2024-07-14
L’erede di Bonaccini ridicolizzava i deliri green di Schlein e compagni
Michele De Pascale (Imagoeconomica)
Michele De Pascale, candidato dem in Emilia Romagna, riempie di complimenti segretario e presidente, ma ai tempi dell’alluvione li criticava duramente per la mancanza di opere di protezione degli argini e la difesa delle nutrie.«Con Elly Schlein c’è grande sintonia». Nel giorno dell’investitura a candidato governatore per via della trasferta dorata di Stefano Bonaccini a Bruxelles, Michele De Pascale suona il violino che è una bellezza. Nelle interviste stereo a Corriere della Sera e Repubblica aggiunge anche che «Bonaccini è un maestro» e che c’è da stare tranquilli perché lui ha già sperimentato il campo largo come sindaco di Ravenna. Lo è da otto anni (ne ha 39) ed è anche il perfetto destriero del progressismo alla romagnola: dopo il liceo scientifico non ha fatto altro che cavalcare l’onda della politica, da quando era consigliere comunale a Cervia fino alla poltroncina di assessore; poi segretario del Pd provinciale e candidato permanente a tutto profumasse di lambrusco, fino allo scranno principale di palazzo Merlato.Nella paradisiaca sinfonia mediatica, De Pascale aggiunge che «nel mio impegno ci sarà lo spirito della lotta all’alluvione». E ricorda i duri giorni di maggio 2023 (17 morti, 23.000 sfollati, 8,5 miliardi di danni) quando lui spalava fango con gli stivali e chiedeva alle cooperative «di allagare i campi per salvare la città». È un esempio plastico di mezza verità, è un ruvido «massaggio del messaggio» perché il sindaco non ricorda (anche i giovani talvolta hanno stupefacenti vuoti mnemonici) che allora la sua lotta all’alluvione era in rotta di collisione con la politica del suo partito. Aveva il fegato grosso, lui, nei confronti del Pd ecologista e gruppettaro dominato dall’immobilismo green della vicepresidente Schlein (con delega all’ambiente). Aveva qualche conto da regolare, lui, con l’incedere distratto del governatore che si era dimenticato di realizzare 11 vasche di laminazione su 23 per quieto vivere. In quei giorni fradici, mentre la verdissima sinistra locale balbettava giustificazioni, De Pascale tuonava: «Qui si tratta di fare opere di protezione, argini più robusti, casse di espansione, invasi, pulire i fiumi, potenziare le idrovore. Se lasci solo il fiume, esonda». Ascoltava Luca Mercalli, Mario Tozzi, Angelo Bonelli discettare di «rinaturalizzazione» (praticamente tornare all’era delle paludi), scuoteva il capo e al grido di «l’acqua non si ferma con i buoni propositi» sosteneva - neanche fosse un sordido amministratore di centrodestra - che «se il sistema delle nostre idrovore si spegnesse, l’acqua arriverebbe in Piazza del Popolo. Ci siamo salvati grazie alle opere napoleoniche».Se in quei giorni, in quelle settimane di emergenza, Bonaccini e Schlein avevano una spina nel fianco, quella era De Pascale. Comprensibile, perché durante le tragedie è difficile per un amministratore nascondere la verità sotto l’ideologia dominante, causa di quel disastro. Lui non faceva sconti neppure alle demenziali politiche arboree. «Se oso dire che gli alberi negli alvei dei fiumi vanno tagliati perché costituiscono un problema, arrivano le critiche». E mentre molti suoi colleghi di partito si schieravano a difesa delle politiche suicide adottate fin lì dalla Regione per «non imbrigliare la natura», lui arrivava a compiere il sacrilegio supremo: attaccare le nutrie, sacre per Schlein più delle vacche del Gange. «Non hanno antagonisti e sono diventare troppe. Come tane fanno buchi enormi negli argini, dai quali entra l’acqua che li indebolisce». Per poi concludere: «Quando ho provato a fare piani per controllarne la riproduzione, ho ricevuto minacce di morte dagli ambientalisti. Siamo messi così...». Peccato che il vizio della memoria non sia molto praticato da quelle parti. Caro De Pascale, oggi ci sarà anche grande sintonia con la segretaria, e l’ex governatore sarà pure un maestro (anzi un professore), e i teppisti di Ultima Generazione avranno un’improvvisa rivalutazione. Ma nessuno dimentica quel «siamo messi così...». Laddove i puntini significavano: con le pezze al sedere. Lo ha detto lei ed è molto difficile che si riferisse ad altri, nei giorni delle lacrime e del fango. In realtà il sindaco di Ravenna ha una storia di concretezza che lo rendeva credibile: la difesa della ricerca di idrocarburi, la contrapposizione ai No Triv, l’industrializzazione sostenibile contro la decrescita nimby. Sempre diffidente verso i dogmi dell’ambientalismo spinto, era un punto fermo del solido, concreto progressismo romagnolo, malsopportato dal Nazareno e ancora prima da Botteghe Oscure. L’anno scorso De Pascale chiedeva invasi, denunciava mancate manutenzioni, alzava la voce contro la sinistra delle nutrie. Ora arpeggia, muove l’archetto sullo Stradivari, parla di «spirito della lotta all’alluvione», danza con Elly (ettecredo, c’è una poltronissima da raggiungere) dimenticandosi che i nemici non erano fuori casa ma dentro casa. Un colpo di spugna alla tela e via con un nuovo dipinto impressionista. Oggi è pronto anche lui al grande abbraccio con chi aveva posto i prodromi per l’allagamento di Ravenna. «Il campo largo l’ho già sperimentato», sentenzia il candidato unico. Già, ma ha dovuto asciugarlo con le galosce. E lo ha salvato grazie ad opere napoleoniche. Ieri, passandogli il testimone, Bonaccini ha rassicurato el pueblo: «Con De Pascale siamo in buone mani». Anche perché ha una pessima memoria.
Jose Mourinho (Getty Images)