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2022-02-27
Draghi isola Berlino sulle sanzioni: si tratta sull’uscita di Mosca dallo Swift
Mario Draghi (Ansa)
«La Germania è pronta ad accettare una restrizione mirata dell’accesso della Russia a Swift»: sono le 17.55 di ieri sera quando il ministro degli Esteri della Germania, Annalena Baerbock, e il ministro dell’Economia, Robert Habeck, annunciano il dietrofront di Berlino, che fino ad ora si era opposto alla sanzione più pesante nei confronti della Russia, ovvero la disconnessione di Mosca dal sistema di codificazione bancaria globale. «Stiamo lavorando», aggiungono la Barbock e Habeck, «per trovare il modo di limitare i danni collaterali di una disconnessione da Swift. Ciò di cui abbiamo bisogno è una restrizione mirata e funzionale». Una notizia dagli effetti dirompenti, ma per certi versi ormai inevitabile, considerato che le mosse del governo italiano guidato da Mario Draghi, hanno isolato la Germania di Olaf Scholz, fino a quel momento rigida sulla posizione del «no» all’esclusione della Russia da Swift. Certo, Berlino parla di «restrizioni mirate», formula che potrebbe voler dire che si troverà il modo per tenere al riparo le transazioni economiche per le forniture di gas, ma il segnale politico è fondamentale. Scholz annuncia anche la fornitura di armi all’Ucraina: «Mille armi anticarro e 500 missili Stinger», precisa il cancelliere tedesco su Twitter. Draghi dunque, in costante contatto con il capo dello Stato, Sergio Mattarella, sblocca l’impasse in cui si trova l’Occidente, a causa dei balbettamenti di alcuni Stati, Germania in testa, sull’utilizzo della «madre di tutte le sanzioni». La svolta italiana arriva ieri mattina, quando Draghi sente al telefono, dopo i malintesi dell’altro ieri, il presidente ucraino, Volodimir Zelensky.
«Il presidente del Consiglio Mario Draghi», fa sapere attraverso una nota Palazzo Chigi, «ha telefonato al presidente dell’Ucraina, Volodimir Zelensky, per esprimere a lui e al popolo ucraino la solidarietà e vicinanza dell’Italia di fronte all’attacco della Federazione russa. Il presidente Zelensky ha confermato il chiarimento totale del malinteso di comunicazioni avvenuto ieri e ha ringraziato il presidente Draghi per il suo sostegno e per la forte vicinanza e amicizia tra i due popoli. Il presidente Draghi ha ribadito al presidente Zelensky», prosegue la nota della presidenza del Consiglio, «che l’Italia appoggia e appoggerà in pieno la linea dell’Unione Europea sulle sanzioni alla Russia, incluse quelle nell’ambito Swift. Il presidente ha detto che l’Italia fornirà all’Ucraina assistenza per difendersi. I due presidenti hanno concordato di restare in stretto contatto nell’immediato futuro». Da notare che appena 24 opre prima il ministro dell’Economia, Daniele Franco, aveva avvertito che escludere la Russia dallo Swift sarebbe stato un problema per le forniture di gas all’Italia.
Immediata la reazione, inevitabilmente soddisfatta, di Zelensky: «Questo», twitta il leader ucraino, «è l’inizio di una nuova pagina nella storia dei nostri Stati, Ucraina e Italia. L’Ucraina deve entrare a far parte dell’Ue». L’Italia, nell’ambito delle azioni della Nato sulla guerra in Ucraina, ha anche decretato un pacchetto di misure relative «al rafforzamento della postura militare, a fronte della grave situazione di crisi in atto. In particolare», spiega Palazzo Chigi, «al fine sia di rassicurare gli alleati più esposti sul fianco est dell’Alleanza, che di svolgere un’azione di deterrenza nei confronti della Russia».
