
Il Serpico italiano, protagonista di mitiche operazioni sotto copertura: «Il maestro voleva girare un film su di me, ma non andò in porto. Eravamo in confidenza e l'ho portato sulla Kawasaki. Ho conosciuto De Niro e ispirato il personaggio del Monnezza».Nel centenario della nascita di Federico Fellini, evento festeggiato in tutto il mondo, riemerge la storia del più famoso regista del mondo e di un poliziotto, Nicola Longo, anche lui una celebrità negli anni Settanta e Ottanta nelle pagine di cronaca nera, che pure affascinavano Fellini. Le loro strade si sono incrociate varie volte, finché il poeta e sceneggiatore Tonino Guerra, amico e collaboratore del regista, li ha fatti incontrare. È nata un'amicizia profonda, fuori dal consueto giro del cinema, proseguita fino alla morte di Fellini, avvenuta nel 1993.Nicola Longo ha compiuto leggendarie operazioni sotto copertura, tanto da venir considerato il Serpico italiano. Fellini nel 1983 ne ha raccolto le memorie, nella speranza di realizzare un film: dai marsigliesi alla banda della Magliana, da Vallanzasca a De Pedis, è un susseguirsi di irruzioni e colpi di scena che rivivono nel libro Poliziotto, edito da Castelvecchi nel 2013, fedele trascrizione delle lunghe conversazioni tra il regista e il poliziotto. Tonino Guerra l'ha definita un «poeta con la pistola». Quando lo ha conosciuto?«Nel 1979. Reduce da un conflitto a fuoco, sono stato ricoverato per un lungo periodo all'ospedale militare del Celio. Non sapendo come passare il tempo, mi sono messo a scrivere una favola imperniata sulla prevenzione della droga. La mia compagna dell'epoca l'ha voluta mandare a un concorso ed è stata premiata. L'allora assessore alla Cultura della Regione Lazio, Luigi Cancrini, l'ha inserita come programma sperimentale nelle scuole e ha avuto abbastanza successo. In occasione della premiazione ho conosciuto Tonino Guerra, il quale mi ha detto: “Lei è lo stesso Longo di cui si legge sempre sui giornali?". Mi sono messo a ridere e ho detto di sì. A Tonino è piaciuto il libriccino sulla droga e mi ha spinto a scrivere la mia storia».Ha scritto così il libro La valle delle farfalle, che è rimasto praticamente inedito.«Ho accettato questa sfida con me stesso e mi sono presentato da Tonino con il mio manoscritto. Il nostro rapporto si è intensificato anche perché sono riuscito a recuperare i regali di nozze e i premi vinti nel cinema che gli erano stati rubati. Un giorno, mi ha chiamato: “Ho dato da leggere il tuo manoscritto a Fellini. È impazzito! Ha detto di chiamarti subito perché vuole trarne un film". “Tonino, mi stai prendendo in giro". Lui invece mi ha ribadito che era tutto vero. Io, tra l'altro, Fellini l'avevo già conosciuto».In quale occasione?«Sembrava destino che ci dovessimo conoscere. La prima volta l'avevo incontrato per strada. Ero ancora alle Fiamme oro, dove facevo il pugile, era agosto e scorrazzavo per il centro di Roma per provare la 500 Abarth che mi ero messo a posto da solo. Scoppia un temporale, comincia a grandinare e vedo che sotto un porticato c'è un signore terrorizzato, almeno così mi è parso. Ho aperto la portiera: “Serve aiuto?" e lui si è ficcato subito dentro la macchina, ringraziandomi. “Dove deve andare?". “Al bar Canova, a Piazza del Popolo". Lo guardo bene: “Federico Fellini!". Avevo visto i suoi film da ragazzo. Immerso nei miei pensieri per questo straordinario incontro, siamo arrivati al bar Canova, ho cercato una penna, ma lui ha ringraziato e se n'è andato, lasciandomi con l'amaro in bocca per il mancato autografo».La seconda volta dove l'ha incontrato?«Dopo il periodo alle Fiamme oro, ho cominciato a lavorare alla Squadra mobile, sezione narcotici, e mi hanno incaricato di fare l'hippy a Piazza di Spagna per arrestare degli spacciatori. Mi avevano dato una Chopper Harley Davidson, una motocicletta adatta al mio travestimento da hippy. Un giorno, vedo tanta gente a Trinità dei Monti e chiedo cosa stia accadendo. “C'è Fellini! Stanno girando il film Roma". Mi metto a guardare anch'io. A un certo punto vedo Fellini che mi fissa e poi mi indica con un dito. “Vuoi vedere che Fellini si è ricordato di quando gli ho dato il passaggio in macchina?". Il suo aiuto regista si avvicina e mi fa: “Il maestro vorrebbe girare una scena con la sua motocicletta. Ce la può prestare?". Non mi aveva riconosciuto e voleva solo la motocicletta... sono rimasto così deluso!».Il terzo incontro è stato quello fortunato.