
Curdi e Ong accusano l'esercito turco di aver lanciato razzi nonostante la tregua, ma Ankara smentisce. Il Sultano dichiara che le sue truppe non lasceranno la zona di sicurezza nel Nordest del Paese invaso.Proseguono gli scontri in Siria. Nonostante l'accordo per il cessate il fuoco di cinque giorni, raggiunto giovedì sera da Stati Uniti e Turchia, si sono verificati ieri combattimenti sporadici nella zona di Ras Al Ain. A intervenire sulla questione è stato il responsabile della comunicazione delle forze democratiche siriane a guida curda, Mustafa Bali, che ha commentato: «La Turchia sta violando l'accordo con attacchi aerei e di artiglieria che continuano a prendere di mira la posizione dei combattenti, gli insediamenti civili e l'ospedale di Serekaniye/Ras Al Ayn». In questo tumultuoso contesto, Amnesty International ha dichiarato che le forze turche avrebbero compiuto «crimini di guerra», parlando di «vergognoso disprezzo per la vita dei civili». Ciononostante, secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani, vigerebbe uno stato di «prudente e relativa calma» nel resto della frontiera siriana. La tensione resta comunque piuttosto alta. Il presidente turco Erdogan ha dichiarato ieri che le truppe di Ankara «non lasceranno la zona di sicurezza concordata nel Nordest della Siria dopo la fine delle ostilità». Il Sultano ha poi rimarcato il ruolo centrale della Russia per gli equilibri geopolitici mediorientali. «Considero il mio incontro con il presidente russo Vladimir Putin, martedì a Sochi, come un altro elemento di questo processo per la creazione di una zona di sicurezza turca nel Nordest della Siria», ha aggiunto, senza lasciarsi sfuggire l'occasione per una velata minaccia. «Alla fine delle 120 ore» di tregua, «la nostra operazione Fonte di pace continuerà in modo ancora più determinato se gli Usa non manterranno le promesse». Il presidente turco ha inoltre accusato i Paesi occidentali di ipocrisia, annunciando di voler insediare nella «zona sicura» circa due degli oltre tre milioni di profughi siriani, attualmente presenti sul territorio turco. Profughi che, da tempo, sono diventati un enorme problema socioeconomico per Erdogan, soprattutto perché invisi alle classi mediobasse della società turca: quelle stesse classi che hanno sempre costituito il principale bacino elettorale del Sultano. Donald Trump, dal canto suo, si dice pienamente soddisfatto dell'accordo con la Turchia. Giovedì sera, nel corso di un comizio a Dallas, il presidente americano ha rivendicato il risultato della tregua, rimarcando l'impegno statunitense contro l'Isis. «La Turchia sarà felice, i curdi saranno felici, l'Isis non sarà felice», ha dichiarato. Ieri, dopo una telefonata con Erdogan, l'inquilino della Casa Bianca ha affermato: «C'è buona volontà da entrambe le parti e ottime possibilità di successo. Mi è stato appena comunicato che alcune nazioni europee sono ora disposte, per la prima volta, a prendere i combattenti dell'Isis provenienti dalle loro nazioni. Questa è una buona notizia, ma avrebbe dovuto essere fatta dopo che li abbiamo catturati. Comunque, sono stati fatti grandi progressi». Attraverso l'accordo con Ankara, Trump punta a conseguire due fondamentali obiettivi: salvaguardare la linea di disimpegno statunitense dalla Siria e - al contempo - respingere le accuse di eccessiva arrendevolezza verso Erdogan. Il tutto, con un occhio alle presidenziali del 2020. Il punto è che in alcuni settori dell'establishment di Washington l'intesa con Ankara non è stata troppo apprezzata. I leader democratici del Congresso, Nancy Pelosi e Chuck Schumer, hanno duramente condannato la linea del presidente. «La decisione del presidente di revocare le sanzioni contro la Turchia per aver attaccato brutalmente i nostri partner curdi in cambio di un falso cessate il fuoco mina seriamente la credibilità della politica estera americana», hanno tuonato in un comunicato congiunto. Anche tra i repubblicani si sono levate voci critiche. Pur apprezzando l'accordo raggiunto con Ankara, il senatore Lindsey Graham sembra infatti intenzionato a portare avanti una proposta di nuove sanzioni contro i turchi: una proposta volta a colpire il settore energetico e militare della Turchia, oltre allo stesso Erdogan. Se una parte del Campidoglio è quindi ostile al presidente sulla sua strategia di disimpegno dalla Siria, non altrettanto si può dire dell'elettorato conservatore, visto che - secondo un sondaggio Economist/YouGov - il 57% degli elettori repubblicani si dichiara favorevole al ritiro delle truppe americane. Il problema è che, pur criticando la linea di Trump, l'establishment di Washington non sembra aver chiare delle alternative sostenibili. Le ipotesi sul tavolo sarebbero infatti due: o mantenere sul territorio un esiguo numero di truppe a tutela dell'amministrazione autonoma del Rojava o optare per una presenza massiccia in un'ottica di ingegneria istituzionale (come accadde - con qualche problema - in Iraq). Tuttavia se la prima soluzione è foriera di instabilità (perché di autonomia curda non vogliono sentir parlare né Assad né Putin né Erdogan), la seconda implicherebbe costi economici e umani che l'elettorato statunitense non ha più alcuna intenzione di sobbarcarsi. Lo sapeva bene anche Barack Obama, che cercò non a caso di tenersi per anni a distanza dalla Siria, per poi tuttavia cedere infine alle pressioni dell'establishment americano.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