In particolare, su proposta del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, e del ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, è stata disposta una presenza avanzata e rafforzata in Lettonia (enhanced forward presence), attraverso l’impiego del numero massimo di 250 unità di personale e 139 mezzi terrestri; un dispositivo per la sorveglianza aerea attraverso attività di Air Policing, che prevede l’impiego del numero massimo di 130 unità di personale e di 12 mezzi aerei, attualmente dislocati in Romania, e attività di pattugliamento aereo nell’ambito delle misure di rassicurazione degli alleati nel fianco est, attraverso 2 mezzi aerei (un rifornitore e un mezzo per raccolta dati); un dispositivo per la sorveglianza navale e attività di raccolta dati nell’area sud dell’Alleanza (Mediterraneo orientale e Mar Nero), attraverso l’impiego del numero massimo di 235 unità di personale, due mezzi navali e di uno ulteriore, secondo necessità, e di un mezzo aereo; la mobilitazione di ulteriori forze ad alta prontezza, denominate «Very high readiness joint task force-Vjtf», fino al 30 settembre 2022, attraverso l’impiego di 1350 unità, 77 mezzi terrestri, 2 mezzi navali (a partire dal secondo semestre 2022) e 5 mezzi aerei. La consistenza massima per lo svolgimento di tali missioni è pari a 1.970 unità.
Il decreto prevede anche la cessione alle autorità governative dell’Ucraina, a titolo gratuito, di mezzi e materiali di equipaggiamento militari non letali, rendendo disponibili equipaggiamenti per la protezione individuale per i militari ucraini e materiali per lo sminamento umanitario a favore della popolazione civile.
Le nostre banche rischiano un salasso di 25 miliardi
Euro più, euro meno, sono 25 miliardi. È la cifra che le banche italiane rischiano di non vedere mai più (o con grande difficoltà) quando la Russia verrà esclusa dal sistema Swift. Gli istituti italiani, infatti, sono, al pari di quelli francesi, tra i più esposti verso il Cremlino e i suoi asset.
Più in dettaglio, il Society for worldwide interbank financial telecommunication - Swift, appunto - altro non è che un garante delle transazioni finanziarie elettroniche internazionali. Fondata nel 1973, la cooperativa che gestisce il sistema Swift ha sede in Belgio - a Bruxelles - e si occupa dei codici attraverso il quale singoli istituti impartiscono ordini di pagamento in sicurezza. Per essere chiari, il sistema certifica le transazioni, ma non si occupa del trasferimento di denaro in sé.
Oggi collega 11.000 tra banche e istituzioni finanziarie di oltre 200 Paesi ed è sottoposta alla supervisione della Banca nazionale del Belgio, «con il supporto» del G10 delle Banche centrali. Alle fine degli anni Settanta del secolo scorso, Swift registrava volumi pari a circa 10 milioni di messaggi. Dieci anni dopo, nel 1989, il volume dei messaggi aveva raggiunto 269 milioni e il numero di istituzioni partecipanti era salito a 2.814. Dopo altri 20 anni le banche e istituzioni che usavano attivamente Swift erano salite a 9.281 e con l’esplosione delle comunicazioni elettroniche e digitali il volume dei messaggi aveva raggiunto 3,76 miliardi. Nel 2021 la piattaforma ha trasmesso oltre 8,4 miliardi di comunicazioni, in crescita dell’11,2%: circa 42 milioni al giorno tra dati di pagamenti e bonifici, comunicazioni su titoli e comunicazioni di tesoreria.
La concreta amministrazione operativa è affidata a un Comitato esecutivo composto da sette persone che lavorano a tempo pieno nella piattaforma, dirette dall’amministratore delegato (dal 2019 Javier Pérez-Tasso).
In parole povere, per aderire al sistema Swift basta avere un conto corrente che possa emettere bonifici diretti a istituti fuori dall’Italia attraverso un apposito codice.
Il motivo per cui il sistema Swift è così importante è perché rappresenta nei fatti il primo sistema di pagamento al mondo (ma non l’unico). L’esclusione della Russia da questo circuito, secondo le stime, potrebbe far crollare il Pil di Mosca di botto del 5%. Si tratta di circa 74,5 miliardi di dollari che potrebbero andare in fumo su un Pil di poco inferiore ai 1500 miliardi.
Sulle autostrade digitali del sistema Swift, per capirci, passano tutte le transazioni legate ai pagamenti per le forniture di gas, di petrolio e di materie prime come il grano. Si tratta di pagamenti che transitano - e contribuiscono ai ricavi - dell’austriaca Raiffeisen Bank (con oltre il 20% dei ricavi in arrivo dalla Russia), della francese Société Générale (4% del fatturato in arrivo da Mosca) e dell’italiana Unicredit presente in Russia dal 2005 dopo la fusione con Hvb che aveva nel Paese una propria controllata. La banca ha attualmente circa due milioni di clienti finali e circa 30.000 utenti aziendali, con una rete di 72 sportelli che erogano circa 8 miliardi di euro di prestiti.
