2022-02-06
Dicono che le vittime sono contate male. Ma nessuno si decide a cambiare i criteri
In base a dati imprecisi sono state prese misure draconiane. Eppure, né Cts, né Iss, né ministero intervengono per chiarire.Continuano a barare, trattando i cittadini come poveri fessi. L’Italia è uno dei Paesi con più alta mortalità per Covid dichiarata, studiosi e virologi ci stanno dicendo che il conteggio è sbagliato perché mettono in un’unica fossa (perdonate l’immagine) deceduti per il virus e pazienti con altre patologie risultati positivi al tampone al momento dell’ospedalizzazione, eppure nessun segnale di cambiamento arriva dal ministero della Salute. Neppure dai cosiddetti esperti, che dal cerchio magico del Comitato tecnico scientifico se ne guardano bene dal mandare segnali di fumo a Roberto Speranza, un non addetto ai lavori senza bagaglio scientifico, lasciato al suo posto malgrado i disastri combinati in due anni di pandemia. L’ennesimo capolavoro di disinformazione è lo studio dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni italiane dell’Università Cattolica, fatto passare come la conferma che il coronavirus rappresenta un rischio di morte molto elevato. «Così il Covid uccide chi è senza la vaccinazione», titolava ieri il Corriere della Sera, affermando che «tra i 40 e i 49 anni il tasso di letalità del coronavirus è di 1,8 volte più alto di quello degli incidenti stradali. Nella fascia 10-19 supera di 2,8 quello delle polmoniti». Ora, se i morti per il virus e i morti per tumore, per malattia neurologica, respiratoria, renale, del sistema cardiocircolatorio, ma per disgrazia ultima anche positivi al tampone quando entrarono al pronto soccorso, finiscono conteggiati tutti come decessi Covid, come si fa a redigere, così, una classifica del rischio morte coronavirus? Quando il vizio è a monte, qualsiasi ragionamento a valle risulta quasi inutile. Matteo Bassetti, virologo, direttore della clinica di malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova, nelle ultime settimane sta ripetendo il medesimo concetto: «Bisogna differenziare chi ha sintomi e segni del Covid, da chi invece è asintomatico per Covid e ha qualcos’altro. Solo così potremo capire cosa sta succedendo». Invece, addirittura elaborano la top five delle pericolosità di morte, mettendo a confronto i decessi per Covid con quelli per altre patologie. La conclusione sarebbe che nella fascia «30-49 anni è la quarta causa di morte dopo incidenti, tumori e malattie del sistema circolatorio; dai 50 anni in su è la terza causa dopo tumori e malattie del sistema circolatorio», scrive il Corriere della Sera. Lo studio dell’Osservatorio, che porta la firma del direttore scientifico Alessandro Solipaca, ha preso i dati Iss sui 96.666 decessi Covid, quindi senza differenziazioni, registrati tra il 24 febbraio 2020 e il 24 febbraio 2021 e li ha rapportati ai «tassi di mortalità per causa osservati su tutta la popolazione italiana nel 2018», prodotti dall’Istat. Dal confronto, il tasso pari a 160,5 decessi per Covid ogni 100.000 abitanti, metterebbe «in luce che il Covid-19 rappresenta la terza causa di morte». A parte l’uso improprio di tasso di letalità, che calcola quante persone sono morte tra quelle positive all’infezione, e tasso di mortalità, ovvero quanti sono morti per Covid sul totale degli abitanti di un Paese, le probabilità di morte stimate in questo modo a ben poco servono. Se la vittima della pandemia aveva tumori o gravi problemi al cuore, fino a prova contraria rimarrà un decesso per tumore o malattie del sistema circolatorio, non un morto Covid. Il problema è che nessuno sembra in grado di fornirla, questa prova contraria. Né il ministro Speranza, né il Cts, né l’Iss mostrano i dati che servono per far chiarezza. Ci sono da qualche parte, o nell’assenza di autopsie, di un controllo sistematiche delle cartelle cliniche, i «soggetti deceduti positivi a Sars-CoV-2» continuano a figurare come morti Covid? «L’Iss, di coloro che muoiono realmente riferibili a Covid, ne ha potuti studiare con enorme difficoltà solo 8.000 in questi due anni. E, dall’analisi delle cartelle cliniche, ha stabilito che chi muore di Covid nel 93% muore con insufficienza respiratoria, ovviamente in terapia intensiva, e sono la minoranza», affermava tre giorni fa su Fortune health Claudio Giorlandino, direttore scientifico dell’Istituto di ricerca Altamedica. Aggiungeva che stando agli ultimi dati forniti dall’Iss, «dove i deceduti Sars-Cov-2 positivi in terapia intensiva stanno intorno al 20%, dei 400 morti al giorno dei quali si parla, in realtà non possono essere più di 50/80 i decessi per Covid». Giorlandino suggeriva anche un calcolo semplice, per le alte sfere sanitarie, basato sulla sottrazione. «Eliminiamo tutti quelli che non muoiono in terapia intensiva, intubati da circa venti giorni che è il periodo medio di sopravvivenza in quel reparto di un vero deceduto di Covid, e a questi sottraiamo una parte di chi vi muore affetto da altre patologie ma portatore (asintomatico) del virus Sars-Cov-2». Scelga il ministero della Salute, il metodo più appropriato per conteggiare i soli morti per la malattia provocata dal Covid, quasi sempre un’insufficienza respiratoria da polmonite interstiziale, ma lo faccia in fretta. Su dati falsati sono state prese decisioni di politica sanitaria di una gravità enorme, che hanno calpestato diritti di milioni di cittadini. Interventi ingiustificati, rispetto alla situazione epidemiologica, che stanno limitando libertà individuali, diritti sociali, diritti economici. «Ci sono troppe informazioni che ci mancano», dichiarava pochi giorni fa Guido Rasi, immunologo, ex direttore dell’Agenzia europea per i medicinali e consulente del commissario per l’emergenza, Francesco Paolo Figliuolo. In un’intervista a Repubblica spiegava che «non si vuole incolpare nessuno, ma bisogna capire cosa non va, se il problema sta nelle cure domiciliari, nei tempi di ricovero o in quelli di trasferimento nelle terapie intensive». Il governo non dà risposte, ma continua a discriminare con il green pass.