True
2022-01-21
Durante la quarantena aiutare i feriti è reato
iStock
Non vi venga più in mente di aiutare il prossimo. Tempi folli e cupi, questi. Tempi di imperante viruscrazia. Meglio rimanere accucciati e fare come le tre scimmie sagge del santuario di Nikko: non vedo, non sento e non parlo. Non è davvero il momento di gesti pii e caritatevoli. Per esempio: Maristella Scarmignan, 56 anni, è stata appena condannata a due mesi di carcere, pena poi gentilmente commutata in una megamulta di 4.500 euro. Ma come diavolo le è venuta l’idea, il 23 aprile 2020, di correre in soccorso di quel motociclista che s’era appena schiantato di fronte a casa sua? Roba da pazzi. Invece la sconsiderata decide, a dispetto dell’isolamento casalingo causa contagio, di scendere in strada per aiutare lo sfortunato centauro.
Ospedaletto Euganeo, nel Padovano. Due di pomeriggio. Maristella è chiusa a casa, ancora una volta positiva dopo un tampone negativo. E sente quel boato, che le costerà carissimo. Un uomo, 44 anni, è finito in un fossato. Ha perso il controllo della moto, beccando in pieno un cartello stradale. Lei non ci pensa un attimo. «Sono corsa fuori di casa e ho visto un fumo pazzesco», racconta adesso. «C’era la moto, ma non il conducente. Poi l’ho visto a terra, dolorante e in difficoltà. Temevo il peggio. Quindi l’ho soccorso: voleva alzarsi, ma in quelle condizioni sarebbe stato deleterio mettersi in piedi».
Arriva il 118. E poi, i carabinieri. Niente di grave, fortunatamente. Per l’uomo, almeno. Alla misericordiosa, invece, va male. Anzi, malissimo. I militari scoprono che la donna è in quarantena. A quel punto, proseguono implacabili. Come da vigente viruscrazia. Doppia denuncia: violazione delle regole anti Covid e rifiuto di dare le proprie generalità. «Tutto pensavo, tranne di essere punita per aver prestato soccorso a una persona», spiega lei. «A maggior ragione, visto che avevo da poco ottenuto un tampone negativo». Quel giorno però non basta. Ne servono due, che Maristella inanellerà solo dopo l’incidente. «E comunque, quando mi sono avvicinata all’uomo per terra, avevo la mascherina».
L’apparente buon senso non scalda però i glaciali cuori dei brigadieri. Come s’è messa in testa di fare la crocerossina? Serve una pena esemplare, per aver violato la quarantena. Così, qualche giorno fa, la donna riceve una notifica dal tribunale di Rovigo: viene condannata a quattro mesi di reclusione, ridotti a due per il rito alternativo, infine sostituiti dalla multa di 4.500 euro. La cinquantaseienne annuncia ricorso: «Io, casalinga senza alcun precedente, mi ritrovo con la fedina penale sporca solo per aver aiutato una persona. È indegno. Dovevo forse lasciarlo ferito in strada? Di fronte a un’urgenza del genere, c’è poco da ragionare».
Eh no, signora nostra. Mica si vorrà ribellare alla zelante pedanteria dei formalisti. In questi due anni, gli uffici complicazioni affari semplici hanno dato il meglio del meglio. Mentre veniva colta in flagrante ad aiutare quel motociclista, la stradale di Livorno puniva ad esempio un’intera famiglia diretta all’ospedale di Pisa: per un controllo alla figlia di otto anni, dopo un trapianto di midollo osseo. Motivi di salute non così urgenti da evitare una multa da 530 euro. Alla solerte Maristella tocca allora ricordare che persino un’infermiera senza patente dell’ospedale di Genova è stata sanzionata assieme al consorte, reo di essere andato a prenderla a fine turno. Lei tapina: voleva evitare di prendere mezzi pubblici, per esporsi al contagio. Provi pure a rimuginare, la cinquantaseienne di Ospedaletto Euganeo, sulla disavventura dell’anziana romana che, su una panchina del Testaccio, aspettava che la fila del supermercato s’accorciasse. «Che fa, sta seduta?», la assalta l’agente. Verbale da 280 euro. Cerchi magari di trovare conforto, la soccorritrice stradale quarantenata, nella disavventura del prete di Rocca Imperiale, nel Cosentino: per evitare contatti con i fedeli, portava da solo in processione il Cristo in croce. Mattana costata ben 400 euro.