Ora tutti questi istituti saranno in grave difficoltà perché inviare e ricevere soldi da e per la Russia non sarà per nulla facile. Per semplificare, è come se, da domani, una legge permettesse di utilizzare solo il piccione viaggiatore per inviare messaggi invece dei ben più tradizionali sms o Whatsapp. Inviare comunicazioni resterebbe comunque possibile, ma tutto sarebbe molto più complesso con il risultato che le comunicazioni tra gli utenti subirebbero un drastico crollo.
Quello che sta per succedere alla Russia (e che è successo nel 2012 all’Iran) è esattamente questo, ma in chiave finanziaria e su scala globale. Putin potrebbe comunque affidarsi ad altri sistemi di pagamento, di certo più lenti, più costosi e ben meno diffusi.
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La Germania parla di «restrizioni mirate» per ciò che riguarda le banche ma invia armi a Kiev. Anche l’Italia muove le truppe.È la cifra che potrebbe non essere più pagata qualora la Russia venisse esclusa dal sistema che collega 11.000 istituti di 200 Paesi.Lo speciale contiene due articoli«La Germania è pronta ad accettare una restrizione mirata dell’accesso della Russia a Swift»: sono le 17.55 di ieri sera quando il ministro degli Esteri della Germania, Annalena Baerbock, e il ministro dell’Economia, Robert Habeck, annunciano il dietrofront di Berlino, che fino ad ora si era opposto alla sanzione più pesante nei confronti della Russia, ovvero la disconnessione di Mosca dal sistema di codificazione bancaria globale. «Stiamo lavorando», aggiungono la Barbock e Habeck, «per trovare il modo di limitare i danni collaterali di una disconnessione da Swift. Ciò di cui abbiamo bisogno è una restrizione mirata e funzionale». Una notizia dagli effetti dirompenti, ma per certi versi ormai inevitabile, considerato che le mosse del governo italiano guidato da Mario Draghi, hanno isolato la Germania di Olaf Scholz, fino a quel momento rigida sulla posizione del «no» all’esclusione della Russia da Swift. Certo, Berlino parla di «restrizioni mirate», formula che potrebbe voler dire che si troverà il modo per tenere al riparo le transazioni economiche per le forniture di gas, ma il segnale politico è fondamentale. Scholz annuncia anche la fornitura di armi all’Ucraina: «Mille armi anticarro e 500 missili Stinger», precisa il cancelliere tedesco su Twitter. Draghi dunque, in costante contatto con il capo dello Stato, Sergio Mattarella, sblocca l’impasse in cui si trova l’Occidente, a causa dei balbettamenti di alcuni Stati, Germania in testa, sull’utilizzo della «madre di tutte le sanzioni». La svolta italiana arriva ieri mattina, quando Draghi sente al telefono, dopo i malintesi dell’altro ieri, il presidente ucraino, Volodimir Zelensky.«Il presidente del Consiglio Mario Draghi», fa sapere attraverso una nota Palazzo Chigi, «ha telefonato al presidente dell’Ucraina, Volodimir Zelensky, per esprimere a lui e al popolo ucraino la solidarietà e vicinanza dell’Italia di fronte all’attacco della Federazione russa. Il presidente Zelensky ha confermato il chiarimento totale del malinteso di comunicazioni avvenuto ieri e ha ringraziato il presidente Draghi per il suo sostegno e per la forte vicinanza e amicizia tra i due popoli. Il presidente Draghi ha ribadito al presidente Zelensky», prosegue la nota della presidenza del Consiglio, «che l’Italia appoggia e appoggerà in pieno la linea dell’Unione Europea sulle sanzioni alla Russia, incluse quelle nell’ambito Swift. Il presidente ha detto che l’Italia fornirà all’Ucraina assistenza per difendersi. I due presidenti hanno concordato di restare in stretto contatto nell’immediato futuro». Da notare che appena 24 opre prima il ministro dell’Economia, Daniele Franco, aveva avvertito che escludere la Russia dallo Swift sarebbe stato un problema per le forniture di gas all’Italia.Immediata la