2019-10-01
Dubbi sul consenso e disabili soppressi. L’eutanasia nell’Ue somiglia all’omicidio
L'Italia sarà il quarto Paese dell'Unione a legalizzare il suicidio assistito, che in altri Stati è diventato eliminazione dei più deboli.L'abbiamo già detto tante volte, ma non sarà mai abbastanza: la legalizzazione di eutanasia e aiuto al suicidio apre scenari socialmente pericolosi e difficilmente controllabili. Pericolosi soprattutto per le persone più fragili e vulnerabili, come dimostrato dai dati che ci provengono dai Paesi che «vantano» una tragica esperienza in pratiche di morte provocata.Quante volte siamo assordati dallo slogan «Guardiamo all'Europa», come una sorta di divinità da cui attingere modelli di società civile che la nostra Italia se li sogna! Bene, dunque: guardiamo all'Europa, proprio in tema di eutanasia. E scopriamo che i soli Paesi europei che hanno legalizzato l'eutanasia attiva (esattamente quella che propone la senatrice pd Monica Cirinnà, in buona compagnia di esponenti Leu, M5s, Italia viva: la somministrazione diretta del farmaco letale) sono i Paesi Bassi, mentre il suicidio assistito è legale in Finlandia, Germania, Austria (e Svizzera, che non fa parte dell'Ue). Sono 22 gli Stati Ue che non consentono nessuna delle due pratiche! Purtroppo, la legge 219/17 ha aperto la strada all'intervento eutanasico e ora la Consulta - proprio sulla china inaugurata da quella pessima legge, veicolata alla pubblica opinione con l'inganno che si trattava di una legge di «tutela» del malato, ma che di fatto ha inaugurato il pendio scivoloso verso la soppressione dei più deboli - fa un altro brutto passo in avanti a favore dell'aiuto al suicidio. E il nostro Paese, patria del diritto e della civiltà quando attorno a noi dominava la legge del taglione e la barbarie, si avvia a conquistare il vergognoso quarto posto in Europa. Ciò detto, guardiamo all'Europa, appunto, e scopriamo l'esistenza di un quadro desolante e pericoloso, ben diverso da quell'idilliaco Paese dei «diritti civili» le cui lodi dobbiamo ogni giorno sopportare. Nell'ottobre 2017, la prestigiosa rivista internazionale British medical journal ha pubblicato un lavoro in cui si dimostra che in Olanda si sta progressivamente passando dalla morte assistita volontaria alla morte assistita involontaria, e nel 31% dei casi si sono registrate violazioni degli stessi criteri sostanziali che regolano l'atto eutanasico. Primo fra tutti: la volontarietà della richiesta dell'atto stesso. Ne siamo sbalorditi? Nient'affatto. Perché siamo tenacemente convinti che di fronte alla difesa della vita, vale il «criterio diga»: apri uno spiraglio, togli un mattone, crea una crepa, e tutto si sfascia! Qualche dettaglio in più: nel 13% dei casi non è stata accertata la volontarietà della richiesta; nel 19% dei casi non è stata accertata l'effettiva insopportabilità della sofferenza come la legge richiede; nel 22% dei casi non si è neppure tentato di proporre un'alternativa (medicina palliativa). Inoltre, lo studio riporta che numerosi casi non hanno visto il coinvolgimento nella decisione di medici indipendenti (come richiesto per legge), e il paziente è stato valutato solo da personale medico appartenente alle associazioni pro eutanasia. Con esito scontato. Gli autori dello studio concludono sollevando la delicatissima questione della «tutela adeguata dei pazienti particolarmente vulnerabili (psichiatrici e incapaci)». Lo studio dimostra che di fatto la «morte assistita liberale» - liberamente (sic!) scelta - si traduce molto presto in «morte assistita illiberale», autoritaria e di Stato. Qualche numero non guasta. In Olanda, 2006-2016, eutanasia e suicidio assistito hanno avuto un incremento del 317%, per problemi psichici (quindi non malattie oncologiche!) del 32%. Nel 2018, siamo al 4,4% delle morti. E, ancora più grave, le eutanasie «senza richiesta» si aggirano attorno all'1-4% di quelle praticate. Vere «eutanasie di Stato», proprio come Charlie Gard e Alfie Evans. Al di là delle chiacchiere, questi fatti dimostrano come la legalizzazione dell'eutanasia volontaria/aiuto al suicidio apra tragicamente la strada alla legalizzazione senza o contro volontà. Nel 1997, la Corte suprema degli Usa - nel caso Washington vs Glucksberg - negò perentoriamente l'esistenza di un «diritto di morire», motivando che «qualora fosse stato riconosciuto si sarebbe stravolta l'integrità etica della professione medica e, soprattutto, sarebbe stata gravemente diminuita la tutela dei diritti fondamentali dei soggetti più vulnerabili, minori, anziani, disabili, poveri». Torniamo al buon senso e aiutiamo i medici a fare i medici, servitori della vita. Non della morte.
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