Alla multatissima casalinga corsa nel fossato, va ricordato inoltre che anche Giuseppe Sciaboni, 70 anni, ex ortopedico, è stato ingenerosamente punito. Eppure, in quel di Villa Minozzo, nel Reggiano, era uscito di casa solo per comprare giornale e mascherine. Ma come si fa a credere a un pensionato che decide di tornare in corsia per curare i colpiti dal virus? Infingardo. Paghi 373 euro, grazie. E la disabile fermata a Nuoro, assieme al consorte, davanti al market? Ma a chi vogliono darla a bere? I due felloni allunghino 900 euro, piuttosto. O il baldo ragazzotto di Bologna, che ha avuto la brillante idea di andare a far la spesa in skateboard. Ma dove andremo a finire, signora mia. La legge al tempo del Covid è chiara: non è un mezzo consono per rifornirsi di derrate alimentari. Cinquecentotretatrè euro giovanotto. E ringrazia il cielo: poteva andare peggio. Già, Maristella si consoli. È solo l’ultima vittima dei tediosi burocrati. La prossima volta, prima di soccorrere un centauro ferito, si faccia almeno il tampone rapido.
Parrucchiere rimborsa il tampone per non perdere i clienti senza pass
Ci sono dei lavoratori che, pur di resistere alla crisi economica e ai decreti imposti dal governo per quanto riguarda il Covid, si accollano personalmente le spese che dovrebbe sostenere lo Stato.
È il caso di un salone di bellezza in Toscana, a Prato, il Be2HairLab, dove i titolari, Francesco La Marca e Valentina Falchi, hanno deciso di pagare i tamponi antigenici a tutti i clienti senza green pass, dopo l’obbligatorietà, entrata in vigore ieri, 20 gennaio, del certificato verde anche per andare dal parrucchiere. Verranno rimborsati, infatti, tutti i test rapidi eseguiti nelle farmacie o in altre strutture competenti, per un massimo di 15 euro, a tutti coloro che si presenteranno al salone. Per adesso la scelta è quella di proseguire fino al 28 febbraio, per poi capire se continuare in questa direzione.
«Abbiamo fatto questa scelta per non discriminare nessuno e per arginare l’abusivismo che nel nostro settore dilaga», spiega La Marca, «ma soprattutto ci siamo sentiti di prendere questa decisione per non perdere i nostri clienti e per garantire loro un servizio più sicuro». Pagare di propria tasca le decisioni governative imposte: di questo si tratta. Il Be2Hair Lab di Prato è infatti l’esempio lampante di una categoria, fra le tante, completamente abbandonata a sé stessa e costretta a fare i conti sulla propria pelle e sulle entrate a fine mese. Un onere che non spetterebbe sicuramente a loro: il paradosso di dover «pagare» i propri clienti per non perderli. Una beffa spaventosa ma che, purtroppo, rispecchia i giorni che stiamo vivendo, nonché la diretta conseguenza di una grave assenza di tutela nei confronti dei lavoratori da parte delle istituzioni.
«Sicuramente il nostro settore è stato tutelato pochissimo fin dall’inizio della pandemia e le conseguenze in termini economici per noi sono state tremende - continua il titolare - ma, anche se siamo consapevoli che non spetterebbe a noi intervenire in questo senso, abbiamo comunque preso questa decisione». È quasi surreale che gli stessi titolari degli esercizi commerciali siano costretti a tutelare non solo i propri diritti, ma anche quelli dei propri clienti, ma, nel caos istituzionale in cui viviamo, quella che sembra una follia può diventare l’unica alternativa possibile per non affogare.