reazione, inevitabilmente soddisfatta, di Zelensky: «Questo», twitta il leader ucraino, «è l’inizio di una nuova pagina nella storia dei nostri Stati, Ucraina e Italia. L’Ucraina deve entrare a far parte dell’Ue». L’Italia, nell’ambito delle azioni della Nato sulla guerra in Ucraina, ha anche decretato un pacchetto di misure relative «al rafforzamento della postura militare, a fronte della grave situazione di crisi in atto. In particolare», spiega Palazzo Chigi, «al fine sia di rassicurare gli alleati più esposti sul fianco est dell’Alleanza, che di svolgere un’azione di deterrenza nei confronti della Russia». In particolare, su proposta del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, e del ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, è stata disposta una presenza avanzata e rafforzata in Lettonia (enhanced forward presence), attraverso l’impiego del numero massimo di 250 unità di personale e 139 mezzi terrestri; un dispositivo per la sorveglianza aerea attraverso attività di Air Policing, che prevede l’impiego del numero massimo di 130 unità di personale e di 12 mezzi aerei, attualmente dislocati in Romania, e attività di pattugliamento aereo nell’ambito delle misure di rassicurazione degli alleati nel fianco est, attraverso 2 mezzi aerei (un rifornitore e un mezzo per raccolta dati); un dispositivo per la sorveglianza navale e attività di raccolta dati nell’area sud dell’Alleanza (Mediterraneo orientale e Mar Nero), attraverso l’impiego del numero massimo di 235 unità di personale, due mezzi navali e di uno ulteriore, secondo necessità, e di un mezzo aereo; la mobilitazione di ulteriori forze ad alta prontezza, denominate «Very high readiness joint task force-Vjtf», fino al 30 settembre 2022, attraverso l’impiego di 1350 unità, 77 mezzi terrestri, 2 mezzi navali (a partire dal secondo semestre 2022) e 5 mezzi aerei. La consistenza massima per lo svolgimento di tali missioni è pari a 1.970 unità.Il decreto prevede anche la cessione alle autorità governative dell’Ucraina, a titolo gratuito, di mezzi e materiali di equipaggiamento militari non letali, rendendo disponibili equipaggiamenti per la protezione individuale per i militari ucraini e materiali per lo sminamento umanitario a favore della popolazione civile. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/draghi-isola-berlino-sulle-sanzioni-si-tratta-sulluscita-di-mosca-dallo-swift-2656799332.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-nostre-banche-rischiano-un-salasso-di-25-miliardi" data-post-id="2656799332" data-published-at="1645924606" data-use-pagination="False"> Le nostre banche rischiano un salasso di 25 miliardi Euro più, euro meno, sono 25 miliardi. È la cifra che le banche italiane rischiano di non vedere mai più (o con grande difficoltà) quando la Russia verrà esclusa dal sistema Swift. Gli istituti italiani, infatti, sono, al pari di quelli francesi, tra i più esposti verso il Cremlino e i suoi asset. Più in dettaglio, il Society for worldwide interbank financial telecommunication - Swift, appunto - altro non è che un garante delle transazioni finanziarie elettroniche internazionali. Fondata nel 1973, la cooperativa che gestisce il sistema Swift ha sede in Belgio - a Bruxelles - e si occupa dei codici attraverso il quale singoli istituti impartiscono ordini di pagamento in sicurezza. Per essere chiari, il sistema certifica le transazioni, ma non si occupa del trasferimento di denaro in sé. Oggi collega 11.000 tra banche e istituzioni finanziarie di oltre 200 Paesi ed è sottoposta alla supervisione della Banca nazionale del Belgio, «con il supporto» del G10 delle Banche centrali. Alle fine degli anni Settanta del secolo scorso, Swift registrava volumi pari a circa 10 milioni di messaggi. Dieci anni dopo, nel 1989, il volume dei messaggi aveva raggiunto 269 milioni e il numero di istituzioni partecipanti era salito