2022-10-11
Dopo le bollette pure le cartelle killer. Sanatoria subito o boom di fallimenti
Il premier uscente deve agire: le aziende non possono attendere il cambio a Palazzo Chigi. Condono o rottamazione uniche vie.Qualcuno a Roma non ha capito la situazione in cui si trova il Paese, o forse l’ha compresa abbastanza bene ma - in questo secondo caso - non deve essere troppo interessato ai drammi delle imprese e delle famiglie italiane. Anche perché, com’è noto, in particolare gli autonomi e le partite Iva non vanno in piazza, non scioperano, non fanno casino. E dunque qualcun altro deve essersi convinto che possa trattarsi di persone da utilizzare come bancomat per lo Stato, per non dire come carne da macello. La Verità, a partire dal suo direttore e poi con diverse altre firme, ha posto questo tema più volte, a scadenze regolari (nel silenzio mediatico pressoché generale, rotto meritoriamente, Verità a parte, da Giuliano Mandolesi su ItaliaOggi): è assurdo, violento, insostenibile che in queste settimane e mesi si stia abbattendo sugli italiani un bombardamento di cartelle esattoriali, di lettere di compliance e di cosiddetti avvisi bonari. Si badi bene: non stiamo parlando di evasione. Ma in moltissimi casi di somme regolarmente dichiarate e che tuttavia il contribuente non è riuscito a pagare; in altri casi, peggio ancora, si tratta di contestazioni discutibili, non sempre chiare, effettuate con la riserva mentale che, in particolare ove si tratti di somme complessivamente contenute, il malcapitato possa preferire pagare anziché imbarcarsi in contestazioni e verifiche. Sta di fatto che, esattamente nel momento in cui le aziende e i nuclei familiari sono già schiantati dalle bollette killer, per sovrammercato arriva quest’altra mazzata. La domanda è sempre la stessa: ma dove vivono coloro che hanno deciso e autorizzato questa valanga contro i cittadini? Anche perché tutto ciò si aggiunge all’«ordinaria» via crucis del contribuente. Poniamo il caso di una partita Iva normalissima, ed esaminiamo insieme i suoi ultimi cinque mesi dell’anno, da fine agosto a fine dicembre. Il 22 agosto è stata una prima data devastante: nello stesso giorno, c’era da pagare la rata Iva trimestrale, più la prima rata delle scadenze fiscali di fine anno. Poi - a seguire - è partita la raffica delle altre rate fiscali di fine 2022: metà settembre, metà ottobre, metà novembre, eccetera. Poi, il 16 novembre, ci sarà pure la scadenza dell’ultimo trimestre Iva. Seguiranno il 30 novembre l’acconto Irpef e il 27 dicembre l’acconto Iva. E questa è solo la «normale» routine che già risucchia e prosciuga, come un’idrovora, quel poco di liquidità che uno sia eventualmente riuscito a creare. E a questo si aggiungono, come ormai tutti dovrebbero sapere, le bollette raddoppiate-triplicate-quadruplicate, a seconda dei casi. Ecco, nel pieno di un massacro di questo tipo, ha senso che piovano pure le cartelle dell’Agenzia delle entrate? Per i feticisti della materia, si stimano: alcuni milioni di cartelle, più un una sventagliata (nemmeno cifrabile) di avvisi bonari relativi a imposte e contributi del 2018 e del 2019, più altri avvisi bonari relativi agli ultimi due trimestri del 2021, più le lettere di compliance sulle liquidazioni periodiche Iva del 2021. Qual è l’obiettivo che si vuole ottenere? Qualcuno ricorda (e purtroppo è tragicamente vero) che le letterine di compliance ai contribuenti sono uno degli impegni assunti in sede europea. Ma si torna al punto di prima: c’è o no la consapevolezza del fatto che, per questa via, si stanno spingendo di prepotenza molte imprese a chiudere? Sono anni che - in modo perfino beffardo - sentiamo parlare di «fisco amico». Dopo di che, la realtà è che gli italiani tremano quando nella casella della posta vedono una busta inattesa o quando il portiere sussurra loro che «è arrivata una raccomandata». Per questo si imporrebbero alcune misure di elementare buon senso. La prima: senza attendere il nuovo governo, già l’attuale esecutivo deve fermare adesso la raffica di invii. Non c’è un solo minuto da perdere per decidere una sospensione. Ogni busta che arriva è un’autentica provocazione nonché un invito a chiudere. Che aspettano il premier Mario Draghi e il ministro Daniele Franco a disporre (e che aspettano i rappresentanti dei partiti della vecchia maggioranza a chiedere) un semaforo rosso? Solo uno stop, infatti, può consentire di usare il tempo della nuova sospensione affinché il nuovo governo possa immaginare una soluzione strutturale.La seconda (e si tratterebbe della soluzione più auspicabile). Lo si chiami come si vuole (se le parole «condono» e «sanatoria» non sono gradite, si immaginino le perifrasi e le circonlocuzioni «fiscalmente corrette»): ma serve uno strumento che consenta ai contribuenti di pagare una parte di quanto è loro richiesto e di non essere schiacciati. Sarebbe un buon affare per tutti: per le famiglie e le imprese da un lato, e pure per l’erario (che incasserebbe somme significative). Ovviamente l’operazione non può essere limitata alle cartelle inferiori a 2-3.000 euro: se si vuole che la misura funzioni, la portata deve essere più ampia. La terza (se non si vuole accedere alla seconda soluzione): per lo meno sia decisa l’eliminazione delle sanzioni e si consenta un nuovo piano di rateizzazioni (spalmatissimo: anche fino a dieci anni) in partenza dal 1° gennaio del 2023, o magari da marzo (cioè dalla fine dell’inverno delle bollette killer), dando a tutti un po’ di respiro per organizzarsi e pagare qualcosa di umanamente sostenibile con assoluta regolarità. Se non si procederà per questa via, le conseguenze sono già scritte. E nessuno potrà dire che non sapeva o non aveva compreso.
(Ansa)
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