«Non neghiamo che lo sforzo economico è notevole ma, le condizioni che abbiamo deciso per intraprendere questo percorso ci fanno ben sperare di poter rientrare economicamente, garantendo a tutti i nostri clienti la sicurezza, senza giudicare nessuno per delle scelte private che riguardano solo ed esclusivamente la salute personale». Il rimborso avviene infatti su una spesa minima di 50 euro e per riceverlo basta prenotare un appuntamento con un po’ di anticipo in modo da garantirsi un tampone antigenico nelle 48 ore precedenti. Una volta ottenuto l’esito negativo e presentandosi alla cassa con esso e con lo scontrino, il costo del test verrà scalato dal conto.
«Arrangiarsi da soli e contrastare l’abusivismo: questi sono i motivi che ci hanno spinto in questa direzione. Abbiamo deciso di provare a trovare il modo di andare avanti da soli, senza l’aiuto di nessuno», conclude La Marca.
Un aiuto, quello di cui parla il titolare, che - nonostante le grandi orazioni nei palazzi del potere - non arriva e non è mai arrivato, costringendo così le persone e i lavoratori ad escogitare escamotage per non sprofondare nel dimenticatoio di un’Italia che sembra sempre più staccata dalla quotidianità dei suoi cittadini.
Continua a leggereRiduci
Condannata a due mesi di carcere (pena commutata in multa da 4.500 euro) una signora padovana che ha soccorso un motociclista nonostante l’isolamento. La casalinga annuncia ricorso: «Dovevo lasciarlo nel fosso?». Ma la follia burocratica colpisce tutta Italia.Parrucchiere rimborsa il tampone per non perdere i clienti senza pass. Salone di Prato si autotassa. I titolari: «Scelta contro la discriminazione e l’abusivismo».Lo speciale comprende due articoli. Non vi venga più in mente di aiutare il prossimo. Tempi folli e cupi, questi. Tempi di imperante viruscrazia. Meglio rimanere accucciati e fare come le tre scimmie sagge del santuario di Nikko: non vedo, non sento e non parlo. Non è davvero il momento di gesti pii e caritatevoli. Per esempio: Maristella Scarmignan, 56 anni, è stata appena condannata a due mesi di carcere, pena poi gentilmente commutata in una megamulta di 4.500 euro. Ma come diavolo le è venuta l’idea, il 23 aprile 2020, di correre in soccorso di quel motociclista che s’era appena schiantato di fronte a casa sua? Roba da pazzi. Invece la sconsiderata decide, a dispetto dell’isolamento casalingo causa contagio, di scendere in strada per aiutare lo sfortunato centauro. Ospedaletto Euganeo, nel Padovano. Due di pomeriggio. Maristella è chiusa a casa, ancora una volta positiva dopo un tampone negativo. E sente quel boato, che le costerà carissimo. Un uomo, 44 anni, è finito in un fossato. Ha perso il controllo della moto, beccando in pieno un cartello stradale. Lei non ci pensa un attimo. «Sono corsa fuori di casa e ho visto un fumo pazzesco», racconta adesso. «C’era la moto, ma non il conducente. Poi l’ho visto a terra, dolorante e in difficoltà. Temevo il peggio. Quindi l’ho soccorso: voleva alzarsi, ma in quelle condizioni sarebbe stato deleterio mettersi in piedi».Arriva il 118. E poi, i carabinieri. Niente di grave, fortunatamente. Per l’uomo, almeno. Alla misericordiosa, invece, va male. Anzi, malissimo. I militari scoprono che la donna è in quarantena. A quel punto, proseguono implacabili. Come da vigente viruscrazia. Doppia denuncia: violazione delle regole anti Covid e rifiuto di dare le proprie generalità. «Tutto pensavo, tranne di essere punita per aver prestato soccorso a una persona», spiega lei. «A maggior ragione, visto che avevo da poco ottenuto un tampone negativo». Quel giorno però non basta. Ne servono due, che Maristella inanellerà solo dopo l’incidente. «E