a 2.814. Dopo altri 20 anni le banche e istituzioni che usavano attivamente Swift erano salite a 9.281 e con l’esplosione delle comunicazioni elettroniche e digitali il volume dei messaggi aveva raggiunto 3,76 miliardi. Nel 2021 la piattaforma ha trasmesso oltre 8,4 miliardi di comunicazioni, in crescita dell’11,2%: circa 42 milioni al giorno tra dati di pagamenti e bonifici, comunicazioni su titoli e comunicazioni di tesoreria. La concreta amministrazione operativa è affidata a un Comitato esecutivo composto da sette persone che lavorano a tempo pieno nella piattaforma, dirette dall’amministratore delegato (dal 2019 Javier Pérez-Tasso). In parole povere, per aderire al sistema Swift basta avere un conto corrente che possa emettere bonifici diretti a istituti fuori dall’Italia attraverso un apposito codice. Il motivo per cui il sistema Swift è così importante è perché rappresenta nei fatti il primo sistema di pagamento al mondo (ma non l’unico). L’esclusione della Russia da questo circuito, secondo le stime, potrebbe far crollare il Pil di Mosca di botto del 5%. Si tratta di circa 74,5 miliardi di dollari che potrebbero andare in fumo su un Pil di poco inferiore ai 1500 miliardi. Sulle autostrade digitali del sistema Swift, per capirci, passano tutte le transazioni legate ai pagamenti per le forniture di gas, di petrolio e di materie prime come il grano. Si tratta di pagamenti che transitano - e contribuiscono ai ricavi - dell’austriaca Raiffeisen Bank (con oltre il 20% dei ricavi in arrivo dalla Russia), della francese Société Générale (4% del fatturato in arrivo da Mosca) e dell’italiana Unicredit presente in Russia dal 2005 dopo la fusione con Hvb che aveva nel Paese una propria controllata. La banca ha attualmente circa due milioni di clienti finali e circa 30.000 utenti aziendali, con una rete di 72 sportelli che erogano circa 8 miliardi di euro di prestiti. Ora tutti questi istituti saranno in grave difficoltà perché inviare e ricevere soldi da e per la Russia non sarà per nulla facile. Per semplificare, è come se, da domani, una legge permettesse di utilizzare solo il piccione viaggiatore per inviare messaggi invece dei ben più tradizionali sms o Whatsapp. Inviare comunicazioni resterebbe comunque possibile, ma tutto sarebbe molto più complesso con il risultato che le comunicazioni tra gli utenti subirebbero un drastico crollo. Quello che sta per succedere alla Russia (e che è successo nel 2012 all’Iran) è esattamente questo, ma in chiave finanziaria e su scala globale. Putin potrebbe comunque affidarsi ad altri sistemi di pagamento, di certo più lenti, più costosi e ben meno diffusi.
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La reazione di tanti è però ambigua, come è nella natura degli italiani, scaltri e navigati, e di chi ha uso di mondo. Bello in via di principio ma in pratica come si fa? Tecnicamente si può davvero lasciare loro lo smartphone ma col «parental control» che inibisce alcuni social, o ci saranno sotterfugi, scappatoie, nasceranno simil-social selvatici e dunque ancora più pericolosi, e saremo punto e daccapo? Giusto il provvedimento, bravi gli australiani ma come li tieni poi i ragazzi e le loro reazioni? E se poi scappa il suicidio, l’atto disperato, o il parricidio, il matricidio, del ragazzo imbestialito e privato del suo super-Io in display; se i ragazzi che sono fragili vengono traumatizzati dal divieto, i governi, le autorità non cominceranno a fare retromarcia, a inventarsi improbabili soluzioni graduali, a cominciare coi primi distinguo che poi vanificano il provvedimento? E poi, botta finale: è facile concepire queste norme restrittive quando non si hanno ragazzini in casa, o pretendere di educare gli educatori quando si è ben lontani da quelle gabbie feroci che sono le aule scolastiche! Provate a mettervi nei nostri panni prima di fare i Catoni da remoto!
