2025-05-23
La tela diplomatica vaticana prende forma
Papa Leone XIV (Imagoeconomica)
Per il «Wall Street Journal» colloqui a Roma sull'Ucraina entro metà giugno. Il presidente finlandese azzarda: «Forse già la settimana prossima». Segreteria al lavoro. L'ostacolo resta Vladimir Putin: da Mosca segnali contrastanti. Domino. Una tessera d’avorio dopo l’altra, prende corpo il Grande Gioco della diplomazia vaticana, tornata al centro delle trattative per la pace in Ucraina. L’invocazione di papa Leone XIV è stata recepita da tutti i leader in campo e la Santa Sede sarebbe pronta (secondo il Wall Street Journal) a ospitare il summit entro la metà di giugno. «Il luogo ideale dove entrambe le parti si sentirebbero a proprio agio», ha ufficializzato l’idea il segretario di Stato americano Marco Rubio. Mentre proseguono sotto traccia i colloqui incrociati, ieri altri due leader internazionali hanno applaudito e legittimato nei fatti l’iniziativa del pontefice. Il primo è il cancelliere tedesco Friedrich Merz, che a Vilnius (a margine di un incontro con il premier lituano Gitanas Nauseda) ha affermato: «Non ci facciamo illusioni sul fatto che ci sia una soluzione rapida alla guerra in Ucraina, tuttavia nelle ultime due settimane abbiamo compiuto intensi sforzi diplomatici per raggiungere una soluzione, compresi quelli del presidente del Consiglio italiano per coinvolgere il Papa». Una sottolineatura importante per riaffermare il ruolo centrale dell’Italia e di Giorgia Meloni. Ma soprattutto per aderire alla strategia vaticana, allontanandosi dal velleitario club macroniano dei Volenterosi. «Questi sforzi sono stati sviluppati e sostenuti da noi insieme», ha proseguito Merz. «Non stiamo lasciando nulla di intentato per raggiungere una soluzione diplomatica, e allo stesso tempo speriamo che ci sia la possibilità di raggiungere un cessate il fuoco e poi negoziati di pace». Meloni, ieri, ha ribadito: «È preziosa la disponibilità del Vaticano, ho risentito Trump qualche ora fa per un nuovo round di negoziati». Il secondo leader che in giornata si è agganciato al treno papale è il presidente finlandese Alexander Stubb, così ottimista da azzardare che «già la prossima settimana in Vaticano potrebbero tenersi i primi colloqui tecnici fra Russia e Ucraina. Adesso ci sono più mediatori: prima, solo gli Stati Uniti svolgevano quel ruolo, ma ora anche l’Europa è coinvolta». Più realista il ministro degli Esteri, Antonio Tajani: «Il premier Meloni sta lavorando in prima persona, noi stiamo assecondando questa strategia. Ci auguriamo che i colloqui si tengano in Vaticano, siamo assolutamente favorevoli a sostenere l’idea. Prima si fa e meglio è, ma ancora non è stata fissata una data». Al di là del calendario, Oltretevere proseguono gli abboccamenti con le cancellerie e si nota la centralità ritrovata della Segreteria di Stato guidata da Pietro Parolin, che ha di fatto chiuso la stagione delle estemporaneità volute da papa Francesco, quando a tessere la tela venivano chiamati dei «fuori ruolo» fedelissimi come Matteo Zuppi, Konrad Krajewski e Victor Manuel Fernandez detto Tucho. Mentre il dialogo continua, si intuiscono tre giochi antichi al centro del minuetto diplomatico: il domino, gli scacchi e il poker. Tutti silenziosi, tutti che necessitano di nervi saldi, tutti letali. Non per niente scacco matto deriva dall’arabo Shah mat, il re è morto. In un simile scenario le voci si rincorrono e si sovrappongono. E non potrebbe essere altrimenti. Secondo il Wall Street Journal, i delegati americani pronti a partire per Città del Vaticano sono Marco Rubio e l’inviato speciale di Donald Trump per l’Ucraina, Keith Kellogg. Sarebbero state individuate anche le sedi dove gli sherpa possano dialogare: il Palazzo Apostolico, l’immensa Aula Nervi o addirittura Castelgandolfo, che tornerebbe al ruolo di palazzo pontificio dopo essere stato derubricato a museo di periferia da Jorge Bergoglio. Di sicuro non San Giovanni in Laterano, che vede come protocanonico Emmanuel Macron (come tutti i re di Francia), considerato uno sgarbo al ruolo dell’Italia.Sullo scenario per ora Mosca nicchia. Vladimir Putin preferisce incassare i dividendi militari dell’ultima offensiva ed esercita l’arte ciclistica del surplace, secondo la tradizione sovietica. Ieri il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha fatto finta di cadere dalle nuvole: «Non ci sono accordi per tenere negoziati sulla questione ucraina in Vaticano», ha detto ai giornalisti. Una dichiarazione che oltre le Mura leonine viene spiegata così: nessun invito ufficiale partirà dalla Santa Sede se prima la diplomazia russa non offrirà garanzie di partecipazione ai massimi livello. Trapela la frase: «Il Papa non può esporsi a incontri privi di concretezza, a sfilate di seconde linee come avvenuto a Tirana e a Istanbul».Le contraddizioni russe vengono allo scoperto da una rivelazione giornalistica sempre del Wsj: nel corso della telefonata avvenuta lunedì, Trump avrebbe spiegato ai leader europei che Putin «non è pronto a porre fine alla guerra perché è convinto di stare vincendo». Peskov è immediatamente corso a smentire la ricostruzione all’agenzia Interfax: «Quello che sappiamo è in contrasto con quanto scritto nell’articolo. Sappiamo cosa ha detto Trump a Putin. Non sappiamo cosa Trump abbia detto agli europei dopo quella telefonata». La volontà di sedersi al tavolo della pace allestito sotto la volta michelangiolesca esiste, ma come viene ribadito in Vaticano «serve tempo per smussare gli spigoli e per andare a vedere i bluff». Domino, scacchi, poker. Mentre il mondo attende con rinnovata speranza.