comunque, quando mi sono avvicinata all’uomo per terra, avevo la mascherina». L’apparente buon senso non scalda però i glaciali cuori dei brigadieri. Come s’è messa in testa di fare la crocerossina? Serve una pena esemplare, per aver violato la quarantena. Così, qualche giorno fa, la donna riceve una notifica dal tribunale di Rovigo: viene condannata a quattro mesi di reclusione, ridotti a due per il rito alternativo, infine sostituiti dalla multa di 4.500 euro. La cinquantaseienne annuncia ricorso: «Io, casalinga senza alcun precedente, mi ritrovo con la fedina penale sporca solo per aver aiutato una persona. È indegno. Dovevo forse lasciarlo ferito in strada? Di fronte a un’urgenza del genere, c’è poco da ragionare».Eh no, signora nostra. Mica si vorrà ribellare alla zelante pedanteria dei formalisti. In questi due anni, gli uffici complicazioni affari semplici hanno dato il meglio del meglio. Mentre veniva colta in flagrante ad aiutare quel motociclista, la stradale di Livorno puniva ad esempio un’intera famiglia diretta all’ospedale di Pisa: per un controllo alla figlia di otto anni, dopo un trapianto di midollo osseo. Motivi di salute non così urgenti da evitare una multa da 530 euro. Alla solerte Maristella tocca allora ricordare che persino un’infermiera senza patente dell’ospedale di Genova è stata sanzionata assieme al consorte, reo di essere andato a prenderla a fine turno. Lei tapina: voleva evitare di prendere mezzi pubblici, per esporsi al contagio. Provi pure a rimuginare, la cinquantaseienne di Ospedaletto Euganeo, sulla disavventura dell’anziana romana che, su una panchina del Testaccio, aspettava che la fila del supermercato s’accorciasse. «Che fa, sta seduta?», la assalta l’agente. Verbale da 280 euro. Cerchi magari di trovare conforto, la soccorritrice stradale quarantenata, nella disavventura del prete di Rocca Imperiale, nel Cosentino: per evitare contatti con i fedeli, portava da solo in processione il Cristo in croce. Mattana costata ben 400 euro. Alla multatissima casalinga corsa nel fossato, va ricordato inoltre che anche Giuseppe Sciaboni, 70 anni, ex ortopedico, è stato ingenerosamente punito. Eppure, in quel di Villa Minozzo, nel Reggiano, era uscito di casa solo per comprare giornale e mascherine. Ma come si fa a credere a un pensionato che decide di tornare in corsia per curare i colpiti dal virus? Infingardo. Paghi 373 euro, grazie. E la disabile fermata a Nuoro, assieme al consorte, davanti al market? Ma a chi vogliono darla a bere? I due felloni allunghino 900 euro, piuttosto. O il baldo ragazzotto di Bologna, che ha avuto la brillante idea di andare a far la spesa in skateboard. Ma dove andremo a finire, signora mia. La legge al tempo del Covid è chiara: non è un mezzo consono per rifornirsi di derrate alimentari. Cinquecentotretatrè euro giovanotto. E ringrazia il cielo: poteva andare peggio. Già, Maristella si consoli. È solo l’ultima vittima dei tediosi burocrati. La prossima volta, prima di soccorrere un centauro ferito, si faccia almeno il tampone rapido.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/durante-la-quarantena-aiutare-i-feriti-e-reato-2656442061.