2022-09-17
Il premier spara a pallettoni contro Giuseppi e Salvini e affonda il duo Renzi-Calenda
Mario Draghi attacca i leader di M5s e Lega su Kiev e allude: «Qualcuno parla con i russi». Poi spiazza il Terzo polo sulla corsa a Chigi. Critiche a Giulio Tremonti, Giorgia Meloni risparmiata.Supermario amaro: «Patti non mantenuti». E sulle tasse chiede aiuto a Maria Elisabetta Alberti Casellati.Lo speciale contiene due articoli.Un Mario Draghi quanto mai frizzante e sferzante, è il protagonista della conferenza stampa più «politica» da quando siede a Palazzo Chigi. Il premier si toglie dei veri e propri macigni dalle scarpe attaccando a muso duro Giuseppe Conte e Matteo Salvini, buca le ruote al tandem Carlo Calenda-Matteo Renzi, escludendo qualsiasi possibilità di tornare a Palazzo Chigi dopo le elezioni, e riserva una affettuosità politica a Giorgia Meloni. Partiamo dai terzopolisti anonimi: Draghi distrugge, con una sola sillaba, rispondendo «no», a chi gli chiede se sia disponibile per un secondo mandato da premier, settimane e settimane di fuffa mediatica e propaganda elettorale di Azione e Italia viva. Sembra di vederli, i volti sbiancati di Calenda & Renzi, che fino a ieri mattina hanno condotto la loro campagna elettorale con un solo e unico slogan: «Votando noi, Draghi tornerà a Palazzo Chigi». Manco per idea: Draghi non ha alcuna intenzione di rifare il presidente del Consiglio, e lo dice chiaro e tondo, senza possibilità di equivoci. Carletto e Matteo, quindi, si preparano ad affrontare una ultima settimana di campagna elettorale tutta in salita: non solo non potranno più utilizzare strumentalmente il nome di Draghi, ma dovranno anche spiegare agli italiani come mai, per settimane, hanno preso in giro tutti, millantando di avere un candidato premier che in realtà non c’era. Conferenza stampa, come dicevamo, piena zeppa di spunti, quella di ieri di Draghi, che dimostra di aver finalmente assimilato le logiche del discorso politico. L’attacco a Conte è diretto, durissimo: «Non si può», dice Draghi, «votare l’invio delle armi all’Ucraina e poi dire non sono d’accordo, o ancora peggio, inorgoglirsi dell’avanzata Ucraina dopo che si è stati contro l’invio delle armi. Si voleva forse che l’Ucraina si difendesse a mani nude? Forse sì». Il riferimento al leader del M5s è esplicito: «Nei rapporti internazionali», aggiunge un amareggiato Draghi, «occorre essere trasparenti, ci vuole coerenza nelle posizioni internazionali, non capovolgimenti o giravolte. Questo fa il prestigio internazionale di un Paese, la coerenza e la trasparenza, senza di queste si indebolisce». Il premier e il suo predecessore a Palazzo Chigi si sono sempre cordialmente detestati, ma stavolta Draghi, tonico e determinato, va giù duro, facendo emergere l’incoerenza del M5s. Alla domanda sulle obiezioni di Matteo Salvini riguardo le sanzioni alla Russia, il premier risponde gelido: «Le sanzioni funzionano», azzanna Draghi, «la propaganda russa ha cercato di dimostrare che non funzionano, non è vero. Bisogna capire questo, altrimenti non si capirebbero certi comportamenti recenti del presidente Vladimir Putin e bisogna continuare su quel fronte e sul fronte del sostegno all’Ucraina. All’interno del centrodestra ci sono tanti punti di vista. Quello di Salvini prevale? Non lo posso dire questo». Draghi attacca la Lega anche sulla delega fiscale: «C’era un accordo con tutte le forze politiche», argomenta il premier, «cioè che la delega fiscale sarebbe stata votata il 7 settembre. Il governo si è impegnato a non scrivere i decreti delegati fino alla data delle elezioni. Il governo ha mantenuto la sua parola come tutte le forze politiche, tranne una che non ha mantenuto la sua parola e non l’ha votata. Non mantenere la parola data», sottolinea un corrucciato Draghi, «non è il metodo di questo governo, c’è una grossa differenza tra chi la mantiene e chi no». Il presidente del Consiglio ci va giù pesante anche sulla questione dei balneari. Ieri mattina la Lega in Cdm ha votato contro il decreto, una decisione che il ministro del Turismo, Massimo Garavaglia, ha spiegato dicendo di ritenere «scorretto portare un provvedimento del genere all’esame del Consiglio dei ministri a pochi giorni dalle elezioni». «È un metodo che questo governo non capisce molto», evidenzia Draghi, «ci sono dei bisogni dei cittadini, con questo ragionamento avremmo combinato molto poco, sarebbe stato il fallimento di questo governo, che è stato creato per fare, non per stare». Non è dato sapere, invece, a chi si riferisca Draghi quando dice che «c’è quello che ama i russi alla follia e vuol togliere le sanzioni e parla tutti i giorni di nascosto con i russi, c’è, c’è pure lui, ma c’è tanta gente che non lo fa, cioè la maggioranza degli italiani non lo fa e non vuole farlo»: una dichiarazione sibillina, un sasso gettato nello stagno dei retroscena. Ricordato anche il no allo scostamento, chiesto sempre da Conte e Salvini, chiudiamo