2021-04-26
Marco Tarchi: «Draghi fa il funambolo. Ma ora l’Italia rischia di scoppiargli in mano»
Il politologo: «Occhio al malessere di settori economici in macerie. Il centrodestra non esiste. Salvini si scordi un futuro da premier».Politologo, professore ordinario alla Cesare Alfieri di Firenze, con La Verità, Marco Tarchi abbandona l'etichetta accademica e abbraccia la totale parresìa. Anche sull'intoccabile e veneratissimo Mario Draghi.Il metodo del premier: un colpo al cerchio e uno alla botte, un po' di aperture e un po' di coprifuoco. Questa formula per tenere su le larghe intese può funzionare?«In via transitoria, sì, pur con inevitabili tensioni. Alla lunga acuirebbe invece quella spaccatura del Paese in fazioni che si guardano in cagnesco e si accusano reciprocamente di irresponsabilità alla quale stiamo già assistendo». L'Italia è una polveriera?«Sotto la cenere dell'emergenza a oltranza cova il fuoco di un malessere sociale che potrebbe esplodere se il ritorno alla normalità dovesse rivelarsi, di fatto, la constatazione di un campo di macerie di vari settori economici».A suo avviso, Draghi teme che l'operato del suo esecutivo si sbilanci a destra, perché punta al Quirinale?«Che sia il candidato più ovvio a succedere a Sergio Mattarella mi sembra innegabile. Se ci punti non so, ma accettando il ruolo che svolge attualmente di sicuro non può non aver incluso questo obiettivo nel novero delle possibilità. E perché l'ipotesi si avveri, deve fare dell'equilibrismo la sua più evidente e magnificata virtù».Ma per l'equilibrismo, non bastava Giuseppe Conte? «Draghi però non può indossare l'abito del semplice mediatore, come era avvenuto nel caso di Conte. Deve accreditarsi l'immagine del decisionista super partes, che non si fa tirare per la giacca da nessuno».Il centrodestra italiano appare diviso. Forza Italia è più prudente sul cronoprogramma per le riaperture rispetto alla Lega, che vuole stare nel governo ma al contempo è costretta a mantenere una sorta di stato d'agitazione permanente. Fratelli d'Italia, invece, resta coerentemente all'opposizione ormai dal 2018, massimizzando i consensi ma minimizzando anche i rischi dell'assumersi responsabilità di governo. «Anche prima di questa fase, il cosiddetto centrodestra non aveva alcuna possibilità di presentarsi come una coalizione coesa attorno a un'agenda unitaria. Sono troppi i campi nei quali le sue varie componenti mostrano forti distanze».E con queste premesse, che prospettive ha il centrodestra a guida leghista, in vista delle elezioni politiche del 2023?«Scartando l'ipotesi di un ticket ristretto Lega-Fratelli d'Italia, quando i sondaggi facevano ipotizzare che insieme i due partiti avrebbero potuto superare il 40% e garantirsi una maggioranza autonoma in Parlamento, Matteo Salvini si è preventivamente legato le mani e forse ha perso l'occasione di potere un giorno ascendere alla presidenza del Consiglio». Addirittura?«Quando ci saranno elezioni, i “moderati" del suo campo lo neutralizzeranno, e oggi la sua Lega non è più al 34% nei sondaggi, ma attorno al 22%, il che gli impedirà di fare la voce grossa».Tra Quirinale ed Europa, cosa dovrebbe fare un centrodestra a trazione sovranista per aggirare i veti dell'establishment nazionale e internazionale, che costituiscono un pesante ostacolo alla sua agibilità politica piena?«Quel centrodestra non c'è, come ho detto. La sola cosa che Salvini avrebbe dovuto fare per raggiungere i suoi obiettivi era continuare a sfidare apertamente quell'establishment, dando sul serio corpo a un aperto conflitto tra volontà popolare e privilegi delle élite, sulla scia di quel populismo che gli gonfiava le vele. Ma la mossa del Papeete ha liquidato quella prospettiva». Dall'arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca a quello di Draghi a Palazzo Chigi, dove trionfava il populismo è tornata di moda la «competenza»?«Il parallelismo non mi convince».Perché?«A Draghi si attaglia il profilo del tecnico, ma a Biden certamente no: è un vecchio navigatore della politica, esperto di manovre nell'apparato di partito, con una carriera parlamentare alle spalle iniziata nel 1973. Può fare appello alla scienza nella gestione della pandemia per accentuare la distanza della sua immagine da quella arruffona e improvvisatrice di Donald Trump, ma se sia in grado o no di trovare soluzioni efficaci ai problemi del suo Paese, solo i fatti potranno dirlo». E da noi, non vede alcuna rivincita dei «competenti»?