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="parrucchiere-rimborsa-il-tampone-per-non-perdere-i-clienti-senza-pass" data-post-id="2656442061" data-published-at="1642710686" data-use-pagination="False"> Parrucchiere rimborsa il tampone per non perdere i clienti senza pass Ci sono dei lavoratori che, pur di resistere alla crisi economica e ai decreti imposti dal governo per quanto riguarda il Covid, si accollano personalmente le spese che dovrebbe sostenere lo Stato. È il caso di un salone di bellezza in Toscana, a Prato, il Be2HairLab, dove i titolari, Francesco La Marca e Valentina Falchi, hanno deciso di pagare i tamponi antigenici a tutti i clienti senza green pass, dopo l’obbligatorietà, entrata in vigore ieri, 20 gennaio, del certificato verde anche per andare dal parrucchiere. Verranno rimborsati, infatti, tutti i test rapidi eseguiti nelle farmacie o in altre strutture competenti, per un massimo di 15 euro, a tutti coloro che si presenteranno al salone. Per adesso la scelta è quella di proseguire fino al 28 febbraio, per poi capire se continuare in questa direzione. «Abbiamo fatto questa scelta per non discriminare nessuno e per arginare l’abusivismo che nel nostro settore dilaga», spiega La Marca, «ma soprattutto ci siamo sentiti di prendere questa decisione per non perdere i nostri clienti e per garantire loro un servizio più sicuro». Pagare di propria tasca le decisioni governative imposte: di questo si tratta. Il Be2Hair Lab di Prato è infatti l’esempio lampante di una categoria, fra le tante, completamente abbandonata a sé stessa e costretta a fare i conti sulla propria pelle e sulle entrate a fine mese. Un onere che non spetterebbe sicuramente a loro: il paradosso di dover «pagare» i propri clienti per non perderli. Una beffa spaventosa ma che, purtroppo, rispecchia i giorni che stiamo vivendo, nonché la diretta conseguenza di una grave assenza di tutela nei confronti dei lavoratori da parte delle istituzioni. «Sicuramente il nostro settore è stato tutelato pochissimo fin dall’inizio della pandemia e le conseguenze in termini economici per noi sono state tremende - continua il titolare - ma, anche se siamo consapevoli che non spetterebbe a noi intervenire in questo senso, abbiamo comunque preso questa decisione». È quasi surreale che gli stessi titolari degli esercizi commerciali siano costretti a tutelare non solo i propri diritti, ma anche quelli dei propri clienti, ma, nel caos istituzionale in cui viviamo, quella che sembra una follia può diventare l’unica alternativa possibile per non affogare. «Non neghiamo che lo sforzo economico è notevole ma, le condizioni che abbiamo deciso per intraprendere questo percorso ci fanno ben sperare di poter rientrare economicamente, garantendo a tutti i nostri clienti la sicurezza, senza giudicare nessuno per delle scelte private che riguardano solo ed esclusivamente la salute personale». Il rimborso avviene infatti su una spesa minima di 50 euro e per riceverlo basta prenotare un appuntamento con un po’ di anticipo in modo da garantirsi un tampone antigenico nelle 48 ore precedenti. Una volta ottenuto l’esito negativo e presentandosi alla cassa con esso e con lo scontrino, il costo del test verrà scalato dal conto. «Arrangiarsi da soli e contrastare l’abusivismo: questi sono i motivi che ci hanno spinto in questa direzione. Abbiamo deciso di provare a trovare il modo di andare avanti da soli, senza l’aiuto di nessuno», conclude La Marca. Un aiuto, quello di cui parla il titolare, che - nonostante le grandi orazioni nei palazzi del potere - non arriva e non è mai arrivato, costringendo così le persone e i lavoratori ad escogitare escamotage per non sprofondare nel dimenticatoio di un’Italia che sembra sempre più staccata dalla quotidianità dei suoi cittadini.
Ansa
L’accordo è stato siglato con Certares, fondo statunitense specializzato nel turismo e nei viaggi, nome ben noto nel settore per American express global business travel e per una rete di partecipazioni che abbraccia distribuzione, servizi e tecnologia legata alla mobilità globale. Il piano è robusto: una joint venture e investimenti complessivi per circa un miliardo di euro tra Francia e Regno Unito.