il capitolo degli attacchi si chiude con la staffilata a Giulio Tremonti, candidato di Fratelli d’Italia. Tremonti, ricordiamolo, nei giorni scorsi ha duramente criticato l’emendamento al decreto legge Aiuti bis che riguarda Amco, l’ex Sga specializzata nella gestione e nel recupero dei crediti deteriorati: «Su certa stampa», dice Draghi, «si è parlato di una pillola avvelenata per il prossimo governo, un buco spaventoso nei conti dello Stato. In realtà», aggiunge il premier, «si tratta di una cosa tecnica». Tocca al ministro dell’Economia, Daniele Franco, contestare nel dettaglio la tesi di Tremonti. Infine, da registrare la carezza che Draghi riserva a Giorgia Meloni, criticata da più parti per aver chiesto di ridiscutere il Pnrr, che i suoi avversari politici ritengono intoccabile: «Si può rivedere quello che non è stato bandito», dice invece un rilassato Draghi, «ma siccome molto è stato bandito c’è poco da rivedere. È ovvio che da quando ce lo hanno dato è cambiato tutto, ma molti progetti sono andati avanti».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/draghi-contro-giuseppi-salvini-2658231573.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-governo-tira-dritto-sui-balneari-ma-si-incarta-sulla-delega-fiscale" data-post-id="2658231573" data-published-at="1663352327" data-use-pagination="False"> Il governo tira dritto sui balneari ma si incarta sulla delega fiscale È il presidente del Consiglio uscente, Mario Draghi, a dirlo durante una delle sue ultime conferenze stampa: «Questo governo è stato creato per fare non per stare». Il commento arriva a margine di una serie di critiche e malumori riguardanti la decisione di andare avanti sulle riforme. Nello specifico è la questione dei balneari a creare scompiglio. I ministri della Lega Massimo Garavaglia, Giancarlo Giorgetti ed Erika Stefani, secondo quanto si apprende, hanno votato contro il decreto legislativo di attuazione della legge annuale sulla concorrenza di mappatura delle concessioni. Ad annunciare la decisione a Draghi e ai colleghi è stato il titolare del Turismo, Garavaglia. Sembrerebbe infatti che il ministero del Turismo nel corso del preconsiglio avrebbe chiesto formalmente lo stralcio dall’ordine del giorno del Consiglio dei ministri del decreto legislativo sulla mappatura delle concessioni pubbliche. «Il rappresentante della Lega ha parlato di disaccordo non nel merito ma nel metodo. Si sarebbe desiderato approvare il decreto legislativo dopo le elezioni, è un metodo che questo governo non capisce molto: ci sono i bisogni dei cittadini, si danno le risposte quando sono pronte», puntualizza Draghi durante la conferenza stampa, e aggiunge: «Se avessi dovuto aspettare i risultati delle elezioni, delle regionali, delle comunali, ogni sussurro di qualunque connotato politico... alla fine non si sarebbe combinato più niente. E questo sarebbe stato il fallimento di questo governo». La sensazione però è che il governo abbia deciso di chiudere forzatamente alcune questioni prima che si insedi il nuovo esecutivo, per dare risposte all’Europa. Risposte che forse Bruxelles neanche attendeva con una così grande celerità. Lo stesso schema di finta urgenza si sarebbe tentato anche per la delega fiscale. Un tentativo sostanzialmente non riuscito per cui il premier non nasconde tutta la sua amarezza: «C’era un accordo con tutte le forze politiche, cioè che la delega fiscale sarebbe stata votata il 7 settembre. Il governo si è impegnato a non scrivere i decreti delegati fino alla data delle elezioni. Il governo ha mantenuto la sua parola. Tutte le forze politiche anche, tranne una, che non ha mantenuto la sua parola e non l’ha votata». E aggiunge: «La prima riflessione è che noi tutti abbiamo cercato di fare il possibile per mantenere la parola data, per mantenere la promesse che facevamo agli italiani, nell'affrontare il Covid, il Pnrr, nel sostenere le famiglie. Non mantenere la parola data non è il metodo di questo governo, è meglio essere chiari su questo: c’è una grossa differenza tra chi mantiene la parola e chi no. Non si può dire che la si pensi come noi, no: non la pensate come noi». Draghi ha anche fatto sapere di aver sentito la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati: «Le ho parlato, mi ha detto che proverà a convocare la capogruppo la prossima settimana per vedere se si può calendarizzare in Senato. Quindi ancora un filo di speranza c’è». E ha aggiunto: «Se non si trovasse un accordo, si va in Aula se la capigruppo è d’accordo, e si vota la calendarizzazione della delega fiscale». Difficile se non impossibile che si vada avanti su questo e già nei giorni scorsi non si erano celati i malumori del governo: «Non si può dire che il governo non abbia fatto di tutto per non alzare le tasse e al tempo stesso avviare una quanto mai necessaria riforma» del fisco. Necessaria secondo l’esecutivo ma non così urgente e quindi non inseribile nel quadro dell’operato di un governo uscente.