«È da vedere se il “governo dei migliori" si dimostrerà tale nel far fronte alla crisi politica e sociale del post Covid...».D'altro canto, sui vaccini lo stesso Biden persegue l'«America first». E l'Ue, tra Recovery fund e sospensione dei vincoli di bilancio, pare aver archiviato l'austerità. Il vecchio establishment sopravvive riassorbendo un po' dell'agenda populista?«Di Paesi più sovranisti degli Stati Uniti sarebbe difficile trovarne. Il problema è che, per affermare la propria sovranità a livello planetario, gli Usa hanno il vizio di voler calpestare quelle altrui. A volte in modo spiccio, con le armi, in parecchi altri casi assicurandosi il vassallaggio dei presunti alleati. Biden sarà certamente (ancor) meno isolazionista di chi lo ha preceduto, e non ha esitato a dichiarare che intende riportare Washington nel suo ruolo di gendarme planetario, moltiplicando gli atteggiamenti ostili verso Cina e Russia». Quindi?«Con il populismo, tutto ciò non ha niente a che fare. Quanto all'austerità, chi ora la giudica superata la riporterà in auge non appena potrà farlo».E la globalizzazione è morta?«No, perché serve gli interessi dei potentati economici e finanziari, che sono i soggetti oggi di gran lunga più influenti in politica, anche su scala internazionale. Tuttavia, la declinazione di questo fenomeno in chiave totalmente cosmopolita, cioè con l'obiettivo di omologare gli stili di vita e le identità dei popoli attraverso un ulteriore incremento della multietnicità e del multiculturalismo, ha ancora molti ostacoli di fronte a sé».Quali?«Prima di tutto una certa propensione dei ceti popolari alla coltivazione delle proprie abitudini e tradizioni. Anche se, spinta come è dalla propaganda del politicamente corretto ad opera delle élite intellettuali e mediatiche, non è escluso che anche questo tipo di globalizzazione possa, alla fine, farcela».Giorgio Agamben nota che la parola «epidemia» rimanda al termine greco demos, che è il popolo nella sua dimensione politica e non in quella fisica. Insomma, l'epidemia non è semplicemente un fatto medico; è immediatamente un fenomeno politico. Condivide? «La valenza politica del fatto pandemico è attestata dagli usi che se ne sono fatti per imporre limiti alle libertà individuali e suscitare un sentimento di allarme ed emergenza volto ad annientare preventivamente il dissenso e a raccogliere attorno ai governanti il consenso di una cittadinanza impaurita ed in cerca di protezione». In Italia, oppure ovunque?«In quasi tutti i Paesi si è ricorsi a questo strumento di cattura del consenso. Inoltre, la descrizione mediatica dell'epidemia ha dato spazio alla glorificazione della figura dei tecnici, descritti come gli unici possibili salvatore di popolazioni che i politici inetti e menefreghisti avrebbero condotto al disastro. Che poi virologi, epidemiologi, infettivologi e affini abbiano sfruttato l'occasione molto peggio di quanto avrebbero potuto fare, con i battibecchi, i narcisismi e l'esibizione delle reciproche invidie, è un altro discorso».Un sondaggio di Youtrend rivela che il 51% degli italiani è favorevole al mantenimento del coprifuoco alle ore 22. Siamo un popolo sopraffatto dalla paura? Sarebbero necessari un po' più di coraggio e un po' meno di affidamento alle restrizioni governative, per affrontare il virus?«Premesso che sui sondaggi “a caldo" mantengo fortissime riserve, basterebbe una considerazione razionale sull'inevitabilità del rischio nella vita e sul dovere di affrontarlo con buonsenso. Ah già: il buonsenso, famigerata stella polare del populismo, così lontano dalle statistiche e dalle previsioni computerizzate…». E che dovremmo fare?«Attenendoci - sinché sarà necessario - ai criteri che ormai 13 mesi fa ci sono stati indicati, si sarebbero potute evitare molte chiusure».Ad esempio?«Ad esempio, nei cinema, chiusi d'imperio il 25 ottobre, dove si facevano rispettare i protocolli, i contagi erano praticamente inesistenti. Ma il trattamento ansiogeno dell'epidemia da parte dei media ha prodotto i suoi effetti, e l'ideologia che ci ha portati a espellere anche la sola idea della morte dagli orizzonti della realtà ha fatto il resto».Almeno un effetto positivo, l'epidemia l'ha prodotto: la politica ha riacquistato la propria centralità rispetto all'economia. O no?«Mi pare improbabile che ci sia ancora qualcuno disposto a pensare che la politica possa oggi riguadagnare autonomia nei confronti dell'economia. Che la prima sia ostaggio della seconda è, da un pezzo, un dato appurato, e non vedo segnali di quello spirito di rivolta che potrebbe sovvertire questo dato di fatto. Solo una rivoluzione potrebbe riuscirci».
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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