Il primo terreno di gioco è Trenitalia France, la controllata con sede a Parigi che negli ultimi anni ha dimostrato come la concorrenza sui binari francesi non sia più un tabù. Oggi opera nell’Alta velocità sulle tratte Parigi-Lione e Parigi-Marsiglia, oltre al collegamento internazionale Parigi-Milano. Dal debutto ha trasportato oltre 4,7 milioni di passeggeri, ritagliandosi il ruolo di secondo operatore nel mercato francese. A dominarlo il monopolio storico di Sncf il cui Tgv è stato il primo treno super-veloce in Europa. Intaccarne il primato richiede investimenti e impegno. Il nuovo capitale messo sul tavolo servirà a consolidare la presenza di Fs non solo in Francia, ma anche nei mercati transfrontalieri. Il progetto prevede l’ampliamento della flotta fino a 19 treni, aumento delle frequenze - sulla Parigi-Lione si arriverà a 28 corse giornaliere - e la realizzazione di un nuovo impianto di manutenzione nell’area parigina. A questo si aggiunge la creazione di centinaia di nuovi posti di lavoro e il rafforzamento degli investimenti in tecnologia, brand e marketing. Ma il vero orizzonte strategico è oltre il Canale della Manica. La partnership punta infatti all’ingresso sulla rotta Parigi-Londra entro il 2029, un corridoio simbolico e ad altissimo traffico, finora appannaggio quasi esclusivo dell’Eurostar. Portare l’Alta velocità italiana su quella linea significa non solo competere su prezzi e servizi, ma anche ridisegnare la geografia dei viaggi europei, offrendo un’alternativa all’aereo.
In questo disegno Certares gioca un ruolo chiave. Il fondo americano non si limita a investire capitale, ma mette a disposizione la rete di distribuzione e le società in portafoglio per favorire la transizione dei clienti business verso il treno ad Alta velocità. Parallelamente, l’accordo guarda anche ad altro. Trenitalia France e Certares intendono promuovere itinerari integrati che includano il treno, semplificare gli strumenti di prenotazione e spingere milioni di viaggiatori a scegliere la ferrovia come modalità di trasporto preferita, soprattutto sulle medie distanze. L’operazione si inserisce nel piano strategico 2025-2029 del gruppo Fs, che punta su una crescita internazionale accelerata attraverso alleanze con partner finanziari e industriali di primo piano. Sarà centrale Fs International, la divisione che si occupa delle attività passeggeri fuori dall’Italia. Oggi vale circa 3 miliardi di euro di fatturato e conta su 12.000 dipendenti.
L’obiettivo, come spiega un comunicato del gruppo, combinare l’eccellenza operativa di Fs e di Trenitalia France con la potenza commerciale e distributiva globale di Certares per trasformare la Francia, il corridoio Parigi-Londra e i futuri mercati della joint venture in una vetrina del trasporto europeo. Un’Europa che viaggia veloce, sempre più su rotaia, e che riscopre il treno non come nostalgia del passato, ma come infrastruttura del futuro.
Continua a leggereRiduci
Brigitte Bardot guarda Gunter Sachs (Ansa)
Ora che è morta, la destra la vorrebbe ricordare. Ma non perché in passato aveva detto di votare il Front National. Semplicemente perché la Bardot è stata un simbolo della Francia, come ha chiesto Eric Ciotti, del Rassemblement National, a Emmanuel Macron. Una proposta scontata, alla quale però hanno risposto negativamente i socialisti. Su X, infatti, Olivier Faure ha scritto: «Gli omaggi nazionali vengono organizzati per servizi eccezionali resi alla Nazione. Brigitte Bardot è stata un'attrice emblematica della Nouvelle Vague. Solare, ha segnato il cinema francese. Ma ha anche voltato le spalle ai valori repubblicani ed è stata pluri-condannata dalla giustizia per razzismo». Un po’ come se esser stata la più importante attrice degli anni Cinquanta e Sessanta passasse in secondo piano a causa delle sue scelte politiche. Come se BB, per le sue idee, non facesse più parte di quella Francia che aveva portato al centro del mondo. Non solo nel cinema. Ma anche nel turismo. Fu grazie a lei che la spiaggia di Saint Tropez divenne di moda. Le sue immagini, nuda sulla riva, finirono sulle copertine delle riviste più importanti dell’epoca. E fecero sì che, ricchi e meno ricchi, raggiungessero quel mare limpido e selvaggio nella speranza di poterla incontrare. Tra loro anche Gigi Rizzi, che faceva parte di quel gruppo di italiani in cerca di belle donne e fortuna sulla spiaggia di Saint Tropez. Un amore estivo, che però lo rese immortale.
