2022-05-04
Da Draghi al Copasir che fastidio la libertà di stampa
Sergej Lavrov (Getty images)
Il premier si è trasformato in falco per quando lascerà Palazzo Chigi. Ha bacchettato l’intervista a Sergej Lavrov, ma anche molti leader della sua maggioranza pretendono di partecipare ai dibattiti tv senza contraddittorio.«Un’Europa forte è una Nato forte», per questo bisogna «rendere la spesa militare più efficiente». Parlando davanti al Parlamento europeo, Mario Draghi si è calato nella parte di segretario generale dell’Alleanza atlantica, incarico a cui pare destinato appena, nella primavera del prossimo anno, lascerà la poltrona di Palazzo Chigi. In effetti, se questo è l’obiettivo, si capiscono alcuni toni usati da quando la Russia ha invaso l’Ucraina. Da colomba, sempre pronto a misurare le parole, il presidente del Consiglio si è rapidamente trasformato in falco, scavalcato in Europa solo da Boris Johnson, ma la cui determinazione tuttavia si spiega con la voglia di far dimenticare lo scandalo dei party durante il lockdown. Draghi no, non ha scandali da nascondere, semmai solo ambizioni da esplicitare. E in effetti, a Strasburgo ha dimostrato una straordinaria competenza in materia di Difesa, proponendo di convocare una conferenza della Ue per discutere il progetto di un esercito comune. «Noi spendiamo tre volte, ma abbiamo 146 sistemi di difesa diversi, mentre gli Stati Uniti ne hanno 34. È una distribuzione altamente inefficiente e una conferenza avrebbe il compito in primo luogo di razionalizzare e ottimizzare gli investimenti».Insomma, il premier sta scaldando i muscoli e da decisionista qual è ha pure invitato a riformare la Ue, superando «il principio delle decisioni all’unanimità». Se dunque è chiara la ragione per cui da due mesi abbia messo l’elmetto, si fa invece fatica a comprendere perché l’altra sera, durante la conferenza stampa dedicata alle misure economiche, abbia sentito l’urgenza di impartire una lezione di deontologia giornalistica. A proposito della famosa intervista al ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, il premier si è lasciato andare a giudizi che certo non gli competono, parlando di un comizio senza contraddittorio. «Dal punto di vista professionale e giornalistico non un granché e fa venire in mente strane idee». Non so a quali idee alludesse, anche perché nessuno tra i cronisti presenti ha sentito il bisogno di chiedergli lumi. Tuttavia vorrei informarlo che la maggior parte dei leader dei partiti che compongono la sua maggioranza non solo pretende di partecipare a dibattiti tv senza contraddittorio (infatti si sottopongono esclusivamente a interviste da soli), ma quasi sempre esigono di conoscere in anticipo gli argomenti e le domande. Dunque non c’è proprio da menare un gran vanto della libertà di stampa dell’Italia, al contrario di ciò che Draghi ha fatto l’altra sera.Ma se il premier pare aver voglia di mettere il naso nella conduzione delle interviste, due componenti del Copasir, ovvero del comitato parlamentare che vigila sui servizi segreti, addirittura desiderano convocare i giornalisti per chiedere conto di come svolgono il proprio lavoro e perché invitino un tizio piuttosto che un altro nelle loro trasmissioni. Cosa c’entrino il Copasir e gli 007 con i talk show, quale sia la minaccia alla nazione o l’operazione di spionaggio da scoprire, non mi è chiaro. In compenso, mi pare evidente che Enrico Borghi (Pd) ed Elio Vito (Forza Italia) vogliano scatenare una caccia alle streghe, mettendo sull’avviso la categoria a cui appartengo. Il senso è palese: occhio, qui non si scherza, siamo in guerra e pure i giornalisti devono arruolarsi. Sì, ci vorrebbero tutti armati. Non di moschetto e neppure di elmetto, ma pronti a intrupparci nello stile bellico che si conviene al momento. Avere dubbi, ripetere che questa è una guerra fra America e Russia, che le due superpotenze sono decise a combattere fino all’ultimo ucraino, e che noi non dovremmo armare Kiev, ma disarmare, può essere ritenuto un pensiero disfattista. Non siamo ancora alla corte marziale, ma di questo passo, con certi bellimbusti pronti a combattere dalla loro poltrona di onorevole, ci potremmo arrivare. Si comincia a mettere i paletti su come si conducono le interviste e su quali persone si possano invitare, compilando il decalogo del buon giornalista, e si finisce con le audizioni. Che poi, davanti al Copasir, sono interrogatori. Eh sì, è la libertà di stampa bellezza. Del resto, qualche tempo fa, in piena pandemia, quel fine democratico del senatore a vita Mario Monti, disse che bisognava mettere la mordacchia alla stampa come in tempo di guerra. Adesso in guerra ci siamo e la mordacchia si avvicina.