2024-11-29
«Dostoevskij», la serie noir Sky con Filippo Timi protagonista
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«Dostoevskij» (Sky Original)
Dostoevskij, serie televisiva al debutto su Sky Atlantic nella prima serata di mercoledì 27 novembre, ha preso in prestito dall'immaginario storico un nome, e un nome soltanto. Un nomignolo, forse, quello che un'unità investigativa ha deciso di dare a un serial killer.Di nuovo, un titolo fuorviante. Dostoevskij non è letteratura russa, non è biografie magnifiche e opere d'intelletto straordinarie. Non nel mare magnum dell'offerta Sky. Lì, Dostoevskij è altro: un noir cupo, da manuale, storia di un poliziotto, Enzo Vitello, e della sua nemesi. Dostoevskij, serie televisiva al debutto su Sky Atlantic nella prima serata di mercoledì 27 novembre, ha preso in prestito dall'immaginario storico un nome, e un nome soltanto. Un nomignolo, forse, quello che un'unità investigativa ha deciso di dare a un serial killer. Non ha volto né identità, ma dietro di sé, piccole briciole del male, lascia fogli, parole, congetture. L'assassino scrive. Scrive gli ultimi istanti della vita altrui, frammenti della morte che semina. Racconta con dovizia di dettagli come abbia ammazzato le proprie vittime, come queste abbiano lottato, cos'abbiano visto, detto, implorato. Ogni cadavere, accanto a sé, porta una lettera, testimonianza dell'anima che spira. E ogni lettera porta paure e pensieri. Idee, persino. I poliziotti a quelle idee hanno dato un nome, «Dostoevskij». Ma, oltre la passione perversa per la scrittura, non sono riusciti a vedere. Non loro, non Enzo Vitello, deputato a indagare sulle morti e su se stesso.Vitello, interpretato nelle sei puntate dello show Sky da un Filippo Timi sempre bravo, è quel che ci si attende da un poliziotto da noir. Ha fantasmi più grandi di sé, armadi pieni di scheletri. La figlia, che avrebbe dovuto crescere nel conforto di una famiglia tradizionale, lo detesta. Per colpa sua, di un padre che anziché restituirle sicurezza le ha provocato immense voragini emotive, è diventata una tossica, randagia in una vita nella quale non si raccapezza. Vitello ha somatizzato il proprio dolore al punto da ammalarsi. Poi, però, ha provato un altro strada. Il proprio senso di inadeguatezza, insieme alla consapevolezza di essere stato un padre fallimentare, ha provato a sopirlo attraverso l'uso di droghe e sostanze. Ma l'abuso non è bastato a restituirgli pace. Non a lui, non ai fratelli D'Innocenzo, autori della serie Sky. «Quel che facciamo, quando scriviamo, è provare a raccontare ciò che ci fa svegliare storti, che ci fa stare male. Non vogliamo puntare la penna contro il mondo circostante, ma verso noi stessi. Quel pozzo, quel catrame che si vede nei nostri film è dentro di noi», hanno spiegato Damiano e Fabio, raccontando come la serie voglia provare a sintetizzare la coesistenza di azione e vulnerabilità. Vitello, roso da un tormento senza fine, è, insieme, l'eroe e l'antieroe di una storia a tinte fosche, incentrata - come sempre, nella produzione artistica dei fratelli D'Innocenzo - sulla caducità, vagamente inutile, dell'essere umano.
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