2022-05-12
Draghi svolta sul gas: «Paghiamo in rubli»
Mario Draghi (Imagoeconomica)
l premier in Usa non indossa l’elmetto: «Putin non può più vincere, è tempo di costruire la pace, lui e Washington devono mettersi al tavolo». Divergenze sull’energia: «Biden preferisce il tetto al petrolio».Bisogna urgentemente rilanciare i negoziati. È questo, in estrema sintesi, il succo della conferenza stampa che Mario Draghi ha tenuto ieri presso l’ambasciata italiana a Washington, poco prima di recarsi al Congresso, per incontrare la speaker della Camera Nancy Pelosi. Il nostro premier ha sottolineato la forza delle relazioni tra Ue e Stati Uniti, pur non mancando di lasciar trasparire alcuni punti di non totale allineamento alla posizione (attualmente piuttosto battagliera) di Joe Biden. «Voglio ringraziare il presidente Biden e tutta l’amministrazione Usa per l’accoglienza splendida. L’incontro è andato molto bene, ha ringraziato l’Italia per essere un partner forte, un alleato affidabile e un interlocutore credibile e io l’ho ringraziato per il ruolo di leadership in questa crisi e la grande collaborazione con tutti gli alleati», ha esordito Draghi, riferendosi al faccia a faccia avuto con il presidente americano l’altro ieri. Il premier ha inoltre sottolineato la piena concordanza con la Casa Bianca nel sostegno a Kiev, registrando tuttavia al contempo come le difficoltà militari dei russi sul campo possano gettare le basi per un rilancio dei negoziati. «La guerra ha cambiato fisionomia: inizialmente si pensava ci fosse un Golia e un Davide», ha affermato Draghi. «Oggi il panorama si è capovolto: quella che sembrava una potenza invincibile si è dimostrata una potenza non invincibile con le armi convenzionali. Questo porta tutte le parti a riflettere sugli obiettivi della guerra e che tipo di pace si vuole. Prima di arrivare a questo punto, serve che ci si sieda tutti intorno a un tavolo, anche Stati Uniti e Russia. Bisogna sforzarsi per portare le parti intorno a un tavolo», ha aggiunto. Un concetto, questo, più volte ribadito nel corso della conferenza stampa. «All’inizio della guerra in Parlamento si diceva in l’Italia che dovevamo avere un ruolo, io risposi che non bisogna cercare un ruolo, bisogna cercare la pace, chiunque siano le persone coinvolte l’importante è che cerchino la pace, non affermazioni di parte. Non bisogna cercare di vincere, la vittoria poi non è definita: per l’Ucraina significa respingere l’invasione ma per gli altri?», ha affermato. In particolare, secondo Draghi, la pace non può essere imposta all’Ucraina né dall’Unione europea né dalla Russia né dagli Stati Uniti. In tal senso, il premier ha sostenuto che i colloqui tra le parti dovrebbero essere rilanciati, partendo da una problematica molto concreta: per Draghi, lo sblocco dei porti e del grano ucraino potrebbe infatti rivelarsi «un primo esempio di dialogo tra le due parti per salvare decine di milioni di persone nei Paesi più poveri». In tutto questo, pur ammettendo che i tempi per un incontro tra Biden e Vladimir Putin non sono ancora maturi, Draghi si è mostrato ottimista sulla possibilità di alcuni passi avanti nel processo diplomatico. Con Biden «abbiamo condiviso l’esigenza di sbloccare i porti e occorrerà collaborazione da entrambe le parti. I contatti devono essere riavviati, intensificati a tutti i livelli. Bisogna essere capaci non di dimenticare perché è impossibile, ma di guardare al futuro». La domanda che è aleggiata durante la conferenza stampa è se Draghi possa essere la figura di riferimento per mettere in moto questo rilancio diplomatico. A tal proposito, il premier ha nicchiato, sostenendo che lo sforzo dovrà essere collettivo. Non è tuttavia escluso che nutra in realtà questa ambizione, preferendo mettere per il momento le mani avanti, in attesa di capire se la Casa Bianca deciderà o meno di seguire concretamente la linea da lui auspicata. In questo senso, è apparso molto significativo un passaggio della conferenza stampa, quando il premier si è detto scettico sull’opportunità di espellere la Russia dai consessi internazionali, sostenendo che una simile strategia rischia di isolare l’Occidente (e di spingere tra l’altro Mosca sempre più tra le braccia di Pechino). Parole pesanti, soprattutto se dette a Washington. Ricordiamo infatti che la Casa Bianca aveva chiesto di non invitare Mosca al G20. La domanda è sempre la stessa: Biden sceglierà di seguire Draghi in questo tentativo distensivo o resterà invece ancorato alla linea severa di Londra e Varsavia? Al momento è presto per rispondere, anche perché, dall’inizio dell’invasione russa, il presidente americano si è spesso contraddistinto per un atteggiamento contraddittorio. Va tuttavia registrato che proprio ieri si è tenuto un colloquio tra l’ambasciatore americano a Mosca, John Sullivan, e il viceministro degli Esteri russo, Sergei Ryabkov. Si tratta di un primo segnale distensivo legato alla «dottrina Draghi»? O è un semplice caso? Leggendo tra le righe, scarso feeling tra il presidente americano e il premier sembra essersi registrato sulla questione energetica. «Ho ricordato a Biden il tema della possibilità di mettere un tetto al prezzo del gas, ipotesi accolta con favore, anche se l’amministrazione Usa sta riflettendo più su un tetto al prezzo petrolio che su gas, si è deciso che ne riparleremo presto insieme», ha detto Draghi. «Nessuno ha mai detto niente se i pagamenti in rubli violano le sanzioni, è una zona così grigia. Il più grande importatore di gas in Germania ha già pagato in rubli e la maggior parte degli importatori ha aperto i conti in rubli», ha anche dichiarato. Sull’economia italiana, invece, il premier si è voluto sbilanciare (forse troppo): «A oggi non vedo una recessione quest’anno», ha detto, perché «abbiamo chiuso l’anno scorso molto molto bene e ci portiamo dietro una crescita acquisita. È una situazione di grande incertezza ma non possiamo dire che andrà al peggio per tutta l’economia».Nella conferenza stampa di ieri non è emerso significativamente il tema libico. Sarebbe interessante capire se Biden e Draghi abbiano discusso di un rafforzamento del fianco meridionale della Nato e di una stabilizzazione del Paese: un fattore, che rilancerebbe la leadership mediterranea di Roma e sarebbe d’aiuto nella crisi ucraina.