
Abbiamo sconfitto guerra, fame ed epidemie, ma siamo stati assaliti dal terrore della sofferenza. Perciò mettiamo al mondo sempre meno figli e le madri sono sempre più apprensive. La soluzione: riscoprire l'eroismo di ogni nostro gesto quotidiano.Evidentemente è stata dura essere la prima generazione senza guerre mondiali e senza epidemie catastrofiche. La prima generazione che ha sofferto la fame solo perché Cosmopolitan e altri periodici di pari caratura intellettiva hanno lanciato diete folli e ridicole. Possiamo considerare assodato che l'infelicità, o depressione se il termine vi risulta troppo romantico o letterario, non c'entri un accidenti con i quattro cavalieri dell'Apocalisse, la fame, la guerra, l'epidemia e la morte, perché persino quando raccattavamo tutte le mattine gli sterminati dalla peste nera, in un'Europa affamata e invasa dagli eserciti, eravamo meno astiosamente disperati di quanto siamo adesso. Persino quando era uso comune che i genitori fracassassero i figli di botte, li vendessero alle miniere a quattro anni oppure allo spazzacamino a tre, la gente non soffriva di depressione. Quindi le ragioni oggettive non c'entrano. Dopo aver messo la museruola ai quattro cavalieri dell'apocalisse, ne abbiamo creato un quinto, mai esistito prima: il crollo della natalità. Tra una piccola di prozac e una seduta dallo psicoterapeuta, ci stiamo estinguendo. La popolazione sta invecchiando in maniera apocalittica. Siamo un mondo di figli unici e di maternità sempre più tardive. Sempre più spesso c'è un unico nipote che deve sostenere due genitori, quattro nonni e otto bisnonni.È stata scoperta la maternità responsabile: il bambino può essere messo al mondo solo con la certezza che sarà in condizioni perfette, quando è certo che potrà avere una salute d'acciaio, una stanzetta tutta per sé, un conto in banca, un posto in auto, in un momento della vita in cui tutto il resto è in ordine e allineato sugli scaffali. Sono «normalmente» abortiti al quinto mese ammassi di cellule (non vorrei essere accusata di terrorismo psicologico usando la parola bambini) che sarebbero diventati neonati affetti da patologie curabili, come il labbro leporino. Fortunatamente non abbiamo ancora la diagnosi prenatale della miopia o della tendenza all'obesità, altrimenti sarebbe un'ecatombe. In compenso abbiamo la capacità di sapere il sesso del nascituro e gli aborti di feti femmine straziano il mondo. La vita fa talmente paura che può essere accettata solo se perfetta. L'aborto volontario è un suicidio differito, impensabile per una mente forte. Il dolore fa una tale paura (non abbiamo più le endorfine per lenirlo), che se non si può garantire una vita sicuramente senza dolore, senza qualsiasi tipo di dolore, meglio non mettere al mondo nessuno. La vita affascina talmente poco che può essere accettata solo se perfetta. Che ci è successo in questi ultimi decenni? Noi possiamo - con un'autodisciplina continua - imparare a essere ottimisti. L'ottimismo, unito alla capacità di godere del presente, porta al benessere spirituale. La capacità di godere del presente la otteniamo ponendo sempre l'attenzione a quello che di bello ci sta accadendo, mettendoci tutte le volte che possiamo nella condizione di fare accadere cose che ci riempiano di gioia. L'ottimismo non è legato solo alla progettualità - ho dei progetti e la fede nel fatto che riuscirò ad attuarli - ma anche alla gratitudine per il presente, alla capacità, nell'enorme affresco che è la realtà, di tenere sempre l'attenzione su quello che sta funzionando. Il benessere, unito alla gratificazione e al significato, genera la felicità. Le persone ottimiste, sistematicamente e volontariamente ottimiste, sviluppano un'alta capacità di godere il presente, provano molto spesso la felicità: la parola è talmente abusata da essere logora, ma - per quanto sia logora - il suo significato è sempre vivo dentro di noi. La felicità esiste ed è frutto di un'autodisciplina eroica. Il pessimismo e l'ansia sono condizioni «normali» del cervello umano. Se per la nostra sopravvivenza può essere stato fondamentale il pessimismo difensivo, la nostra evoluzione è basata sull'ottimismo. Sono quelli che ci credevano coloro che ci hanno provato. Chi ha traversato gli oceani, chi ha scoperto il movimento delle stelle, chi ha sintetizzato antibiotici, o inventato aeroplani? Ottimisti sognatori. Stesso discorso vale per le madri. Le madri ansiose sono in costante bilico sulla catastrofe, la tubercolosi che ci travolgerà se non mettiamo la maglietta di lana, il trauma cranico che arriverà se ci arrampichiamo su qualche cosa, la congestione che ci fulminerà se andiamo in acqua con una briciola nello stomaco. Le madri sono ansiose perché così insegnano la prudenza. Le madri ansiose tirano su dei figli che diventano spesso adulti fobici. Le madri rilassate, quelle che guardano Facebook mentre il bambino si arrampica sulla sedia e si sporge dalla finestra, hanno figli che non sempre diventano adulti perché si ammazzano durante l'infanzia. Meglio una madre ansiosa di una madre troppo distratta. Però se il compito delle madri è insegnare la prudenza