo possa essere rivisto dal Comitato tecnico scientifico. Ma questo non significa chiedere deroghe».Dovesse rendersi necessario...«No, il calcio, come altri settori occupazionali del nostro Paese, non chiede e non sta usufruendo di alcuna scorciatoia. E sta dimostrando serietà e scrupolosità nell'applicazione di tutte le direttive anti Covid-19». Giovanni Malagò e Urbano Cairo erano per lo stop definitivo. Come ha fatto a far loro cambiare idea? «Non so se hanno cambiato idea, ognuno ha le sue convinzioni e le porta avanti secondo le proprie logiche ed i propri obiettivi. Ho agito sempre ispirandomi alla mia responsabilità di governo federale, il nostro è un sistema complesso e dal grandissimo impatto socio-economico».Alla fine il ministro Vincenzo Spadafora si è convinto. Lei che esperienza ha tratto dal confronto con lui?«È stato un lungo periodo di crescita caratterizzato da un confronto quotidiano aperto e trasversale. Abbiamo due ruoli diversi, con responsabilità diverse, ma su alcuni punti abbiamo sempre convenuto: la tutela della salute era ed è una priorità; il calcio poteva riprendere non appena il Paese avesse iniziato la sua ripartenza».Il governo poteva rapportarsi meglio a un'azienda da 5,5 miliardi?«Soprattutto all'inizio della pandemia, le priorità del Governo erano comprensibilmente altre. Una volta fronteggiata e contenuta l'emergenza sanitaria l'esecutivo ha dato risposte concrete alle nostre richieste. Lo confermano i risultati contenuti dalla Figc per il mondo del calcio nel suo complesso all'interno del decreto Rilancio».Il cittadino si domanda: perché il calcio si è la scuola no? «È una domanda da rivolgere ad altri. Sono il presidente della Figc e come tale opero nell'interesse del calcio, di sicuro il livello di rischio potenziale in una scuola è maggiore di quello in uno stadio vuoto o parzialmente aperto». Cosa pensa di Marco Tardelli all'Associazione calciatori?«Il confronto dialettico all'interno di una associazione rappresenta un'importante opportunità di verifica e di crescita. Il dibattito democratico però deve rimanere in perimetri costruttivi. In qualità di presidente della Figc non esprimo giudizi sulle scelte che andranno a compiere i calciatori».Non sia eccessivamente diplomatico.«Di sicuro devo registrate che alcune affermazioni delle ultime settimane hanno manifestato una scarsa conoscenza della situazione federale e del nostro calcio nel suo complesso».La classifica con algoritmo fa paura a tutti. Si passerà alla litigiosità digitale.«È stato sollevato un polverone senza fare una domanda sul contenuto, per partito preso. Non c'è nulla di alchemico né tantomeno di digitale: ho spiegato al presidente della Lega, Paolo Dal Pino, che è la formula più equa possibile qualora dovessimo malauguratamente stilare le graduatorie in caso di un nuovo stop». I playoff sarebbero una novità assoluta. C'è voglia di futuro?«A giudicare dalle risposte dei club di Serie A direi di no, a differenza invece della maggioranza dell'opinione pubblica e degli sponsor che sono meno restii alle novità. Li ho proposti per concludere sul campo questa stagione, ma anche perché la loro imprevedibilità avrebbe riacceso l'entusiasmo di appassionati e non, dopo un periodo di smarrimento generale».A settembre pensa a una stagione regolare?«Secondo le proiezioni fatte dalla Lega di A, se si comincia entro il mese di settembre ci sono tutte le date per giocare il campionato tradizionale, altrimenti dovremo decidere di modificare qualcosa perché a giugno del prossimo anno ci saranno gli Europei». Questo caos anticipa la serie A a 16 squadre?«La riforma dei campionati non è un argomento legato all'emergenza da Covid-19. Il nostro mondo necessita di riprendere la riflessione condivisa interrotta a causa dello scoppio dell'epidemia. Solo con una vera logica di sistema potremo entrare in una nuova fase più sostenibile e competitiva». C'è qualcuno che si sente di ringraziare in modo particolare per il nuovo inizio?«Innanzitutto la mia famiglia per la comprensione che ha manifestato, perché non è stato facile starmi accanto in questi ultimi tre mesi. La gioia di tornare in campo però la voglio condividere con tutti coloro che amano veramente questo sport». Il pallone che rotola, anche se in uno stadio vuoto, aiuterà il Paese a ritrovare i suoi ritmi e le sue abitudini? «Lo stadio vuoto non piace a nessuno, ma è molto peggio non giocare. A causa del Covid, siamo stati costretti a cambiare le nostre abitudini e in questa fase anche la fruizione dello spettacolo del calcio sarà diversa. Ma è solo una condizione di passaggio». L'Uefa ha spinto per ripartire o è stata a guardare?«Il confronto costante con la Uefa, con cui abbiamo condiviso ogni nostro passo, è stato determinante soprattutto quando il Belgio prima e la Francia poi hanno minacciato e imposto lo stop all'attività. In quei giorni è stato difficile sostenere le tesi della ripartenza. Adesso invece la situazione si è ribaltata».Pensa alla Nazionale a Bergamo o a Milano per ricordare le vittime della tragedia?«In occasione dell'assegnazione de “Lo Scudetto del Cuore" al personale sanitario e ai servizi pubblici essenziali in prima linea contro il virus, abbiamo annunciato che giocheremo a Milano. E organizzeremo un'iniziativa per la città di Bergamo appena le condizioni generali lo consentiranno. Vogliamo farlo quando la partecipazione e il calore del pubblico faranno la differenza». Gestire un simile scenario è pazzesco. Se un indovino glielo avesse prefigurato cosa avrebbe risposto?«Quello che è successo non ha precedenti, non solo nel calcio. Ognuno nel proprio ambito, per superare questa emergenza è chiamato a dare qualcosa di più. Mi sto dedicando al mondo che amo senza riserve sostenendo ogni giorno una logica di sistema che si contrappone a tanti, forse troppi, interessi di parte».