2021-04-16
Dopo aver cancellato la povertà Di Maio ora abolisce anche la guerra
Il ministro degli Esteri si intesta il ritiro dei 900 militari italiani dall'Afghanistan e parla di «decisione storica». Ma è una scelta ratificata dalla Nato e presa da Joe Biden per i soldati Usa. L'irritazione del mondo delle stelletteIl 27 settembre 2018 Luigi Di Maio saliva sul balcone di Palazzo Chigi per annunciare di «aver abolito la povertà». Ieri invece un articolo del quotidiano La Notizia, vicino ai 5 Stelle, annunciava il ritiro dei militari italiani dall'Afghanistan dopo vent'anni e aggiungeva: «Di Maio riesce dove gli altri non hanno mai osato». Insomma dopo la povertà, ora il ministro degli Esteri avrebbe abolito anche la guerra. Peccato che sulla decisione si faccia sentire la presa di posizione del nuovo presidente degli Stati Uniti Joe Biden («È ora di porre fine a questa lunga guerra»), ratificata all'interno del vertice Nato allargato di mercoledì pomeriggio, dove ha partecipato il nostro ministero della Difesa, Lorenzo Guerini. Del resto se torneranno dall'Afghanistan quasi 900 nostri soldati, altrettanti ne sono impegnati o ne sono stati inviati negli ultimi mesi in Iraq o in Africa, in zone sensibili dove i nostri militari hanno un ruolo fondamentale. Per di più la situazione dell'Afghanistan è ancora di profonda instabilità, con il rischio che i talebani possano dopo il ritiro delle truppe anche vendicarsi con gli infedeli che in questi anni hanno cooperato con le potenze straniere. Insomma, come la povertà, anche la guerra non è ancora stata abolita. Eppure il ministro degli Esteri ha particolarmente enfatizzato la notizia nelle ultime 24 ore, con post su Facebook («Decisione storica. Non vuol dire che lasceremo solo il popolo afghano») e con dichiarazioni alla stampa, creando non poco imbarazzo nel mondo di stellette e generali. A imbarazzare è stato soprattutto il post sui social del Movimento 5 stelle, dove si leggevano frasi come questa: «Se si fosse spesa una frazione minima di questi soldi non per distruggere l'Afghanistan a suon di bombe ma per ricostruirlo e aiutarlo, oggi sarebbe la Svizzera dell'Asia centrale». E ancora: «Una guerra punitiva decisa dopo gli attentati dell'11 settembre 2001 contro il Paese sbagliato - le responsabilità andavano individuate in altri Paesi come Pakistan e Arabia Saudita - e contro un regime, l'emirato islamico dei talebani, che di fatto ha resistito a vent'anni di occupazione e che dopo il ritiro si appresta a tornare al potere». Tra le fila dell'esercito c'è anche chi si spreca in battute, ricordando la celebre passeggiata in Libano dell'ex ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, con il deputato hezbollah Hussein Haji Hassan: si spera che Di Maio non faccia lo stesso con i talebani. Non a caso il malumore di queste ore si è riversato subito sul mondo politico. Tanto che Isabella Rauti, capogruppo di Fratelli D'Italia, ieri, in una nota, parlava di questione di metodo nell'annuncio da parte del titolare della Farnesina. «Una tale determinazione non può essere comunicata sui media, senza che il Parlamento sia preventivamente informato» scrive Rauti. «Si tratta di una mancanza di rispetto del ruolo del Parlamento ed anche nei confronti delle nostre forze armate e del loro impegno in una missione particolarmente difficile, alla quale l'Italia ha dedicato tanti sacrifici e per la quale piangiamo molti caduti». Fdi ha chiesto un'informativa urgente a Camera e Senato su tempistiche e strategie dell'operazione. In ogni caso i protocolli ministeriali sono stati rispettati. Tocca alla Farnesina infatti comunicare il ritiro del contingente. Mercoledì il ministro Guerini, citato da Di Maio nel suo discorso, ha partecipato al vertice allargato della Nato, e in un'intervista a La Stampa ha ribadito che «il nostro obiettivo è di conservare i risultati fin qui conseguiti, fare in modo che il ritiro dei nostri avvenga in sicurezza, e che prosegua il percorso di dialogo intra-afghano. Le decisioni saranno meglio articolate nelle prossime settimane. Credo che dovremo continuare ancora con il nostro supporto all'Afghanistan, sotto il profilo di cooperazione allo sviluppo, rafforzamento delle istituzioni, e anche delle forze di sicurezza afghane che hanno dimostrato in questi anni un innegabile processo di crescita». Ma nel mondo delle stellette c'è anche chi dà un'altra lettura dell'entusiasmo di Di Maio per la fine della guerra, il ritiro del nostro contingente come quello degli Stati Uniti: l'avanzata della Cina in Afghanistan. Meno di prima ma i 5 stelle mantengono buoni rapporti con Pechino, basti pensare agli accordi per la via della Seta. Li ha anche la Farnesina che ha come capo di gabinetto Ettore Sequi, ex ambasciatore italiano in Cina. Da qualche anno la diplomazia cinese è impegnata nel tentativo di stabilizzare la zona. Lo scorso anno il ministro degli Esteri, Wang Yi, era stato per la seconda volta a Doha in Qatar, facendo di nuovo da mediatore tra il governo afgano e i talebani. Dal 2019 invece gli Stati Uniti, all'epoca con il presidente Donald Trump, avevano interrotto i negoziati. E per di più alla fine del 2020, il 17 dicembre, proprio Trump si era visto recapitare dall'intelligence la notizia di possibili azioni contro militari statunitensi di stanza a Kabul da parte di non meglio precisati sicari cinesi. Intervenne anche il portavoce del ministero degli Affari esteri cinese, Wang Wenbin, che definì la storia come calunniosa, «una notizia assurda e falsa». In ogni caso la Cina possiede già le miniere del nord dell'Afghanistan, il fatto che gli americani e la Nato lascino la zona non può che aiutare Pechino. Il ritiro inizierà a maggio, per terminare l'11 settembre.
Emmanuel Macron (Getty Images). Nel riquadro Virginie Joron
content.jwplatform.com
L'evento organizzato dal quotidiano La Verità per fare il punto sulle prospettive della transizione energetica. Sul palco con il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin, il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, il presidente di Ascopiave Nicola Cecconato, il direttore Ingegneria e realizzazione di Progetto Terna Maria Rosaria Guarniere, l'Head of Esg Stakeholders & Just Transition Enel Maria Cristina Papetti, il Group Head of Soutainability Business Integration Generali Leonardo Meoli, il Project Engineering Director Barilla Nicola Perizzolo, il Group Quality & Soutainability Director BF Spa Marzia Ravanelli, il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il presidente di Generalfinance, Boconi University Professor of Corporate Finance Maurizio Dallocchio.
Kim Jong-un (Getty Images)