Avete ragione su tutto, ma alla fine se volete tentare di guidare un po’ il futuro, se volete aiutare davvero i ragazzi, se volete dare e non solo subire la direzione del mondo, dovete provare a non assecondarli, a non rifugiarvi dietro il comodo fatalismo dei processi irreversibili, e dunque il fatalismo dei sì, perché sono assai più facili dei no. Ma qualcosa bisogna fare per impedire l’istupidimento in tenera età e in via di formazione degli uomini di domani. Abbiamo una responsabilità civile e sociale, morale e culturale, abbiamo dei doveri, non possiamo rassegnarci al feticcio del fatto compiuto. Abbiamo criticato per anni il pigro conformismo delle società arcaiche che ripetevano i luoghi comuni e le pratiche di vita semplicemente perché «si è fatto sempre così». E ora dovremmo adottare il conformismo altrettanto pigro, e spesso nocivo, delle società moderne e postmoderne con la scusa che «lo fanno tutti oggi, e non si può tornare indietro». Di questa decisione australiana io condivido lo spirito e la legge; ho solo un’inevitabile allergia per i divieti, ma in questi casi va superata, e un’altrettanto comprensibile diffidenza sull’efficacia e la durata del provvedimento, perché anche in Australia, perfino in Australia, si troveranno alla fine i modi per aggirare il divieto o per sostituire gli accessi con altri. Figuratevi da noi, a Furbilandia. Ma sono due perplessità ineliminabili che non rendono vano il provvedimento che resta invece necessario; semmai andrebbe solo perfezionato.
Il problema è la dipendenza dai social, e la trasformazione degli accessi in eccessi: troppe ore sui social, e questo vale anche per gli adulti e per i vecchi, un po’ come già succedeva con la televisione sempre accesa ma con un grado virale di attenzione e di interattività che rende lo smartphone più nocivo del già noto istupidimento da overdose televisiva.
Si perde la realtà, la vita vera, le relazioni e le amicizie, le esperienze della vita, l’esercizio dell’intelligenza applicata ai fatti e ai rapporti umani, si sterilizzano i sentimenti, si favorisce l’allergia alle letture e alle altre forme socio-culturali. È un mondo piccolo, assai più piccolo di quello descritto così vivacemente da Giovannino Guareschi, che era però pieno di umanità, di natura, di forti passioni e di un rapporto duro e verace con la vita, senza mediazioni e fughe; ma anche con il Padreterno e con i misteri della fede. Quel mondo iscatolato in una teca di vetro di nove per sedici centimetri è davvero piccolo anche se ha l’apparenza di portarti in giro per il mondo, e in tutti i tempi. Sono ipnotizzati dallo Strumento, che diventa il tabernacolo e la fonte di ogni luce e di ogni sapere, di ogni relazione e di ogni rivelazione; bisogna spezzare l’incantesimo, bisogna riprendere a vivere e bisogna saper farne a meno, per alcune ore del giorno.
La stupida Europa che bandisce culti, culture e coltivazioni per imporre norme, algoritmi ed espianti, dovrebbe per una volta esercitarsi in una direttiva veramente educativa: impegnarsi a far passare la legge australiana anche da noi, magari più circostanziata e contestualizzata. L’Europa può farlo, perché non risponde a nessun demos sovrano, a nessuna elezione; i governi nazionali temono troppo l’impopolarità, le opposizioni e la ritorsione dei ragazzi e dei loro famigliari in loro soccorso o perché li preferiscono ipnotizzati sul video così non richiedono attenzioni e premure e non fanno danni. Invece bisogna pur giocare la partita con la tecnologia, favorendo ciò che giova e scoraggiando ciò che nuoce, con occhio limpido e mente lucida, senza terrore e senza euforia.
Mi auguro anzi che qualcuno in grado di mutare i destini dei popoli, possa concepire una visione strategica complessiva in cui saper dosare in via preliminare libertà e limiti, benefici e sacrifici, piaceri e doveri, che poi ciascuno strada facendo gestirà per conto suo. E se qualcuno dirà che questo è un compito da Stato etico, risponderemo che l’assenza di limiti e di interesse per il bene comune, rende gli Stati inutili o dannosi, perché al servizio dei guastatori e dei peggiori o vigliaccamente neutri rispetto a ciò che fa bene e ciò che fa male. È difficile trovare un punto di equilibrio tra diritti e doveri, tra libertà e responsabilità, ma se gli Stati si arrendono a priori, si rivelano solo inutili e ingombranti carcasse. Per evitare lo Stato etico fondano lo Stato ebete, facile preda dei peggiori.
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Ecco #DimmiLaVerità dell'11 dicembre 2025. Con il nostro Fabio Amendolara commentiamo gli ultimi sviluppi del caso Garlasco.