È vero: BB era di destra. Era una femmina che non poteva essere femminista. Avrebbe tradito sé stessa se lo avesse fatto. Del resto, disse: «Il femminismo non è il mio genere. A me piacciono gli uomini». Impossibile aggiungere altro.
Se non il dispiacere nel vedere una certa Francia voltarle le spalle. Ancora una volta. Quella stessa Francia che ha dimenticato sé stessa e che ha perso la propria identità. Quella Francia che oggi vuole dimenticare chi, Brigitte Bardot, le ricordava che cosa avrebbe potuto essere. Una Francia dei francesi. Una Francia certamente capace di accogliere, ma senza perdere la propria identità. Era questo che chiedeva BB, massacrata da morta sui giornali di sinistra, vedi Liberation, che titolano Brigitte Bardot, la discesa verso l'odio razziale.
Forse, nelle sue lettere contro l’islamizzazione, BB odiò davvero. Chi lo sa. Di certo amò la Francia, che incarnò. Nel 1956, proprio mentre la Bardot riempiva i cinema mondiali, Édith Piaf scrisse Non, je ne regrette rien (no, non mi pento di nulla). Lo fece per i legionari che combattevano la guerra d’Algeria. Una guerra che oggi i socialisti definirebbero colonialista. Quelle parole di gioia possono essere il testamento spirituale di BB. Che visse, senza rimpiangere nulla. Vivendo in un eterno presente. Mangiando la vita a morsi. Sparendo dalla scena. Ora per sempre.
Continua a leggereRiduci
«Gigolò per caso» (Amazon Prime Video)
Un infarto, però, lo aveva costretto ad una lunga degenza e, insieme, ad uno stop professionale. Stop che non avrebbe potuto permettersi, indebitato com'era con un orologiaio affatto mite. Così, pur sapendo che avrebbe incontrato la riprova del figlio, già inviperito con suo padre, Giacomo aveva deciso di chiedergli una mano. Una sostituzione, il favore di frequentare le sue clienti abituali, consentendogli con ciò un'adeguata ripresa. La prima stagione della serie televisiva era passata, perciò, dalla rabbia allo stupore, per trovare, infine, il divertimento e una strana armonia. La seconda, intitolata La sex gurue pronta a debuttare su Amazon Prime video venerdì 2 gennaio, dovrebbe fare altrettanto, risparmiandosi però la fase della rabbia. Alfonso, cioè, è ormai a suo agio nel ruolo di gigolò. Non solo. La strana alleanza professionale, arrivata in un momento topico della sua vita, quello della crisi con la moglie Margherita, gli ha consentito di recuperare il rapporto con il padre, che credeva irrimediabilmente compromesso. Si diverte, quasi, a frequentare le sue clienti sgallettate. Peccato solo l'arrivo di Rossana Astri, il volto di Sabrina Ferilli. La donna è una fra le più celebri guru del nuovo femminismo, determinata ad indottrinare le sue simili perché si convincano sia giusto fare a meno degli uomini. Ed è questa convinzione che muove anche Margherita, moglie in crisi di Alfonso. Margherita, interpretata da Ambra Angiolini, diventa un'adepta della Astri, una sua fedele scudiera. Quasi, si scopre ad odiarli, gli uomini, dando vita ad una sorta di guerra tra sessi. Divertita, però. E capace, pure di far emergere le abissali differenze tra il maschile e il femminile, i desideri degli uni e le aspettative, quasi mai soddisfatte, delle altre.
