2024-08-07
L’eroina del giorno è la donna che dice di sentirsi «lui». Ma il corpo non mente mai
Nikki Hiltz (Getty Images)
La mezzofondista Nikki Hiltz non ha cambiato sesso e ha sempre corso tra le femmine. Il suo dichiararsi «non binaria», però, non l’ha portata a gareggiare contro gli uomini...Altro giro, altra iconcina eroticamente corretta, come se non ce ne fossero già abbastanza. Ora è il turno della baldanzosa mezzofondista Nikki Hiltz, presentata in grande pompa come «la prima persona dichiaratamente transgender e non binaria a scendere in pista per gli Stati Uniti d’America ai Giochi olimpici».Agenzie e giornali la raccontano entusiasti come «l’atleta transgender che rompe i tabù» e lei stessa non perde occasione per rimestare nel calderone arcobaleno. Nel 2021 si è dichiarata al mondo gridando: «Non mi identifico con il genere che mi è stato assegnato alla nascita. Il termine che uso per descriverlo correttamente è non-binario. E il miglior aggettivo per esprimerlo è fluid». E ancora: «Raccontare tutto questo è tanto emozionante quanto difficile, ma sarò sempre convinta che vulnerabilità e percettibilità siano essenziali per generare inclusione e cambiamento sociale».Ora che è arrivata alle semifinali del 1.500 metri, l’ha buttata ancora sulla identità: «Io punto solo a mostrarmi per quello che sono e a guadagnare altro spazio. Uso i pronomi they/them (essi/loro) e la gente a volte rimane perplessa. Ma non possono più ignorarmi, ho vinto due titoli consecutivi», ha detto. E ovviamente si è inserita pesantemente nel dibattito sulla partecipazione dei transgender alle Olimpiadi: «Come persona che ha praticato sport femminili per tutta la vita, penso che abbiamo bisogno di essere protette», ha dichiarato, «ma sicuramente non dalle donne trans». A suo dire, le transgender devono poter competere in tutte le categorie: «La transfobia è pazzesca in queste Olimpiadi», insiste Hiltz. «La retorica anti trans è contro le donne. Queste persone non proteggono lo sport femminile, stanno imponendo rigide norme di genere e chiunque non rientri in queste norme viene preso di mira e diffamato. Supporto il loro diritto di competere, che si tratti del genere assegnato loro alla nascita o meno, ovunque si sentano a loro agio».Insomma, Nikki Hiltz è la perfetta portabandiera del pensiero prevalente, il volto ideale di queste Olimpiadi della dissociazione cognitiva: giovane ma non troppo (29 anni), battagliera, di aspetto tutto sommato simpatico, puntuta nelle risposte sui social (soprattutto quelle cattivelle riservate ai presunti transfobici). Sembra costruita apposta per rappresentare sulle copertine le istanze transgender e fluide.C’è, però, un piccolo inconveniente, un sassolino che inceppa lo stantuffare imperioso di questo meccanismo propagandistico molto ben costruito. E cioè il fatto che Nikki Hiltz, che pure si dichiara transgender e fluida e dice di non riconoscersi nel «sesso assegnato alla nascita» (da chi, poi, non è dato sapere), è in effetti una donna. È nata donna, è cresciuta donna, non risulta che abbia effettuato terapie ormonali e non è inclusa nel novero delle atlete «dsd», ovvero quelle con disordini dello sviluppo sessuale. Per farla semplice: Nikki Hiltz è una donna, biologicamente, fisicamente, muscolarmente. Non per nulla, compete con le donne. La sua figura, quindi, smentisce concretamente e brutalmente tutte le teorie in cui la Hiltz stessa - e con lei i numerosi tifosi della fluidità - ama avvolgersi.Lei si definisce trans o fluida, ma il suo fisico le consente di competere alla pari con solo uno dei due sessi, ovvero quello femminile. Se fosse vero ciò che lei sostiene, e cioè che chiunque può sfidare chiunque, allora la cara Nikki non avrebbe problemi e infilarsi in una competizione maschile. Invece, guarda un po’, evita di farlo, perché sa benissimo che non potrebbe reggere il confronto, che verrebbe sconfitta da altri corpi più resistenti e tenaci del suo.Di fronte alla dura realtà del corpo e della carne, quindi, non è possibile raccontarsi troppe favole: i giochetti teorici finiscono, le costruzioni ideologiche si sbriciolano, i castelli di cartapesta si sfarinano inesorabilmente. Anche qualora Nikki si sottoponesse a medicalizzazione, cioè si facesse somministrare ormoni, difficilmente potrebbe arrivare a gareggiare ad armi pari con un maschio o, comunque, è molto probabile che non otterrebbe gli stessi buoni risultati di oggi. Il punto, anche per quanto riguarda l’algerina Imane Khelif e la taiwanese Lin Yu- Ting, sta tutto qui. Nessuno vuole mettere in discussione la loro identità autodichiarata, le loro sensazioni o le loro posizioni politiche. Che cosa pensano e che cosa sentono è, dopo tutto, affare loro. Ma davanti al corpo e alla sua robusta evidenza, gli scherzi debbono cessare. Uno si può autodichiarare come gli pare, ma le fibre e le ossa e i tendini restano gli stessi e sono femminili o maschili. Nemmeno gli intersex sono, a ben vedere, un terzo sesso: anche per loro ritorna, implacabile, il binarismo. Dunque, evviva Nikki Hiltz, l’atleta transgender che rompe i tabù. Perché, a ben vedere, costei rompe l’unico vero tabù che esista: dimostra che la fluidità sessuale (corporea, carnale) non esiste, e che i sessi sono due. E lo fa, paradossalmente, credendo di dimostrare il contrario. Evviva Nikki Hiltz, portabandiera dei diritti trans che, se dovesse sfidare una trans nata uomo, probabilmente perderebbe.
Getty Images
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