e raccomandare la facilità e la comodità, quello dei padri è insegnare il coraggio, la lealtà, l'etica. Nei popoli dove c'è uno squilibrio tra maschile e femminile si perde l'equilibrio. I padri si sono diradati. La paternità si è spampanata negli ultimi 60 anni, i valori maschili si sono persi e dispersi e con loro il coraggio. Siamo un'epoca ansiosa e spaventata anche perché più nessuno insegna il coraggio.Il coraggio adesso si chiama sindrome dell'eroe. Un passaggio indispensabile è il coraggio. Senza coraggio non è possibile ottimismo e senza ottimismo non è possibile raggiungere la felicità. Siamo la prima epoca dall'inizio del mondo che ha beatificato la vigliaccheria e che disprezza il coraggio: lo chiama sindrome dell'eroe e si stupisce ancora che, senza coraggio, non sia possibile vivere e costruire.Il coraggio è la capacità di agire in maniera lucida o in maniera etica anche in presenza della paura. La paura è, insieme al dolore, la custode della vita. Una persona che si trovi in mezzo a un incendio, se resta lucido, aumenta le sue capacità di trovare una via di fuga. Il coraggio è un adattamento evoluzionistico. In un incendio il coraggio può spingerci a rischiare di essere uccisi o ustionati per salvare un bambino intrappolato. In entrambi i casi il coraggio mi spinge ad affrontare un dolore o rischio immediato, levarmi da dove sono e fare, in cambio di un bene futuro, la mia sopravvivenza, la sopravvivenza di colui che sto salvando, cioè il percepirmi come persona etica. O, se preferite, in cambio di un dolore immediato, muovermi, affrontare le fiamme, evito un dolore più grande futuro, la mia morte, o il mio percepirmi come un cialtrone che ha fatto morire un altro in un incendio.Il pavido terrorizzato è una figura perdente perché non è in grado di fare questa scelta. Nelle catastrofi collettive, affondamento del Titanic, tsunami, cinema in fiamme, crollo dello stadio, nella maggioranza dei casi non c'è nulla da fare, ma in una piccola parte di casi c'è una via di uscita e in se c'è una possibilità di fare qualcosa e salvarsi, i coraggiosi ci riescono, perché la paura genera paralisi.Se torniamo alla definizione di coraggio, la capacità di agire in maniera lucida o in maniera etica anche in presenza della paura, si evince che dove non ci sia paura non può esserci coraggio.La paura è l'emozione primaria, quella che compare per prima nella nostra vita, già l'ameba se si avvicina uno spillo cerca di spostarsi perché ne ha paura. Se non avessimo paura, passeremmo il tempo a guidare contromano con i fari spenti di notte per vedere cosa si prova. Gli affetti da analgesia congenita, una rarissima malattia che impedisce di provare dolore, tendono a ferirsi, ustionarsi e ammazzarsi con sconvolgente facilità.La paura è disinserita nell'ubriacatura, da alcool, da allucinogeni, da anfetamina, metanfetamina, cocaina, da fanatismo e molto diminuita in molte psicosi. Le persone molto coraggiose, ma veramente tanto, che rischiano continuamente la vita in sport estremi, ma veramente tanto estremi, spesso hanno forme di disequilibrio. Dove non c'è paura, non può esserci coraggio. La mancanza di paura e il coraggio quindi non sono sinonimi, anzi sono antitetici.«Noi amiamo la morte e voi amate la vita ed è per questo che voi perderete» è la frase classica dell'orco. Chi ama la morte e lo dichiara, sempre, è un individuo schiacciato dalle frustrazioni e in particolare da quella sessuale. Chi ama la morte non è coraggioso. Non è coraggio, ma psicosi, e le psicosi, questa è un'informazione tecnica, non una metafora, sono contagiose. La radio di Joseph Goebbels, la maledetta radio hutu in Ruanda, Internet ora, possono veicolare il virus del vittimismo omicida.Ma, attenzione, anche il coraggio è contagioso. Il capo carismatico è colui che riesce a infondere il coraggio. E può anche essere un personaggio non fisicamente presente, perché è un personaggio storico o perché non è mai esistito. Noi amiamo il fantasy perché i grandi eroi e quelli piccoli (Sam e Frodo) contagiano il coraggio. E tra tutti gli uomini eroici, come ci ha ricordato Gilbert Keith Chesterton, grandissimo è anche l'uomo che ha affrontato l'avventura incredibile di essere padre, la donna che lo ha fatto. Eroi quotidiani la mamma e il papà che tengono tutti i giorni a galla la barchetta con dentro i bambini.
Donald Trump (Ansa)
Trump, anche lui vittima di un attentato, sottolinea la matrice politica dell’attacco che ha ucciso l’attivista. «La violenza arriva da chi ogni giorno demonizza e ostracizza coloro che la pensano diversamente».
Charlie Kirk (Getty Images
L’assassinio negli Usa del giovane attivista conservatore mostra che certa cultura progressista, mentre lancia allarmi sulla tenuta della democrazia, è la prima a minarla. E intona il coretto del «se l’è cercata».
Alan Friedman, Cathy Latorre e Stephen King (Ansa)
Per alcuni è colpa delle armi, per altri delle sue posizioni: nessuno menziona l’ideologia dietro il delitto. «Cambiare rotta» senza ipocrisie: foto a testa in giù e scritta «-1». Meloni replica: «Non ci facciamo intimidire». Metsola nega il minuto di silenzio a Strasburgo.