Continua a leggereRiduci
iStock
La nuova applicazione, in parte accessibile anche ai non clienti, introduce servizi innovativi come un assistente virtuale basato su Intelligenza artificiale, attivo 24 ore su 24, e uno screening audiometrico effettuabile direttamente dallo smartphone. L’obiettivo è duplice: migliorare la qualità del servizio clienti e promuovere una maggiore consapevolezza dell’importanza della prevenzione uditiva, riducendo le barriere all’accesso ai controlli iniziali.
Il lancio avviene in un contesto complesso per il settore. Nei primi nove mesi dell’anno Amplifon ha registrato una crescita dei ricavi dell’1,8% a cambi costanti, ma il titolo ha risentito dell’andamento negativo che ha colpito in Borsa i principali operatori del comparto. Lo sguardo di lungo periodo restituisce però un quadro diverso: negli ultimi dieci anni il titolo Amplifon ha segnato un incremento dell’80% (ieri +0,7% fra i migliori cinque del Ftse Mib), al netto dei dividendi distribuiti, che complessivamente sfiorano i 450 milioni di euro. Nello stesso arco temporale, tra il 2014 e il 2024, il gruppo ha triplicato i ricavi, arrivando a circa 2,4 miliardi di euro.
Il progetto della nuova app è stato sviluppato da Amplifon X, la divisione di ricerca e sviluppo del gruppo. Con sedi a Milano e Napoli, Amplifon X riunisce circa 50 professionisti tra sviluppatori, data analyst e designer, impegnati nella creazione di soluzioni digitali avanzate per l’audiologia. L’Intelligenza artificiale rappresenta uno dei pilastri di questa strategia, applicata non solo alla diagnosi e al supporto al paziente, ma anche alla gestione delle esigenze quotidiane legate all’uso degli apparecchi acustici.
Accanto alla tecnologia, resta centrale il ruolo degli audioprotesisti, figure chiave per Amplifon. Le competenze tecniche ed empatiche degli specialisti della salute dell’udito continuano a essere considerate un elemento insostituibile del modello di servizio, con il digitale pensato come strumento di supporto e integrazione, non come sostituzione del rapporto umano.
Fondato a Milano nel 1950, il gruppo Amplifon opera oggi in 26 Paesi con oltre 10.000 centri audiologici, impiegando più di 20.000 persone. La prevenzione e l’assistenza rappresentano i cardini della strategia industriale, e la nuova Amplifon App si inserisce in questa visione come leva per ampliare l’accesso ai servizi e rafforzare la relazione con i pazienti lungo tutto il ciclo di cura.
Il rilascio della nuova applicazione è avvenuto in modo progressivo. Dopo il debutto in Francia, Nuova Zelanda, Portogallo e Stati Uniti, la app è stata estesa ad Australia, Belgio, Germania, Italia, Olanda, Regno Unito, Spagna e Svizzera, con l’obiettivo di garantire un’esperienza digitale omogenea nei principali mercati del gruppo.
Ma l’innovazione digitale di Amplifon non si ferma all’app. Negli ultimi anni il gruppo ha sviluppato soluzioni come gli audiometri digitali OtoPad e OtoKiosk, certificati Ce e Fda, e i nuovi apparecchi Ampli-Mini Ai, miniaturizzati, ricaricabili e in grado di adattarsi in tempo reale all’ambiente sonoro. Entro la fine del 2025 è inoltre previsto il lancio in Cina di Amplifon Product Experience (Ape), la linea di prodotti a marchio Amplifon già introdotta in Argentina e Cile e oggi presente in 15 dei 26 Paesi in cui il gruppo opera.
Già per Natale il gruppo aveva lanciato la speciale campagna globale The Wish (Il regalo perfetto) Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, oggi nel mondo circa 1,5 miliardi di persone convivono con una forma di perdita uditiva (o ipoacusia) e il loro numero è destinato a salire a 2,5 miliardi nel 2050.
Continua a leggereRiduci