2022-06-06
Sostenere l’impiego e non chi lo evita
Provate a spiegarlo a chi gestisce un esercizio balneare che nel Mezzogiorno, isole escluse, ci sono più disoccupati che in tutta la Germania. Ditelo a chi ha un ristorante e cerca personale senza trovarlo, che, sommando i senza lavoro del Sud a quelli di Sicilia e Sardegna, si arriva alla ragguardevole cifra di 758 mila individui ufficialmente in cerca di un’assunzione.Sì, parlate con loro e sentirete che cosa vi risponderanno. Non ho citato a caso i 500.000 del Meridione e i 258.000 delle due regioni a statuto speciale, perché a evidenziare il numero di chi non ha un posto e nemmeno uno stipendio è stato l’altro ieri l’Eurostat, ossia l’istituto di statistica che lavora per Bruxelles e che elabora le cifre raccolte dall’Istat. Insomma, siamo noi stessi a fornire gli elementi che consentono alla Ue di definire il nostro Mezzogiorno una delle aree europee con il più alto tasso di disoccupazione.Fin qui c’è poco da dire, e non resta che prendere atto. Al contrario invece c’è molto da aggiungere sulle cause che ci vedono primeggiare in una classifica in negativo. Immagino che tanti penseranno alla cronica mancanza di investimenti, alla carenza di infrastrutture, alla strutturale assenza di grandi aziende e di un tessuto produttivo attorno a poli industriali. Sì, è vero, tutti gli elementi elencati vanno tenuti in considerazione, anche se occorre riconoscere che le iniziative per trapiantare catene di montaggio o attività manifatturiere nel passato non hanno mai consentito di raggiungere i risultati sperati. Dall’acciaio all’industria automobilistica, dai laminati al carbone si potrebbe fare un lungo elenco di flop imprenditoriali, con cui, invece di creare lavoro, si sono creati soltanto debiti, quasi sempre a carico della collettività. Forse chi ha tenuto a battesimo le iniziative era più un prenditore che un imprenditore, anzi, diciamo che quasi sempre si è trattato di furbastri che hanno fatto affari sulle spalle degli italiani, ma non è questo il punto. A contare è il fatto che se la grande industria si tiene alla larga dal Sud, nelle regioni meridionali funziona a meraviglia la fabbrica dei sussidi. Da quando i 5 stelle hanno costruito il loro successo elettorale promettendo di abolire la povertà con il reddito di cittadinanza, il numero dei disoccupati è cresciuto e, guarda caso, l’aumento si è registrato soprattutto al Sud, ovvero là dove il costo della vita è significativamente più basso e consente di vivere anche con la «paghetta» di Stato. A ciò poi si aggiunge il fatto che l’assegno erogato dall’Inps è spesso accompagnato da qualche lavoro in nero e così i senza occupazione si moltiplicano. Da almeno un anno, cioè da quando l’Italia ha provato a ripartire lasciandosi alle spalle il Covid, non trovo ristoratore, albergatore, bagnino o titolare di un negozio che non mi racconti della difficoltà nel reperire manodopera. Tra sabato e domenica, proprio mentre l’Eurostat diffondeva i dati sulla disoccupazione nelle aree del Sud, ho raccolto le ultime lamentele. Marito e moglie, entrambi sfiniti dalla fatica a seguito di una giornata passata a spadellare, mi hanno fatto il resoconto di una ricerca affannosa di aiutanti in cucina. Dopo mesi, l’unico che ha acconsentito a farsi ingaggiare si è messo in malattia appena trascorsa una settimana e passate altre tre si è dimesso: non certo a causa del basso stipendio. Stesso discorso me lo hanno fatto ieri i titolari di una locanda vicino a Parma. Do a uno di loro la parola: «Non trovo nessuno che mi aiuti e nonostante quattro bypass mi tocca saltare da un fornello all’altro. La causa? Il reddito di cittadinanza. Chi vuole che sia disposto a lavorare se riceve un sussidio per non fare niente?». Il cuoco in questo modo ha dimostrato di saperne di più di certi economisti e di noti parlamentari che si spacciano per esperti di mercato del lavoro. Oggi, nell’intervista a La Verita, Giorgia Meloni promette di abolire l’assegno voluto dai 5 stelle e rifinanziato dalla sinistra, e di rompere il circolo vizioso per cui migliaia di aziende e ristoranti non trovano addetti. Anche Lega, Forza Italia e perfino Italia viva si scagliano contro il reddito di cittadinanza. Il paradosso è che chi sta al governo finora non ha fatto nulla per abolirlo, temendo forse che la cancellazione del sussidio faccia perdere consensi e provochi la caduta dell’esecutivo. Risultato, nonostante tutti (tranne i 5 stelle) riconoscano l’effetto perverso della «paghetta di Stato», si lascia che l’Italia, invece di creare lavoro, continui a fabbricare disoccupati. Allo stesso tempo la sinistra europeista (capeggiata dai Gentiloni e dai Letta) si lamenta per la crescita del debito pubblico e pretende di mandare in pensione a 67 anni chi ne ha trascorsi più di quaranta in fabbrica, con relativo versamento di contributi, e vorrebbe mettere tutti a stecchetto, aumentando le tasse.Di fronte a certe balzane proposte, io un’idea l’avrei: il prima possibile mandiamo a lavorare gli onorevoli: magari capiranno la fatica di chi sta alla catena di montaggio o in una cucina, e comprenderanno anche che il reddito di cittadinanza non è un aiuto a chi ha perso il posto, ma un incentivo a non cercarlo.