«Siamo andati con Tonino Guerra a Corso d'Italia, dove Fellini aveva lo studio. Appena mi ha visto, ha cominciato a toccarmi con il dito. “Senti senti, è d'acciaio!". Poi mi dice: “Domani andiamo all'Opera film a firmare il contratto con Renzo Rossellini, che ha già preparato tutto". Pensavo mi prendesse in giro. Invece è stata avviata la produzione del film. In realtà, Fellini voleva farmi interpretare la parte del protagonista, ma io non me la sono sentita perché non potevo rinunciare al mio lavoro. Mi ha fatto fare anche dei provini».Ha incontrato qualche attore?«È venuto Robert De Niro appositamente dall'America. C'è stato con lui un episodio molto divertente. Mi hanno detto che aveva paura di venire in Italia per le Brigate rosse. Allora ho chiesto ai colleghi dei Falchi di proteggerlo. L'autista di De Niro ha visto questi hippy con le motociclette, si è preso paura ed è scappato, allora loro hanno cercato di raggiungerlo per spiegare la situazione. Insomma, per questo inseguimento sono finiti sui giornali! È stato interpellato pure Al Pacino». Lei ha ispirato anche la serie del Monnezza con Tomas Milian.«Una sera, dovevo arrestare un grosso esponente della 'ndrangheta, che dovevamo cogliere in flagrante mentre ci consegnava 50 chili di cocaina. Io ero vestito da netturbino. Avevamo dato disposizione alle macchine di servizio di non avvicinarsi, invece, mentre facevamo lo scambio, una volante si è fatta vedere e lui è scappato via con una Lamborghini Miura. Vestito in quella maniera sono andato a Trastevere sul set de La via della droga, dove c'era il produttore Galliano Juso. Appena mi ha visto, ha esclamato: “Ecco, questo è il film che dobbiamo fare, con questi vestiti". Raccontavo delle storie e gli sceneggiatori traevano ispirazione. Avevano messo il mio nome sia per Squadra antiscippo che per La via della droga, ma io l'ho fatto togliere per non avere problemi con la polizia».Come mai il film con Fellini non è andato in porto?«Il progetto di Federico era di girare tutto al Teatro 5 di Cinecittà e questo è stato il punto di rottura con Rossellini, che voleva girare in esterni. Allora Federico mi ha detto: “Tu hai tante storie, lasciamo da parte questo manoscritto. Tanto hai da parlare per giorni e giorni". Dopo piazza di Spagna ho cominciato a frequentare i locali notturni: è stato il periodo più bello della mia vita, dovevo fare il playboy, mi facevano i vestiti su misura, mi davano le macchine più costose».Avete quindi cominciato a vedervi regolarmente con Fellini.«Sì. Federico mi faceva le domande e io gli ho raccontato una decina di episodi, sei dei quali poi sono confluiti nel libro Poliziotto».Ma anche questo secondo tentativo di fare il film purtroppo non è andato in porto.«In rete c'è un'intervista a padre Angelo Arpa, grande amico di Fellini, il quale gli aveva confidato, molto rattristato, di non poter fare il film perché il capo della polizia lo aveva messo in guardia che per il mio lavoro correvo già molti rischi».Alla fine però l'ha convinta a fare l'attore…«Due piccole scene. Ne L'intervista arriva la polizia e io faccio finta di essere il capo della Digos, ne La voce della luna un tipo spara alla luna, io lo afferro e lo scaravento in aria». La copertina del libro Poliziotto la ritrae in sella a una moto e dietro di lei si intravede Fellini, senza casco.«Eravamo entrati in confidenza. Un giorno, gli ho detto: “Vuoi venire in moto?". “Veramente io non sono mai salito su una moto perché ho paura". Si è convinto e siamo andati a Fregene con una Kawasaki Z900. Federico si aggrappava con le unghie alla mia schiena, io andavo piano piano, avevo qualche remora. Poi mi ha urlato: “Dai, corri, corri!". Rideva per la gioia che provava. Un bellissimo ricordo!».
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





